Giovani ed enti locali: quale rapporto?
Dopo il «giovanililismo» degli anni intorno al '68 – una miscela di ribellione e seduzione da parte dei giovani verso le precedenti generazioni, un tempo in cui «giovane era bello» – oggi tutto ciò che è giovane è problema. Problema reale, basti pensare al lavoro che manca o alla droga (che colpisce quasi esclusivamente le fasce di età fra i quindici e i venticinque anni), ma anche problema un po' gonfiato quando si parla di riflusso o di scoperta di valori perduti: forse il gran rumore fatto dal '68 aveva portato qualcuno a credere che tutti i giovani fossero dei superimpegnati e che avessero scoperto valori inesplorati, forieri di società nuove.
Proprio i messaggi di pentiti e dissociati dalle carceri italiane (oltre il 70% degli ex terroristi detenuti) ci ricordano invece che ci sono valori eterni ed insiti nell'uomo ai quali essi oggi fanno appello o nei quali dicono di credere: rispuntano così la carità, la solidarietà, la fraternità, l'amore disinteressato, il perdono e il rigetto dell'odio come mezzo per far progredire l'umanità. Valori che erano scomparsi forse non tanto dalle coscienze giovanili quanto in certi salotti radical-chic in adulti scettici ed egoisti o su riviste che si ostinano ad ignorarli, salvo ogni tanto scoprire con stupore che permangono a dispetto delle mode del momento o di minoranze fanatiche.
Ci sono comunque problemi nuovi o che si sono aggravati, per i giovani, da alcuni anni a questa parte, anche e soprattutto a causa di carenze degli adulti: penso ad una scuola che troppo spesso non è «maestra di vita», ma area di parcheggio, priva di anima e di amore verso gli adolescenti, che deve far diventare adulti; area di parcheggio anche per molti insegnanti che fanno questo mestiere in mancanza di meglio o perché ha un orario comodo. Così all'università molti professori stanno ritornando a metodi «baronali» che nulla hanno a che vedere con la serietà degli studi (poca didattica ed esami più radi). Penso anche alle crescenti difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro che hanno creato soprattutto nelle grandi città, bande di sbandati o come si usa dire di «emarginati». Proprio il gran parlare che si fa di loro sembra essere proporzionale alla scarsità di risultati ottenuti per il loro recupero. Perché di vero e proprio recupero sociale ed umano talvolta si tratta.
Anche alcuni Enti locali hanno incominciato a dibattere i problemi giovanili. A Torino è nata la Consulta giovanile comunale, a Milano è stata promossa dalla Provincia una inchiesta sulle bande giovanili tipo punk e mod. A fine maggio a Torino si e discusso in un convegno-seminario nazionale dei rapporti fra i giovani ed Enti locali, ai quali a partire dal 1977 lo Stato ha delegato una serie di funzioni (ad esempio: cultura ed assistenza) che li portano necessariamente ad occuparsi dei giovani.
II Convegno-seminario è stato promosso dalle Consulta giovanile del Comune di Torino che raggruppa 34 organizzazioni: dai movimenti giovanili di partiti, all'AGESCI, MP, Gruppo Abele, Gioventù Aclista la Lega Obiettori di Coscienza ed' altre associazioni culturali e sportive.
Un numero consistente di gruppi ma che pur sempre rappresentano una minima parte dell'universo giovanile torinese: la gran maggioranza composto da ragazzi e ragazze che non appartengono ad alcuna organizzazione. I veri emarginati sono poi quelli che più sfuggono a qualsiasi tentativo di rapporto con le organizzazioni o con l'Ente locale, e sono avvicinati quasi esclusivamente dai gruppi di volontariato.
Il Convegno-seminario ha infatti mostrato come non bastino servizi belli e super organizzati (che poi non ci sono). A Torino, come penso in altre grandi città, sono falliti i tentativi di ridurre la fascia di emarginazione giovanile attraverso iniziative comunali, gestite poi da animatori ed operatori spesso improvvisati. super politicizzati che alle prime difficoltà (aggravate da teorie avventurose sulla emarginazione) hanno perso entusiasmo e voglia di fare. I servizi così si burocratizzano o Ycngono utilizzati soprattutto in iniziative di tipo elettoralistico. A tutto ciò si aggiunge la crisi dell'associazionismo giovanile partitico o «movimentista», un crescente disimpegno dei gio, ani che fanno riferimento a quella che viene definita la «sinistra creativa» questi sì rifugiatisi nel privato, mentre, d'altro canto. si assiste ad una certa ripresa delrassociazionismo cattolico con in testa l'Agesci, CL-MP, Azione Cattolica ragazzi, ed una miriade di altri gruppi anche a livello parrocchiale.
Ma non Yoglio qui contrapporre chi pensa che solo la spontaneità dei singoli sia un elemento di progresso a chi. al contrario. ritiene che quanto più lo Stato. l'Ente pubblico, inten·engono tanto più i risultati sono buoni. Mi pare che almeno in gran parte dei giovani. certi miti siano superati. C'è una duplice e contraddittoria sensazione che il perfezionamento degli strumenti e degli apparati tecnici indebolisca l'«umanità» degli stessi. restringa la personalità degli individui. ma che anche un impegno generalizzato ed universale generi dilettantismo.
Se al Convegno di Torino, Amministratori, giovani, forze sociali e politiche che dovevano definire competenze e ruoli dell'Ente locale in rapporto alla realtà giovanile non sono giunti sempre a risultati concreti è anche per le difficoltà che crea il permanere in concezionitroppo schematiche, proprio nelle amministrazioni di sinistra che sono poi quelle che più han creato strumenti appositi per occuparsi del mondo giovanile.
Il problema è che non basta la ricerca dell'efficientismo l'attivismo organizzativo: ai giovani soprattutto a quelli in crisi o che vengono classificati in «area a rischio», non bastano spettacoli o servizi da fruire. Occorre qualcosa di più profondo, qualcosa che tocchi la loro esistenza, la loro vita, la loro opera. L'Ente locale non può esserne il portatore, può invece contrastare questa ricerca rincorrendo mode o reprimendo gli spazi e le occasioni di crescita da lui non strettamente controllati.
I luoghi di questa ricerca possono essere innanzitutto la famiglia quindi la scuola le parrocchie o movimenti giovanili dei partiti i gruppi di volontariato ed infine, ma non ultima, la coscienza individuale.
Sta all'Ente locale non proporre miti insulsi ed effimeri ma occasioni per riflettere e studiare una seria politica per i giovani (ad esempio per lo sport, la casa il lavoro) che li veda partecipare attivamente alla stesura di questo disegno.
Oggi più di ieri i giovani vivono nell'incertezza del futuro sono fra le principali vittime della crisi da cui il nostro paese stenta ad uscire, per questo occorre che anche gli Enti locali contribuiscano di più, molto di più a studiare soluzioni e non vedano il giovane solo come fruitore di servizi puramente ricreativi o come cavia sulla quale sperimentare teorie dai risultati dubbi. Infine non si debbono a secondare quelle che Romano Guardini definì «le ideologie della ribellione» perché «l'uomo di cui trattano non esiste».





















































