Parla Ardigò

Ardigò: difendete il vostro diritto di cittadinanza

Nuova Politica - Ardigò: difendete il vostro diritto di cittadinanza pagina 3
Nuova Politica - Ardigò: difendete il vostro diritto di cittadinanza
Nuova Politica - Ardigò: difendete il vostro diritto di cittadinanza
Nuova Politica - Ardigò: difendete il vostro diritto di cittadinanza
Nuova Politica - Ardigò: difendete il vostro diritto di cittadinanza
«Nuova Politica» intervista Achille Ardigò sul ruolo degli Enti locali. La rifondazione del welfare-state. Pubblico e privato di fronte alla gestione da servizi. Bisogna invertire la tendenza secondo cui conta solo chi ha il potere economico decisionale e si restringe il sistema politico. I giovani stanno perdendo i diritti di cittadinanza.

Incontro Achille Ardigò tra le mura. cariche di libri, dell'Istituto Luigi Sturzo di Roma. Trova il momento per questa intervista in mezzo alla moltitudine di impegni, in ogni parte del mondo, che segnano da anni il suo cammino quotidiano (la segreteria telefonica della sua abitazione bolognese prega di precisare, nel messaggio, in quale giorno o mese si parla!). Mi ripete più volte di essere lieto di rivolgersi ai giovani della DC e prima di salutarmi regala a tutti noi alcune parole preziose: più acquisterete forza e autonomia, più cercheranno di dividervi. Non rassegnatevi.

 

È ormai diverso tempo che si parla della fine del welfare-state come di un dato acquisito, sul quale è ormai quasi superfluo discutere. Lei ha parlato invece, nella sua relazione all'ultimo convegno ANCI di Rimini ed in altre occasioni (in particolare in un dibattito sulla rivista «La ricerca sociale», da Lei diretta), più che di crisi irreversibile, di necessità di una «rifondazione». È una srrada praticabile?

La crisi del Welfare state è stata l'aspetto più evidente della crisi di tutto il modello politico ed economico col quale il mondo contemporaneo sviluppato è uscito dalla grande crisi economica del '29-33. La crisi del welfare state è stata quindi una crisi non solo di spesa pubblica che produce inflazione, ma anche insufficienza dell'azione pubblica a capire, penetrare e cercare di assistere le nuove povertà, nonchè difficoltà a fronteggiare le esigenze nuove che sono emerse all'interno dei problemi dell'assistenza sanitaria e sociale.

La crisi del welfare state perciò, è non soltanto legata al fatto finanziario ma è anche fondamentalmente legata al modello di centralismo dello stato burocratico, con il quale non si affrontano più le vecchie povertà che riemergono e le nuove emarginalità, che sono invece il frutto proprio di questa vicenda, legata al fondo con la perdita dei valori.

Mentre per tutti gli anni '70 ed i pnmissimi anni '80, si è consumata questa crisi, è cominciato da qualche tempo un processo di ripensamento che, non a caso, ha visto persino due lcaders come Reagan e la Thatcher, impegnati a sconfiggere il welfare state, diventare abbastanza sostenitori di un certo tipo di spesa sociale; soltanto nel secondo mandato Reagan comincia a tagliarla duramente: oltre una certa soglia, infatti, se si tolgono le garanzie dello stato sociale si toglie il consenso allo stato democratico. Oggi si tratta di capire come fare a trasformare la funzione pubblica da programmatoria e gestionale in una funzione pubblica di programmi e di controllo, lasciando spazio a gestioni di altra natura.

 

Partendo proprio da questa considerazione, mi pare si possa affermare che mentre il decentramento amministrarivo doveva, nelle intenzioni, risolvere in buona parte problemi derivati dal vecchio stato accentratore, nella pratica, gli Enti Locali sono divenuti ulteriori centri di burocrazia, più che autentici protagonisti del processo di avvicinamento della comunità all'autogestione. In questi senso, ed in riferimenro al problema cui Lei ha fatto cenno della gestione dei servizi, è possibile fare arrivare gli Enti Locali a forme di affidamento della gestione dei servizi nei vari settori, anche in quelli oggi considerati di esclusiva competenza del «pubblico», ad associazioni di volontariato, a cooperative giovanili o comunquea privati in grado di garantire maggiore efficienza e minori costi?

Certamente questo è il problema. Ci si può esprimere in questi termini: programmazione pubblica sì, finanziamento pubblico sì (per quelle che sono le garanzie storicamente essenziali per la vita di tutti) gestione invece in base alle migliori opportunità.

In sostanza più spazio va dato al «privato sociale» (come l'ha definito il prof. Donati), più spazio per l'iniziativa che significa mutuo aiuto, azione volontaria, economia informale, cooperazione di servìzi che si muove sul terreno dell'integrazione locale.

Questo tipo di 'terza dimensione', come io l'ho chiamata, va affrontata, però, tenendo conto dei problemi che solleva: per esempio il volontariato diffida del potere pubblico e partitico per tutta una serie di ragioni che sarebbe qui troppo lungo esporre; d'altro canto il potere pubblico diffida del volontariato perché ritiene che il denaro pubblico non sia controllato nella sua efficacia. Queste due diffidenze si coagulano nell'impedire la possibilità di questa sperimentazione.

C'è poi quest'altro fatto delicato: in un certo senso non basta fare assistenza efficace, andando quindi a cercare le nuove povertà dove vivono e dove anche l'assistenza sociale o sanitaria non arriva, occorre invece anche tener conto che l'assistenza di tipo nuovo deve favorire la partecipazione degli assistiti al recupero della loro cittadinanza. Questo è il punto delicato. Per tutta una parte della storia dei problemi della povertà e dell'assistenza alla miseria in occidente, si è visto che proprio l'assistenza che era rivolta a queste categorie di miseri, li escludeva dalla cittadinanza. In fondo per tutto un periodo di tempo la democrazia rappresentativa supponeva un censo prima, e il saper leggere e scrivere poi: le persone assistite perdevano i diritti di cittadinanza. L'aspetto importante dello stato del benessere, del welfare state, è stato questo: rivendicare queste forme di solidarietà universalistiche e il minimo storico di sussistenza come parte dei diritti di cittadinanza, tali perciò da do, cr essere nconosciute, anche in assenza di pressione sindacale organizzata, in base al principio della giustizia comunitaria. Che cosa è avvenuto negli anni del neocorporativismo? Tutto ciò che era sociale, era sociale in quanto sindacale, in quanto partecipava della contrattazione, dello scambio politico. Ecco perché abbiamo avuto il fenomeno secondo cui l'assistenza pubblica come tale, in termini di prodotto interno lordo è andata decadendo, dal punto di vista delle cifre da un 6% a 2.5%, mentre sono cresciute molto i settori della previdenza e della sanità, recependo in modo impropno una parte dell'assistenzialismo sotto la pressione delle varie rivendicazioni sindacali. Faccio un esempio specifico: oggi una parte della spesa sanitaria (circa un 25%) è sostenuta con un contributo dello stato a favore delle imprese con la fiscalizzazione degli oneri sociali di malattia; questo contributo dello stato non è una misura di natura assistenziale ma è una misura di assistenza puramente economica alle imprese. Il caos che c'è nelle categorie, nel sesso (maschi sì, femmine no) dimostra, una volta per tutte, che questo è l'aspetto da cambiare; la parte di assistenza è stata quindi finora impropriamente gestita sulla scorta di questioni di carattere contrattualistico. Analogamente il caos che c'è nella previdenza è anche legato al fatto che le categorie più forti e più vicine al potere pubblico, hanno strappato benefici rispetto alle altre. Questo disordine ha fatto sì che tutte quelle categorie di bisogni. specialmente nel campo dei giovani non occupati, degli anziani non autosufficienti, degli handicappati psichici, che non avevano una strutturazione sindacale siano rimaste sempre emarginate. È l'aspetto più grave che mi fa dire che siamo di fronte ad una esigenza, in particolare in Italia, di una specifica politica assistenziale moderna e non assistenzialistica che si fondi sul diritto sociale di cittadinanza (in base al quale ogni cittadino ha il dovere di contribuire secondo le sue risorse, al servizio sanitario nazionale, ma ha anche il diritto a ricevere il minimo storico essenziale, qualunque sia la sua condizione) e non più sulla contrattazione collettiva. Questo è un punto di forza perché la logica della contrallazione collettiva ha portato ad una tale differenziazione di ingiustizie, di trattamenti diseguali che ha in qualche modo indebolito quel carallere universalistico che c'era nella riforma sanitaria del 1978.

Per riuscire a conoscere ed affrontare tutte le nuove povertà e le nuove emarginazioni c'è, ovviamente, bisogno di un potere pubblico che si mantenga in costante collegamento con tutte le aree e le fasce del tessuto sociale.

In questosenso mi pare che quando Lei e Dossetti pensaste ai quartieri, nella Bologna degli anni '55 e '56, volevate creare non soltanto forme di decentramento amministrativo e burocratico degli uffici comunali, ma punti di nferimento e di aggregazione, in particolare nelle zone nuove delle città, per i diversi bisogni dei cittadini, nonchè di integrazione tra forze politicamente e socialmente contrapposte. L'esperienza insegna che quegli obiettivi non sono stati raggiunti: i quartieri (o meglio, le circoscrizioni) sono divenuti molto spesso semplici uffici per il rilascio di certifìcati anagrafici o emanazione di pareri consultivi. Lei crede ancora, trent'anni dopo, alla possibilità per i quarrieri di svolgere il ruolo per il quale furono concepiti?

Debbo dire che quando io ebbi l'idea dei quartieri (anche per l'esperienza che avevo fatto a Matera ed in altre città del sud) che fu lanciata nel 1956, per poi entrare faticosamente nella prassi e dopo nella legislazione, il pensiero nostro era rivolto al momento politico della frattura fra cittadini (le periferie delle nostre città erano controllate da un partito comunista staliniano) in cui la comunicazione politica era dialettica solo tra i vertici, mentre tra le sezioni periferiche dei partiti non vi era nessun momento di comunicazione, se non tramite i comizi di attacco in piazza.

C'erano invece problemi urgenti da affrontare dovuti all'immigrazione. 

È chiaro che oggi quelle condizioni, che allora vedevano insieme l'enorme espansione della città e la frattura rigidissima tra anticomunismo e comunismo staliniano, con una conseguente incomunicabilità culturale sul piano territoriale, e che ponevano perciò problemi di superamento, sono modificate.

Oggi il grande fenomeno dell'immigrazione è finito da tempo. i servizi sociali di base sono stati conquistati o perlomeno ci si arrangia, la gente si muove attraverso la motorizzazione in misura largamente superiore al '56; nel '56 cominciava appena il televisore: oggi più che il quartiere c'è l'universo cosmopolitico. In aggiunta a ciò la componente partitica si è ristretta.

Ecco che noi allora verifichiamo la fine di questo periodo ed il tentativo di correggerlo come avviene a Bologna, dove i quartieri si vogliono ridurre della metà e si vuole introdurre, nell'Emilia Romagna, il difensore civico nelle USL: è la confessione che la partecipazione non c'è più e che si sta restringendo l'area della cittadinanza. Una parte della gente affronta i problemi che incontra uno per volta, ma non li riconduce più al senso della cittadinanza: per esempio la questione del verde, dell'ecologia, ecc., sono problemi che non hanno più bisogno del diritto di cittadinanza; anche il cattivo funzionamento delle strutture amministrative, delle USL ecc., produce una sorta di rivolta contro il potere politico.

Allora il problema qual è? È che per questa via, in fondo, conta solo il chi ha il potere economico, decisionale e si restringe il sistema politico. Una parte delle novità che ci saranno in queste elezioni amministrative, legate allo scollamento di una parte dei cittadini dai diritti sociali e civili di cittadinanza, si dimostrerà attraverso liste civiche, posizioni che probabilmente porteranno ad una riduzione della partecipazione elettorale, rivendicazioni per singoli argomenti. Questo perché? Perché, in certo senso, oggi prevale una linea lib-lab che tende a semplificare tutto il discorso decisionale politico in funzione delle esigenze del potere economico che deve competere sul piano mondiale. Il resto ha spazio perché la Chiesa Cattolica, attraverso l'azione e anche la protesta, si pensi al Card. Martini, rivendica ancora i diritti sociali; ma se non ci fosse la Chiesa Cattolica, la crisi del sindacato e questa sorta di spostamento tutto dalla parte del politico che si lega ormai al carro del vincitore, diventerebbe inarrestabile la restrinzione della partecipazione e dei diritti esercitati di cittadinanza.

Il problema grosso è come riuscire ad invertire questa tendenza. È il punto più delicato e credo non possa essere più un discorso di decentramento amministrativo a risolvere questi problemi. Qui c'è veramente il bisogno di ripensare il modo di fare politica.

 

Proprio in riferimento a questa considerazione, noi abbiamo, come Movimemo giovanile D.C., un'esigenza: riuscire a parlare, e se non a convincere, almeno a farci ascoltare da quella larga fascia di giovani che non fanno politica ma che hanno però una sensibilità sociale elevata. La campagna elettorale per le prossime elezioni amministrative, viceversa, mi pare che si stia incentrando soltanto, nel dibattito tra i partiti, su problemi di strategie, di alleanze locali o nazionali, senza arrivare a stimolare l'interesse della gente che non fa politica e che non parla in «politichese». Lei, che ha fatto politica attiva, anche nel partito in passato, ma che oggi la vede in qualche modo dall'esterno, quali temi di impegno ci suggerisce per uscire dai soliti schemi?

Io credo che il vero problema sia oggi per voi quello di scoprire il significato attuale dei diritti civili, politici e sociali di cittadinanza, più che la stessa efficacia dell'azione. Il polo da ripristinare è convincere i giovani che l'essere cittadini ha ancora un senso, anche se diverso dal passato. Si tratta di ripensare i problemi dell'inoccupazione giovanile, della prospettiva oscura, per la massa dei giovani, del futuro.

Nei confronti della penetrazione nella stampa, nei mass-media, occorre rivendicare i diritti di cittadinanza, che sono i diritti di parola, di espressione, certo in forme nuove. Per esempio, nei confronti della regolamentazione dei network televisivi, privati e pubblici. il diritto dell'accesso ad essi di associazioni di giovani che hanno la volontà di parlare in televisione, deve essere rivendicato. Viceversa, se continuiamo di questo passo, arriveremo al punto che, come si è detto al convegno del MEIC, certe cose si potranno dire solo sulla stampa dell'Azione cattolica. I diritti civili di espressione stanno per essere compressi e quello che non passerà per i mass-media non esisterà; ecco allora che, prima che si chiuda definitivamente questo spazio per i diritti politici di espressione, bisogna cercare di riconquistare proprio ogni spazio. Bisogna operare anche su quelli che sono gli strumenti delal cittadinanza per evitare che si ricrei una situazione in cui si fa assistenza, di ogni tipo, ma si esclude l'assistito dalla cittadinanza; oggi non usa più il vecchio sistema di togliere il diritto di voto, ma si usa il sistema di negare voce dove è possibile esprimerla. Ecco perché è molto importante il diritto di avere voce attraverso le nuove strutture di comunicazione: l'aspetto più drammatico è che igiovani stanno perdendo i diritti di cittadinanza.

 

Un'ultima domanda. Noi facciamo polilica con la consapevolezza che oggi esiste tra giovani una forma di rifiuto dell'impegno politico, ma con la speranza che la situazione possa modificarsi. Alcuni sociologi sostengono che dopo il periodo dell'impegno politico a tutti i costi, è venuto il periodo del riflusso nel privato, perché l'individuo è andato a cercare lì la «felicità» che nel pubblico non aveva trovato, ma, poiché nemmeno nel privato sta trovando la felicità, in breve assisteremo ad un ritorno all'impegno pubblico, sotto forma di partecipazione o di protesta. Condivide questa analisi?

C'è un sociologo americano, Hirshmann, che sostiene l'analisi cui facevi cenno, secondo cui esiste una sorta di pendolo, speranza-delusione, che porta a periodi di massima partecipazione politica e ad altri di massimo riflusso. La tesi ha una sua forza, perché rappresenta certamente una logica, però va anche tenuto presente lo spazio delle trasformazioni economico-tecnologiche; trasformazioni che dicono che ci sarà una dissociazione sempre più forte tra il management finanziario e la dimensione occupazionale, per cui è molto probabile che avremo una grossa tendenza alla crescita del lavoro autonomo di fronte al quale sarà preparata solo quella parte di giovani che avrà già fatto lavoro precario. In un certo senso c'è il rischio che quando dovesse riprendere il momento della ricomparsa di quella che Hirshmann chiama «la voce», le condizioni organizzative di questa siano molto più difficili perché naturalmente l'Università avrà perso, se andiamo di questo passo, la consistenza di massa perché non ci saranno più le grandi componenti dei giovani operai della Fiat del passato e avremo invece l'ideale di quella che viene chiamata la «new corporale elite», che produrrà nei giovani una differenziazione molto forte. Nelle nuove generazioni c'è la tendenza a seguire modelli meritocratici, almeno in quella parte di esse che ha davanti a sé che è molto più brillante del passato. Avrete il problema di una di differenziazione interna nella componente giovanile molto più accentuata, e non solo in termini di aggregazioni ma in termini di valori. Una radicale differenza vi sarà tra la minoranza meritocratica che giura sui valori della «new corporale elite» e la massa dei giovani che dovranno accontentarsi di quel lavoro autonomo che saranno riusciti ad organizzare in forme private o cooperative.

Il pericolo è che né l'Università, né la fabbrica. né l'organizzazione sindacale siano in grado di fornire la massa critica che sempre è necessaria.

L'indagine IARD sui giovani, oppure l'indagine fatta da Garelli sui giovani lavoratori del Piemonte, dimostrano caratteristiche di insicurezza tra i giovani, che tendono a giocarsi l'avvenire su troppi tavoli per potersi concentrare su uno solo. I giovani del campione IARD tendono poi a trattare direttamente col potere economico: per esempio disprezzano i sindacati, sono favorevoli alla contrattazione individuale del loro lavoro, accettano la logica meritocratica molto spinta.

Se c'è un aspetto in comune di questa realtà sempre più eterogenea è la lotta per non rimanere esclusi dai nuovi dirilli di cittadinanza. È questo il punto in comune su cui muoversi.

Voi giovani anche se volete avere voce non l'avete. Questo è il tema che, secondo me, dovrete approfondire.

Un anno dopo
Piero Franceschi

Articoli correlati

Totale: 42
Dopo il convegno di Torino
L'esigenza di superare la fase del «giovanilismo». Un nuovo rapporto tra istituzioni e giovani fondato sull'attenzione ai problemi concreti. Non basta offrire un servizio assistenziale per efficiente che sia.
Enti locali
Il contributo dei giovani dc per la costruzione di una nuova cultura di governo della città, basata sui valori di solidarietà, di ricerca di migliore qualità della vita, di migliore convivenza sociale.
Speciale enti locali
Volontà politica e capacità di proposta per una strategia complessiva che sappia andare oltre lo stringente stato di necessità. Il ruolo della DC come partito che sappia interpretare le nuove istanze di una società che cambia.
Speciale enti locali
La consapevolezza che la politica è anzitutto una ricerca di alleanze per realizzare i programmi impone l'apertura di un dibattito tra i giovani DC su «Nuova Politica».
Speciale enti locali
Dietro le «mani pulite» i limiti e le incrinature di uno dei tanti miti degli anni '70. La logica pericolosa della dipendenza delle istituzioni dal partito. L'ente locale che garantisce ogni cosa e copre ogni spazio rischia di far addormentare il tessuto sociale.
Speciale enti locali
L'impegno della Dc nella metropoli per affrontare i grandi problemi dell'emarginazione, della casa, della sanità, del traffico. Di fronte al fallimento delle Giunte rosse le proposte di una Dc che si candida alla gente dei grandi centri urbani.
Speciale enti locali
Occorre stabilire criteri di responsabilità e moralità nella gestione e nell'amministrazione del denaro pubblico.
Speciale enti locali
Ricostruire un nuovo rapporto cittadino-pubblica amministrazione basato sul recupero dei valori comuni. Una nuova attenzione della DC che nasce dalla sensibilità verso le problematiche emergenti degli Enti Locali.
Speciale enti locali
Occorre lavorare ad un progetto che punti alla realizzazione di strutture stabili da contrapporre alla politica dell'effimero per il recupero e la valorizzazione delle identità storiche e culturali del territorio.
Speciale enti locali
Assistiamo all'affermazione del volontariato come alternativa e integrazione delle pr stazioni fornite dall'apparato burocratico. Una necessità etica e culturale più che una scelta politica.
Speciale enti locali
La questione ambientale è uno degli argomenti al centro della campagna elettorale che precede le ormai imminenti elezioni amministrative di maggio.
Rosolina 84
Intervista a Mauro Fabris
A Rosolina Mare il Movimento Giovanile si ritrova per discutere sui temi del localismo e dell'Amministrazione. La scelta importante della strada della proposta attraverso il confronto con il partito. Il ruolo fondamentale della formazione politica. Il passo di riconciliazione con la società non può escludere i giovani dal confronto politico.
Occupazione giovanile
Le nuove linee di politica economica e sociale dei giovani dc illustrate dal responsabile dell'ufficio nazionale per i problemi dell'occupazione giovanile
Dossier Enciclica
Una riflessione completa e corretta sulla lettera enciclica del Santo Padre per capire le implicazioni politiche e sociali senza cadere nella logica delle «visitazioni di miniera».
Enti locali
Il convegno dell'ufficio nazionale formazione MGDC svoltosi a Lignano ha tentato di non fermarsi al semplice dato elettorale ma di ricercare le possibilità di impegno concreto nel potere locale e nell'amministrazione.
Enti locali
Una nuova qualità della vita, non necessariamente legata alla concezione consumistica, ha bisogno di una nuova politica del • comune per dispiegarsi appieno.
Enti locali
Viaggio nei dati delle amministrazioni locali che non seguono le indicazioni dei partiti nazionali. In quasi tutte le provincie è presente almeno un comune dove governa una alleanza DC-PCI
Enti locali
Mentre l'aula di Montecitorio si prepara a discutere la riforma delle Autonomie locali, i giovani dc si interrogano sull'impegno nel territorio.
Autonomie
Le autonomie locali come strumento di cambiamento nella riflessione che riceviamo e volentieri pubblichiamo del Presidente dell'Associazione Regionale dei giovani amministratori calabresi.
Stato sociale, società civile
Una, dieci, cento italie
Una, dieci, cento italie