Alla base della piramide
Proprio nel momento in cui l'attrazione delle ideologie diventa minore, la differenza tra destra e sinistra meno marcata, la politica sembra identificarsi, non so se completamente a torto a ragione (comunque è un dato di fatto), con la soluzione dei problemi concreti.
Ed in questo, le Autonomie Locali, che sono il primo approccio dello Stato verso i cittadini, e viceversa, assumono un'importanza decisiva.
E non è fuori luogo ricordare come nel programma «Ai liberi e ai Forti», atto di nascita del Partito Popolare Italiano, del quale proprio quest'anno cade il Settantesimo anniversario troviamo, preceduto dall'affermazione degli ideali di giustizia e libertà e da un costante richiamo ai problemi del Sud, l'impegno per la realizzazione delle Autonomie Locali.
E mentre lo Stato liberale si era fino ad allora sempre distinto nelI'attuare logiche centralistiche, Don Sturzo già parlava di Regioni, che si concretizzeranno poi esattamente 51 anni dopo, nel 1970. Per quelle felici, e giuste, intuizioni, la Dc si è sempre impegnata, a volte con estrema convinzione, altre assai meno, per la realizzazione dello Stato delle Autonomie.
Non a caso, il Presidente del Consiglio, On. Ciriaco De Mita, parlando a bologna in occasione del convegno di studi su Sturzo, così si è espresso: cela gestione del nostro paese è in contraddizione con l'insegnamento sturziano. È questo il nostro grande peccato».
Ma questa riflessione, di per sé, non può certo essere smentita. Si può solo discutere sull'entità di quello che De Mita, con un eufemimo, definisce ccpeccato».
E evidente, però, che le forze politiche, anche per concretizzare quella che è una delle motivazioni più significative che ha dato vita all'ultima maggioranza pentapartitica, si dovrebbero impegnare a fondo per ridisegnare le Autonomie Locali in questo secolo che si prepara per affrontare l'ultimo decennio.
Sarà, e non è difficile prevederlo, un periodo di grandi mutamenti, che non possono certo essere affrontati con una legislazione che affonda le radici nel 1915 oppure nel 1934.
Infatti, il disegno di legge presentato dal Ministro degli Interni, On. Antonio Gava, fornisce un primo ed efficace ventaglio di risposte, forse non tutte adeguate, ma concrete, alle istanze che, con sempre maggiore insistenza, provengono dalla società civile, che reclama efficienza, stabilità, trasparenza.
I termini perentori per l'elezione degli esecutivi, la sfiducia costruttiva, l'elezione palese, le più precise competenze possono certo contribuire al necessario riordino degli Enti Locali. Ma non basta. L'elezione diretta del Sindaco, infatti, potrebbe davvero costituire una chiara linea di tendenza, una chiave di volta significativa, un'autentica pietra miliare facendo perno sulla quale riuscire a ribaltare le consuetudini imperanti, costituite da un debordare dei partiti dalle loro funzioni istituzionali e dalle loro attribuzioni costituzionali, per cui registriamo una confusione, una dannosa confusione tra attività amministrativa ed attività politica. Molto spesso, in effetti, si dimentica che i Comuni sono nati per amministrare, che in pratfca significa fornire risposte concrete ai problemi veri della gente.
Anche in Italia, così come succede altrove, dobbiamo ridare movimento e credibilità alle istituzioni locali, compito che noi cattolici democratici, insieme a tutti gli altri, dovremmo svolgere con particolare attenzione.
In Francia, per esempio, dove si è votato di recente per le elezioni comunali, e si è registrato un numero di astensioni minore del doppio di quella verificatosi nell'ultimo test elettorale, sintomo che i cittadini sono interessati maggiormente alle vicende che ovviamente li riguardano da vicino, piuttosto che al referendum sulla Nuova Caledonia, l'incarico di Sindaco viene considerato più prestigioso di quello di Deputato oppure, nei casi delle grandi città, di quello di Ministro.
Da noi, invece, non solo per il complesso di ragioni che abbiamo in parte già esposto, ma anche per le rilevanti, ed immotivate, attribuzioni di responsabilità oggettive, l'incarico di Sindaco, o di amministratore locale in genere, in questi ultimi tempi, sembra invece il primo che si debba, con accortezza, evitare.
È indubbio, comunque, che la riforma delle autonomie vada correttamente inserita nell'ambito di quella più vasta riforma elettorale che potrebbe rappresentare invece un'occasione importante, forse decisiva, per raccordare l'Italia con le grandi e sperimentate democrazie dell'Occidente, dove senz'altro pure si verificano scandali e lentezze, però, nel complesso, il sistema funziona, nel senso che garantisce risposte e servizi ai cittadini.
Ed anche con l'elezione diretta del Sindaco, mi sembra, ci potremmo più saldamente ancorare all'Europa.
Mi dispiace, però, il dover constatare che, in questi ultimi mesi, ed anche nel recente congresso nazionale della Dc, si sia più parlato della, ormai leggendaria, scadenza del 1992, piuttosto che di quella più prossima, ed ormai imminente, del giugno 1989, in cui, come sappiamo, si svolgeranno le elezioni per il terzo rinnovo a suffragio diretto del Parlamento di Strasburgo.
E non si può essere disattenti su argomenti del genere, che investono direttamente tutti i cittadini, e soprattutto quelli più deboli.
Le Autonomie Locali, invece, pensando europeo, superando conflitti di competenze, raccordandosi armonicamente e rifuggendo responsabilmente i campanili, possono davvero rappresentare la risorsa per il riscatto del Mezzogiorno, che ha bisogno di solidarietà e non di nuove provincie.
E bisogna poi considerare come nelle regioni meridionali, vista l'estrema povertà di beni disponibili, gran parte dell'economia ruoti attorno agli Enti Locali e quindi attorno ai partiti, con degenerazioni, anche di stampo mafioso, evidenti.
E nel mentre assistiamo all'indebolimento, se non alla scomparsa, del legame tra politica e cultura, registriamo, di converso, il rafforzamento, se non il predominio esclusivo, di quello tra politica ed affari.
Ma in questo, il comportamento delle forze politiche, con debite eccezioni, appare uniforme nella negatività.
Però è all'interno del Mezzogiorno che le Autonomie Locali devono avere un ruolo propulsivo,tanto più se si considera che i soldi del Sud vanno a finire al Nord per dei meccanismi dove non sono estranee le responsabilità degli Enti Locali meridionali.
Infatti, è stata quantizzata in 40.000 miliardi la ricchezza del Sud investita al Nord. Molti dei quali, circa 25.000, vengono utilizzati tramite la Cassa Depositi e Prestiti, che adopera i fondi provenienti dal risparmio postale, la cui raccolta, com'è noto, avviene essenzialmente nel Meridione.
Ma i soldi non li prendono tutti, solo chi è più rapido, infatti i Comuni del Nord sono più pronti a presentare i progetti e a chiederne i finanziamenti, mentre quelli del Sud non riescono a stipulare i contratti di mutuo entro i termini.
E questo succede anche per mancanza di stabilità amministrativa. Occorre, quindi, una forte inversione di tendenza, che faccia si che anche all'interno del Partito ci siano strutture stabili, permanenti, che diano supporti operativi concreti all'azione degli amminisratori, i quali vengono lasciati in balia delle onde e, anzi, più spesso, in balia della magistratura.
A questo proposito ho trovato una riflessione che a me è parsa importante, scritta non da un teorico, ma da uno che ha sperimentato sulla propria pelle le contraddizioni di questo sistema.
L'Avv. Francesco Di Caro, Sindaco di Matera per quattro volte in 18 mesi a partire dal giugno 1985, sostenitore convinto dell'elezione diretta del primo cittadino, qualche tempo fa ha scritto: «V'è da notare l'azione non sempre oculata della magistratura che criminalizza i Sindaci in forza della cosiddetta responsabilità oggettiva (Decreti penali, omissioni in atti d'ufficio e abusi innominati d'ufficio sono all'ordine del giorno), mentre restano intoccabili – perché protetti politicamente o sindacalmente – e non puniti i veri responsabili delle omissioni e degli abusi, e cioè di quei dipendenti comunali negligenti o incapaci nei confronti dei quali diventa impossibile instaurare o portare avanti anche un semplice provvedimento disciplinare».
Su queste cose, la Dc deve essere necessariamente presente, non per ascoltare lamentazioni o sfoghi, ma per garantire un imprenscindibile collegamento e supporto, indispensabile soprattutto verso la periferia, emarginata perché scollegata.
E dunque si avverte questo in quanto, tanto per fare un esempio, l'invadenza socialista, peraltro legittima, viene osservata con bronzea indifferenza.
Mi viene in mente Pavese: «Chi non si salva da sé, non lo salva nessuno».
Ed in questi termini occorre ragionare e predisporsi, se si registrerà la necessaria, ed auspicabile, consapevolezza.
Anche perché, in politica come nella vita, i processi di cambiamento seri, si possono solo ritardare, mai annullare. E chi rallenta tali processi senz'altro non compie opera meritoria.
Infine, un'ultima, ma fondamentale riflessione sulla finanza locale. Va bene che il debito pubblico veleggia attorno alla cifra terrificante di un milione di miliardi, però è errato scaricare sugli Enti Locali, che pure non sono completamente immuni da colpa, dei pesi notevolissimi.
Tanto più se si tiene conto che su oltre 8.000 comuni, la metà dei Sindaci sono Democratici Cristiani.
Non solo viene ridotto il trasferimento statale, ma occorre aumentare le tasse comunali ai soliti cittadini, come se non ne pagassero già abbastanza.
E mentre migliaia di miliardi non vengono sistematicamente dichiarati, la pressione fiscale, a vario titolo, si concentra soprattutto sui lavoratori a reddito fisso.
«Le cose che contano», come era scritto sui nostri manifesti elettorali, sono queste. Ma sarebbe bene ricordarcelo anche in altri periodi. In Inghilterra, per risanare il debito pubblico, si privatizzano i servizi e si vendono i beni dello Stato. Non vedo perché non dovremmo fare lo stesso noi.
Non si possono, infatti, costringere gli amministratori locali a predisporre i bilanci in pareggio e nello stesso tempo obbligarli a garantire i servizi, ed assumersi responsabilità serie, come quelle cosiddette «oggettive», dalle quali dipendono tutta una serie di reati, quelli ecologici, ora di moda, in primo luogo. La discarica deve essere a posto, i depuratori devono funzionare, il macello deve essere efficiente, i rifiuti devono essere separati, l'adeguamento degli edifici comunali alle normative antincendio deve essere garantito. Va bene. Giustissimo.
Ma per fare queste cose, i soldi dove sono? Com'è facile assegnare responsabilità senza trasferire risorse. Siamo nel surreale. Peccato che Salvador Dalì, l'incontrastato maestro del surrealismo, sia recentemente scomparso, altrimenti gli avremmo anche potuto commissionare un quadro sul'argomento. E senz'altro, vista la materia, avrebbe realizzato il suo capolavoro.
Sui debiti fuori bilancio, poi, un'altra riflessione occorre per forza compierla. Se il bilancio deve essere, in modo reale, pareggiato (lo Stato, però, dovrebbe dare l'esempio...), vista la limitatezza delle risorse esistenti, gran parte dei Comuni italiani, dati alla mano, non possono neanche garantire i servizi essenziali..
E quindi è indispensabile assumere delle spese senza la necessaria copertura finanziaria, per assolvere ai fini dell'Ente.
Ma è tutta la materia della finanza locale che dovrebbe essere rivista, aggiornata, meglio definita. In due parole: meno incerta.
In conclusione, per ridisegnare il ruolo dei Partiti, ma più ancora delle Istituzioni, occorre prima di tutto tenere nella debita considerazione una nuova, e migliore, definizione operativa delle autonomie locali, che, soprattutto nel Mezzogiorno, possono diventare motore del riscatto e del cambiamento.
E dobbiamo essere fortemente consapevoli ed intimamente convinti del ruolo straordinario che le autonomie locali giocheranno nel prossimo futuro, contrassegnato sicuramente dal fallimento di tutti gli dei del passato.
Mentre il rinnovamento della Dc e, insieme, quello della politica italiana non può restare, in eterno, un oscuro oggetto del desiderio, ma un obiettivo possibile da perseguire nell'interesse della società italiana.
Occorre, quindi, un partito in tensione, in movimento, anche perchè se non c'è il richiamo alle idee, ai valori, davvero questo tempo rischia di diventare troppo arido, scontato, «omologato».
Il ruolo storico, quindi, dei cattolici democratici rischia sul serio di fallire, in quanto, a volte, si ha l'impressione di combattere per una battaglia senza speranza, il .·cui esito negativo sia già noto in partenza.
Recentemente è stato pubblicato in Italia un libro dal quale è stato tratto un bellissimo film, «L'isola dei Pascali», in cui è raccontata una vicenda che, per alcuni aspetti, diventa una metafora dell'esistenza.
Nell'estate del 1908, in un'isola al largo dell'Asia Minore, c'è una spia del Sultano turco che invia da tempo dettagliatissimi dispacci.
Per vent'anni, Basil Pascali, questo il nome dell'informatore, ha spedito a Costantinopoli centinaia di relazioni per assolvere al compito per cui veniva pagato. Alla fine dell'ultimo rapporto, però, si rende conto che tutte le sue missive non erano servite a nulla, anzi, peggio, era stato al servizio di un mondo in disfacimento, di una causa ineluttabilmente perduta alla quale aveva, in definitiva, sacrificato tutta la sua esistenza. E la storia si conclude con un'affermazione amara e bellissima: «Non possiamo rivalerci sull'indifferenza affermando verità, ma solo gettando il seme del dubbio».
Questa vicenda, sebbene raccontata in celluloide, ci può essere senz'altro d'aiuto, se ci fa assumere consapevolezza certo della solitudine dell'individuo, ma anche della responsabilità della solidarietà, concetto pratico essenziale nell'agire politico dei cattolici democratici.
































