Più partecipazione meno burocrazia
Prima è però necessario verificare se sono condivise, almeno fra noi, alcune idee di fondo che riguardano la lettura dei problemi della società, il ruolo del Movimento Giovanile ed i rapporti col partito, per evitare che venga dato per scontato il nostro unanime consenso al complessivo progetto che, senza clamori, ma anzi attraverso la silenziosa gestione quotidiana, si viene delineando. Per fugare l'impressione che la nostra politica sia corretta nelle premesse ma non consequenziale nelle conclusioni.
Abbiamo sempre sostenuto che la crisi contemporanea è crisi di identità, di valori e di speranze che rende difficile l'affermazione di una diffusa e condivisa coscienza sociale; abbiamo maturato la consapevolezza che le persone siano colpite direttamente da questa crisi, perché ad essa si accompagna il declino dei movimenti, cioè dell'occasione che è data all'uomo di fare la propria storia orientando lo sviluppo e determinando la fisionomia e la condotta delle istituzioni.
Però è mancata, finora, la piena consapevolezza che la crisi della politica consiste nell'egemonia delle burocrazie politiche e dei gruppi d'interesse, che gestiscono le istituzioni attraverso compromessi e scambi in funzione di obiettivi di parte, condizionando la partecipazione e strumentalizzando il consenso.
Quindi la condanna di questi comportamenti non è andata oltre la generica disapprovazione.
L'assenza di approfondimento proprio su questi temi fondamentali è foriera della nostra preoccupazione: non è corretto attribuire l'affermazione del «professionismo politico» al solo diffondersi delle logiche qualunquistiche ed individualistiche che hanno condotto al disimpegno di singoli e gruppi che invece avevano ed hanno l'obbligo di partecipare all'organizzazione della società, per· così giustificare la ricerca di un modello organizzativo del partito capace di trascurare gli apporti esterni. La giusta fine del collateralismo fra associazioni cattoliche e democrazia cristiana, è vero, è stata intesa e vissuta da molti come"giustificazione del disimpégno, come arretramento verso ambiti privati di vita e di lavoro. Ma, non meno di chi ha rinunciato, anche chi è rimasto dentro il partito ha trascurato gli antichi valori di socialità e militanza che sono alla base dell'impegno storico dei cattolici. Diversamente il pur vertiginoso cambiamento delle condizioni di vita non avrebbe potuto coglierci tanto impreparati.
Sarebbe quindi colpevole, nel Movimento Giovanile, affrontare i temi della crisi solo in termini di governabilità, e per essa domandare il consenso, senza porsi il problema della promozione e della tutela della partecipazione nel Paese e nel partito. Occorre che i giovani reclamino una dimensione istituzionale della partecipazione nell'organizzazione dello Stato, valorizzando il ruolo delle autonomie e riempiendo di contenuti sociali il metodo della programmazione.
Al di fuori di questa prospettiva sarebbe forse più facile contenere la crisi economica, ma impossibile governare la società, perché interverrebbero squilibri sociali e territoriali tali da provocare l'emergere di nuove tensioni.
Lo scontro di interessi delle forze economiche e sociali non può garantire l'uguaglianza e la partecipazione; diventa quindi essenziale la funzione della politica. Perciò il dibattito politico non può limitarsi ai soli temi dell'architettura istituzionale, dell'alternativa, dell'indissolubilità del quadro politico. La progettualità dei partiti deve confrontarsi piuttosto sul piano dei contenuti e degli obiettivi specifici dell'azione politica. Da ciò deriva l'esigenza di irrobustire i rapporti con la realtà sociale e culturale che, storicamente, viene prima dei partiti. In questo la D.C. potrebbe essere agevolata dall'esistenza in Italia di un radicato tessuto di associazioni cattoliche democratiche. La nostra capacità progettuale, se non vuole scivolare sul piano accademico della politologia, deve alimentarsi quotidianamente di questi rapporti e dei contributi di idee ed energie che possono derivarne. Deve alimentarsi del contatto concreto con la gente concreta; se la politica serve all'uomo per convivere e crescere, non può prescindere dalla conoscenza della condizione vera dell'uomo: questo è – nell'interpretazione dell'Assemblea Nazionale del 1981 – il senso del nostro connotato di partito popolare, cioè di partito che vuole continuare ad essere composto dello stesso materiale di cui è fatto il popolo.
All'orizzonte si intravvede invece il pericolo che la politica possa diventare una scienza aristocratica, finalizzata a servire paternalisticamente un popolo che non la può comprendere. Per contrastare questa segreta tendenza occorre riproporre la politica in una prospettiva di socialità, idealità e militanza; per confermarsi soggetto storico promotore di giustizia e di partecipazione, di democrazia e di sviluppo, di dialogo e di speranza. Questo obiettivo sarà realistico se le nostre azioni ed i nostri programmi riaffermeranno una concezione della politica come servizio e come solidarietà, una politica, cioè, capace di «ripartire dagli ultimi», che sono il segno drammatico della crisi attuale. Una politica capace di misurarsi non sul vuoto di tanti discorsi e sull'immagine costituita da coreografie sfavillanti e spettacolari, ma su progetti concreti che abbiano senso.
Si impone un nuovo impegno politico ideale e militante, fatto di coerenza, di umiltà, di ricerca di confronto, di rinuncia alle tentazioni della prassi del potere. Dopo il convegno ecclesiale di Loreto il senso dell'impegno politico come dovere etico è stato recuperato anche fra le parti più sensibili del movimento cattolico; il Movimento Giovanile può candidarsi ad essere la sede privilegiata di tale impegno, ma per questo bisogna evitare alcuni errori di ingenuità e molte pericolose connivenze: occorre bensì saper contemperare gli ideali con la situazione concreta, in modo da non accarezzare obiettivi non realistici, sapendo di dover operare in questo partito e non in un utopistico sodalizio governato solo dai buoni sentimenti; ma non si deve mascherare dietro il consapevole realismo acquiescenze e complicità che invece tradiscono la piena integrazione nel sistema.
In passato nel partito è stato commesso l'errore di credere che la forza e la suggestione del potere potessero sostituire le diverse maniere di conquista del consenso; ma oggi, paradossalmente, si coltiva l'illusione di godere di un'opinione favorevole, quasi che l'aver confessato questi errori equivalesse a non averli mai commessi e la moralità dei nostri uomini non fosse mai stata posta in discussione. C'è inoltre la tendenza ad ostentare una «cultura politica», con la quale si pretende di sostituire il più umile confronto sui problemi concreti.
Così si rende più difficile la partecipazione e si favorisce il dilagare della degenerazione burocratica che allarga la frattura tra partito e movimenti. Ma, come sappiamo, è proprio questa frattura a rafforzare il potere delle gerarchie interne, che verosimilmente hanno interesse a mortificare la partecipazione perché potrebbe mettere 'in discussione il loro potere ed i loro programmi.




















































