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Giovani e politica: qualche sorpresa tra i luoghi comuni

Nuova Politica - Giovani e politica: qualche sorpresa tra i luoghi comuni pagina 24
Nuova Politica - Giovani e politica: qualche sorpresa tra i luoghi comuni

Lo IARD di Milano ha promosso un'inchiesta, nell'autunno '83, su un campione nazionale di 4.000 giovani, di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Il materiale e gli esiti di questa ricerca sono raccolti in un volume dal titolo «Giovani oggi», in corso di pubblicazione presso «II Mulino», articolato nelle seguenti tematiche: «Percorsi ed esperienze nella scuola», (V. Cesareo), «II lavoro e i suoi significati» (I. Romagnoli), «Associazionismo e partecipazione politica» (L. Ricolti), «La famiglia e le amicizie» (A. Cavalli), «Tempo libero e consumi giovanili» (A. De Lillo), «La devianza e la droga» (A. Cavalli).

Un libro-inchiesta fondamentale per tutti coloro che fanno politica e riflettono sulle realtà giovanili (v. anche «Tempo di vivere», una raccolta di saggi socio-antropologici e culturali di vari autori, edito dalla «Franco Angeli»).

Il n. 3 (maggio-giugno '84) della rivista «Il Mulino» contiene una parte di uno dei contributi suddetti: «I giovani e la politica», curato da Luca Ricolti. Quattro i temi su cui si focalizza l'analisi: le vecchie e nuove concezioni della partecipazione politica, gli orientamenti elettorali, l'inversione di marcia della sensibilità politica e culturale femminile, la ripresa di aggregazione del mondo cattolico. Questo breve saggio, confortato da cifre e rilievi empirici, contiene diversi spunti di indubbio interesse, e riporta anche dati inattesi e sorprendenti. Il punto di riferimento costante per un confronto con la generazione «sessantottina» sono due inchieste, una condotta dalla Doxa per conto della Shell nel 1969, l'altra finanziata dall'Isvet e condotta nel 1970.

Innanzitutto, il nuovo modo di concepire la politica. Prendendo come spunto la ripartizione di un frutto (nocciolo, polpa, buccia) e associando a questa tre differenti livelli di partecipazione politica (militanza, attività saltuaria, interesse per la politica), si ricava, sulla base del raffronto delle risposte delle diverse inchieste, uno spaccato apparentemente inspiegabile.

Infatti non solo, negli anni della contestazione, la partecipazione politica dei giovani era più ridimensionata e meno «di massa» di quel che si pensi, ma la stessa area degli interessati era diversamente strutturata al suo interno· e questo nel senso che, se oggi ci sono meno militanti rispetto al '69/70 (dal 6% al 3%), è anche vero che ci sono meno giovani solo genericamente interessati alla politica (dal 50% al 43%) e soprattutto sono in numero maggiore rispetto a quel biennio gli «attivi saltuari» cioè coloro che «prendono parte, anche saltuariamente ad iniziative pubbliche di carattere politico» (dal 22% al 36%). Dunque, cala il «nocciolo», si assottiglia la «buccia» (coloro che seguono dall'esterno gli avvenimenti da non confondersi con coloro che delegano o rifiutano la politica, che calano anch'essi del 7%) mentre strano ma vero si espande la «polpa» cioè le forme di militanza saltuaria e intermittente. Tra le tante spiegazioni, l'autore ne azzarda una: la transizione da una politica come «dimensione pervasiva» cioè totalizzante, della vita, a una concezione di questa più quotidiana accessibile desacralizzata «normale», che proprio in quanto tale è più diffusa tra i gjovani ma insieme meno importante per un giovane. Sulle «preferenze» politiche: confrontando le risposte dei giovani dell'83, da un lato, con quelle dei gjovani del '70, dall'altro, col voto degli adulti dell'83 (Senato), emerge un elettorato giovanile attuale più a sinistra e, soprattutto, più laico, non solo rispetto agli adulti di oggi, ma anche rispetto all'insieme dei giovani del '69/'70.

Inoltre, dal fatto che il primo massiccio spostamento di voti a sinistra nel Paese avviene non agli inizi ma a metà degli anni '70, l'autore desume l'ipotesi della generazione giovanile come «cerniera» per quelle immediatamente successive, e nello stesso tempo come «cinghia di trasmissione» ideologjca per il resto di una società. Il limbo in cui sono confinate le attuali proposte politiche giovanili non sarebbe che la conseguenza di un fatto tanto evidente quanto acquisito: le generazioni odierne hanno smarrito l'eredità del passato, e nello stesso tempo hanno sterilizzato la loro fecondità innovativa e progettuale per il futuro.

In terzo luogo, Ricolfi rileva «l'eclissi del tradizionalismo femminile» sostenendo la contrazione della forbice tra valutazioni di maschi e femmine su tutta una serie di questioni etiche religiose e politiche anzi una linea di tendenza di segno inverso rispetto ai maschi qualora si considerino le studentesse di scuole superiori e le ragazze del Nord.

Su questo terzo punto (come pure sull'analisi delle opzioni elettorali), accanto a molti spunti originali e interessanti vanno rilevate alcune dicotomie un pò troppo rigide e valutazioni a volte opinabili. In particolare i nota più o meno implicitamente la contrapposizione tra una «triade positiva» (il giovane laico-progres ista-impegnato che vota a inistra) e una «triade negativa» (il giovane credente-tradizionalista – «rifluito» – che vota DC): la sommarietà, anzi, la infondatezza di queste equazioni e di queste ripartizioni è evidente.

In ultimo il mondo cattolico, e anche qui c'è qualche documentata sorpresa: in un contesto di generale secolarizzazione (il che vale anche per i giovani) emerge una maggior coincidenza tra «religiosità» e «pratica religiosa» e questo per l'autore significa sia una fede meno diffusa ma più motivata e «coerente», sia la ripresa di un ruolo di aggregazione giovanile esercitato dalla Chiesa, specie attraverso le parrocchie e i movimenti.

Mi sembra interessante, infine, sottolineare un'intuizione-chiave di lettura di Ricolti, che rappresenta un pò il filo rosso che accompagna quasi sotterraneamente tutte le riflessioni, per essere poi esplicitato alla fine del saggio: «II mondo che i pochi dati che abbiamo esposto contribuiscono a disegnare ci appare dunque assai più variegato e ricco di articolazioni interne di quanto una visione di insieme lasciasse supporre. Soprattutto ci appare attraversato da tempi e processi tra loro differenti, che rendono quanto mai difficile identificare una linea di sviluppo unica, o anche soltanto privilegiata».

Siamo in una fase teorica in cui il senso della «complessità» domina, e giustamente, ogni riflessione socio-politica, e credo che «complessità» significhi anche l'adozione di un metodo di lettura storico non più solo diacronico ma anche sincronico: la storia di una società non è più, come si credeva, un grande fiume che riassume in un unico alveo tutti i detriti e i frammenti, ma spesso è più simile a una moltitudine di affluenti che si staccano, s'intersecano, si ricongiungono.

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