Sulle tracce del nuovo statuto
Oggi stiamo vivendo uno di quei periodi di vigilia che precedono un grosso avvenimento e che devono essere caratterizzati da un nutrito dibattito e da un vivace scambio di idee, pena l'arrivare impreparati. Il grosso avvenimento è. ovviamente, l'assemblea organizzativa del maggio prossimo e la susseguente approvazione (almeno spero) del nuovo statuto MG.
Non che io voglia caricare troppo di significati un avvenimento che molti relegano a puro momento di ristrutturazione interna, ma ritengo essenziale dare il giusto peso al fatto che stiamo passando da un regolamento ad uno statuto e che, comunque, ci stiamo dotando di uno strumento che, pur mantenendo solo una funzione «strumentale», è indicativo di dove il MG voglia andare.
Si parla infatti di alcune «cose nuove», «trasgressive» (per riprendere un vocabolo che forse si è dimenticato)... a mio avviso altro non sono che il giusto supporto per poter proseguire sul cammino che ci siamo dati a Maiori, volgendo le spalle ad un certo modo affaristico o di personale trampolino di lancio di concepire il giovanile.
L'articolo è un tentativo di aprire un dibattito sullo statuto, ma per farlo occorre prima delineare in breve la mia concezione di Movimento Giovanile. D ndo per scontate tantissime cose e dicendo solo che ogni attività deve ruotare intorno all'irrinunciabile funzione formativa (pensare per proporre, questo per me è il gusto della politica), centrerò questa prima parte sui concetti di «frontiera» e di «mediazione».
Il MG deve essere frontiera demarcante la società civile da quella politica; cinghia di trasmissione che agisce su ambedue i suoi perni. Se ci pensiamo un attimo la frontiera è quel pezzo di terra posto tra due limiti che fanno parte di due diverse entità. Tanto più sarà lungo quel pezzo di terra, tanto più saranno lontani i due mondi: il fine ultimo è di arrivare a che la frontiera non ci sia più.
Fuor di metafora: MG come frontiera vuol dire un µiovimento che sappia essere contemporaneamente nelle due diverse società che tentiamo di unire, col compito di recepire le istanze di base per trasformarle direttamente in proposte politiche. Ma va sottolineato che le istanze che ci provengono dalla società civile sono già politiche; o almeno lo sono in quel senso che oggi ha assunto il termine «politica» per molti giovani, cioè capacità di compiere scelte, controllo della sfera quotidiana e mobilitazione collettiva.
Per molti versi, nella coscienza della gente comune, chi fa politica è il cosiddetto volontario, cioè colui che dà delle risposte immediate ai problemi che di volta in volta si pongono nella comunità umana di appartenenza.
E, se voglamo, tale concetto di politico non è sbagliato: impegnarsi in un partito, infatti, è la stessa cosa che impegnarsi in una associazione a favore di handicappati o tossicodipendenti. O almeno lo è nelle motivazioni che spingono l'agire e nella gratuità del servizio. La differenza è riscontrabile solo dia un punto di vista strategico (mi si passi il termine) e di visione globale: «la politica è il più alto ed il più difficile dei servizi – osserva Lazzati – perché è sintesi e progettualità di tutti».
Ma, per tornare alla metafora, MG che sappia modellare il partito a queste nuove esigenze. Fine ultimo non essere più frontiera, perché non ce n'è più bisogno, perché si è arrivati alla democrazia compiuta.
Utopia? Forse, ma se non abbiamo un fine a cui tendere (e può solo essere questo il fine terreno riscontrabile in quel progetto che sta sopra di noi e che dà senso ad ogni tappa del nostro cammino) perché camminare?
Ecco allora che, passando sopra a tante altre cose, il tutto ruota intorno alla categoria di mediazione, così come la intendeva Maritain, che non deve avvenire fra interessi contrapposti ma tra idee di risoluzioni, tra utopia e realtà, tra necessità e ideale.
Una mediazione che deve avvenire a tre livelli diversi: prima in noi stessi, per saper essere laici in politica, cioè per saper perseguire quella «unità dei distinti» che è condizione essenziale per non cadere nello sbaglio di fare della Fede una barriera ideologica. Poi nel partito, con la capacità di superare le logiche che ci portano a privilegiare, nel momento della scelta, «l'amico mio» alla persona che è competente e che sa svolgere con moralità un dato compito. E infine nella società civile, per non fermare lo sviluppo di una comunità in cammino frapponendo ostacoli burocratici e per non limitarci a fare dell'assistenzialismo fine a se stesso.
Educarsi al sociale favorendone lo sviluppo; trasformare il politico con proposte: ecco, in breve, i due compiti del MGDC.
E se le cose qui esposte sono gli obiettivi del nostro movimento ecco che, allora, diventa automatica la spiegazione e le richieste di quelle «cose nuove» di cui parlavo ad inizio articolo.
Innanzitutto, se vogliamo davvero essere «frontiera» senza rinunciare all'utopia finale e senza scadere solo a trovata pubblicitaria per portare giovani al partito, è necessario lo statuto e non un altro regolamento. Occorre soprattutto essere slegati da una struttura organizzativa e avere la possibilità di inventarsi maniere e forme di intervento a seconda della realtà nella quale si sta lavorando. Non è possibile, cioè, essere legati alla struttura sezionale quando esiste un comitato cittadino o un CIL o una sezione di ambiente nei quali è importante intervenire prioritariamente.
Un intervento sul territorio, perciò, che faccia riferimento alla struttura del partito ma che non sia obbligato a seguirlo.
E legato a questo discorso ve n'è un altro dal quale non si deve prescindere: quello della regionalizzazione.
Il nuovo statuto, infatti, non dovrà essere vincolante per ogni comitato provinciale dalle Alpi allo stretto. Vi dovranno essere delle indicazioni di massima entro le quali, però, ogni realtà locale possa trovare una sua autonomia organizzativa in base alle esigenze.
Ed ecco allora che troviamo anche il compito dei comitati regionali, che così come sono oggi strutturati (permettetemi) non servono a nulla: a loro la funzione di coadiuvare i livelli provinciali nello sforzo organizzativo, di mantenere i contatti tra le varie province (facendo incontrare con regolare frequenza i delegati provinciali) e, soprattutto, di organizzare la formazione di secondo livello (cioè più approfondita e specifica) per i vari responsabili locali. Qui bisognerebbe aprire una parentesi su come intendo la formazione ma, per problemi di spazio, passo oltre.
Sempre per raggiungere il compimento di quel concetto famoso, è necessaria un'altra cosa: il MG deve avere gli strumenti per poter agire con la stessa incisività nella società civile come in quella politica, pena l'inutilità di una presenza. Dobbiamo essere in grado di capire con un certo anticipo dove sta andando la gente per poter preparare amministrazione e mondo politico al mutato panorama. «Governare le trasformazioni», «dalla protesta alla proposta» ... gli slogan che spiegano questo concetto si sprecano. Allora il MG che serve è un movimento che al suo interno abbia una doppia anima (ovviamente intersecata): una che potremmo definire associativa e presente sul territorio ed una, per dirla con Alberoni, istituzionale.
Da qui la necessità del tesseramento autonomo (o adesione al manifesto programmatico), per aprire il MG a coloro che vogliono essere iscritti al partito o, meglio, di avere la doppia adesione. Questo, ovviamente, si impone data la volontà di trasformare in proposte politiche le istanze di base. Ma, per farlo occorrono amici che, impegnati nella struttura del partito, siano in grado di formare (con l'aiuto di tutti coloro che condividono il progetto) una cordata lungo la quale far risalire le varie elaborazioni. Il voto deliberativo in direzione, che qualcuno mette in discussione, è perciò parte integrante del Movimento Giovanile e non è meno importante della strutturazione diversificata per regione. Qualcuno (presumibilmente «anziano») dirà che chiediamo la luna: «Vogliono essere indipendenti, ma poi non rinunziano al voto in direzione».
Nessuno, a mio avviso, chiede la luna; qui si tratta di dotarsi di mezzi per raggiungere quella utopia di democrazia compiuta, per costruire la «città dell'uomo», che è il nostro unico obiettivo.
Oggi più che mai è imperativo che il partito creda nel MG, ma ci creda seriamente. Se questo sforzo verrà fatto, l'importanza di avere la già spiegata doppia identità sarà lampante a tutti, come chiaro sarà che non stiamo chiedendo la luna, ma solo adeguandoci ai tempi di oggi. E se ci si incammina su queste linee, cadono i problemi relativi all'età degli aderenti al MG. Infatti o si pensa ad un alzamento pari a quello dei giovani tedeschi (32 anni se non vado errato), ma ciò vorrebbe dire rimettere in discussione il tutto e poi non è una soluzione che mi entusiasma, oppure il limite di 26 non compiuti mi sembra la cosa migliore.
Diverso è il discorso riguardo alla durata della carica. Ritengo giusto portarla a tre anni, in modo da avere il giusto tempo per orientarsi e lavorare sulla media ditanza. Tale proposito, però, cammina di pari passo con l'obbligo di celebrazione del congresso di rinnovo entro i tre mesi seguenti la data della scadenza.
A metà maggio avremo l'assemblea organizzativa per costituire il nuovo statuto. Credo che tale scadenza debba vedere attenti tutti i comitati provinciali, che non possono non dedicare alcuni momenti dei loro lavori ad un dibattito su tale argomento. Solo se arriveremo a maggio con le idee chiare saremo in grado di lavorare fruttuosamente per cinque giorni, viceversa ci dimostreremo che le cose dette e fatte da Maiori a oggi lo sono state, per i più, senza convinzione.















































