Nuovo ruolo per le regioni
La riflessione in atto sulla riorganizzazione del movimento giovanile, se non vuole appiattirsi in sterile ingegneria regolamentare, deve tentare di cogliere le linee di tendenza, attraverso le quali la nostra generazione va caratterizzandosi.
L'anno internazionale della gioventù prima e il fenomeno dei «ragazzi dell'85» poi, hanno spinto ad un'ampia riflessione sulle tematiche inerenti la cosiddetta «questione giovanile».
Un dato comune sembra emergere: in un periodo di crisi strutturale, la nostra generazione tende ad appiattirsi nel presente. Priva di punti di riferimento, di certezze per il domani, sembra incapace di proiettarsi al di là del quotidiano, di costruirsi esistenzialmente in una tensione al futuro. Sono molti gli elementi che concorrono a creare questa condizione di disagio che scoraggi le scelte se non definitive comunque impegnative nel tempo. Per fare un esempio si pensi allo scollamento tra sistema formativo e il mondo della produzione, e quindi alle difficoltà di creare un itinerario, se non certo, almeno probabile, tra il momento della preparazione scolastica e l'inserimento nel mondo del lavoro.
Un altro dato interessante ci viene fornito dal Censis. I valori più importanti per i ragazzi dell'85 sono: riuscire nel lavoro e nello studio (42%); gli amici su cui contare (13,2%); l'amore del ragazzo e della ragazza (11,4%); un buon rapporto con la famiglia (10,7%).
Si delinea così un secondo elemento, oltre ad essere schiacciata nel presente, questa generazione punta molto sull'individualità, sul piccolo gruppo.
Si crea quindi subito un primo problema di impatto con una concezione di politica che vuole essere progettualità, solidarietà e non corporativismo. L'incapacità di saper superare la tentazione del «tutto e subito» rischia di creare un vuoto di credibilità e di conseguenza di legittimazione, generato da una sorta di incomunicabilità tra chi desidera una sicurezza individuale e chi propone un rischio collettivo per un miglioramento comunitario.
Un punto di contatto ci viene però offerto da un altro dato interessante. Se da una parte c'è una sfiducia un po' generalizzante ed assai diffusa nei confronti dei partiti, accompagnata o forse generata dal crollo delle ideologie sacralizzanti, dall'altra si riconosce un ruolo positivo, anche se limitato, alla politica quale possibile canale di soluzione dei problemi contingenti.
C'è chi semplifica questa situazione e tende a vedere da una parte gli ambiti amicali, l'associazionismo spontaneo, gli spazi di volontariato ed individua in essi la sfera dei valori a cui contrappone quella della politica-partitica tutta burocrazia ed intrallazzi.
Se si nota questa disarmonia tra mondi vitali e d'istituzione, non si può però dedurne una contrapposizione. C'è anzi una necessità di compenetrazione tra la sfera del senso e quella della decisione. Non è più questo il tempo della sospensione dell'etica, del sacrificio dell'etica nella politica (da Machiavelli a Weber) non è cioè possibile pensare «a decisioni, senza senso» né a «un'etica priva di una dimensione futura».
La politica, infatti, non può operare senza consenso, perché la scarsità di risorse la obbliga a darsi una dimensione di progettualità, cioè di selezione e programmazione dei bisogni. Ciò non può che avvenire in base a scelte di valore che rilegittimino anche «il sacrificio», assente nella dimensione del presente, in cui, a dire il vero, spesso non solo i giovani, ma anche i partiti sembrano stagnare.
Il problema diventa allora: di quali strumenti il Movimento Giovanile deve dotarsi per essere in grado di riconciliare etica e politica?
Il doppio status, infatti, o la doppia adesione, altro non rappresentano che i due elementi da riconciliare.
Notiamo una difficoltà di rapporti tra spontaneità, valori immediati e percorsi decisionali complessi e poco chiari, ed invece di porci quali elementi di raccordo, non facciamo altro che portare al nostro interno, il fenomeno verso cui dovremmo essere funzionalmente risolutori?
Questa mi pare più che una soluzione, un adeguamento allo status-quo, una rinuncia a giocare un ruolo dinamico e propositivo, proiettato in avanti; fermandosi invece al tentativo di inglobare il sociale. La strada da percorrere potrebbe essere invece quella che si sforza di dare maggiore chiarezza e credibilità alla militanza decisionale. Occorre raddrizzare i sentieri della partecipazione rendendoli più «sensati» e più facilmente «accessibili».
In questo senso, due possono essere le direzioni da seguire:
- rendere più «accessibile» lo spazio ed il luogo della militanza. Qui la strada giusta è quella indicata da Lusetti con la «politica della convivialità» alla Ivan Illich, anche perché questa non cozza, con «la fatica del pensare» che è lo stile a cui maestri come Lazzati ci richiamano. Se mai il rischio è che la convivialità non sia poi finalizzata solo a realizzare una migliore convivenza, ma diventi unico momento di senso teso a sopperire alla incapacità di tradurre la spinta originaria di valore che al suo interno si esprime nello sforzo quotidiano della decisione.
Anche «la convivialità» della politica nuova rischia di impedire la riconciliazione tra senso e decisione divenendo essa stessa surrogato di un'etica che non passa. - avere il coraggio di rivedere la struttura organizzativa. Dando la precedenza ad una funzionalità che, pur nel rispetto degli orpelli della democrazia, sia non il trionfo di un formalismo che riduce tutto alla riproduzione degli apparati, ma uno spazio che valorizza le risorse senza soffocarle nella burocrazia.
L'obiettivo del nuovo regolamento deve cioè essere quello di permettere al Movimento giovanile di autoregolamentarsi, facendo tesoro dell'esperienza passata, attraverso una flessibilità ed elasticità normativa, garante di certezze essenziali contro ogni possibile arbitrio.
La proposta concreta che può incarnare questi due elementi è quella di una regionalizzazione, che, a livello nazionale, senza scivolare nel federalismo, si fondi su una regolamentazione uniforme per ciò che è comune, ma lasci poi spazio all'autodeterminazione a livello locale su ciò che è peculiare.
Questo timido abbozzo di proposta però non può che essere approfondito in una sede di dibattito più appropriata: l'assemblea organizzativa o il Congresso.



















































