Radiografie della società italiana
Due anni fa, uscì presso la «Franco Angeli» un volume («Gli anni del cambiamento. Il rapporto sulla situazione sociale del paese dal 1976 al 1982») che raccoglieva alcune riflessioni compiute dal CENSIS negli ultimi anni, in cui si delineava anche la «filosofia» di questo ente, cioè la lettura che esso faceva della società italiana.
Questo volume suscitò un dibattito a più voci, e tra queste quella di Gerardo Chiaromonte che su «Critica marxista» n. 4/83, formulò rilievi e critiche, con un saggio dal titolo «Particolarismi, sviluppo 'spontaneo e identità nazionale».
Il n. 6/83 della stessa rivista ospitò poi un intervento, che fu in pratica una replica di Giuseppe De Rita segretario generale e «padre» del CENSIS: «La nazione italiana: una discussione coi comunisti».
Tutto questo dibattito, con l'aggiunta di un'interpretazione, è stato riassunto da un articolo di Vincenzo Cesareo sul n. 7-8 di «Vita e Pensiero» dal titolo «La vera anima della società italiana».
L'analisi del CENSIS è riassumibile in una quadripartizione dello sviluppo italiano dell'ultimo quindicennio: all'originaria presa di coscienza del peso specifico dei processi «spontanei» nel nostro paese (1967-71) ha fatto seguito prima «l'emergere del sommerso» e «la capacità di adattamento e di 'galleggiamento' del sociale» (1972-77), poi (dal 1977 ad oggi) «un consolidamento dei fenomeni che erano maturati negli anni precedenti», finché attualmente i nodi, nel bene e nel male, sono venuti al pettine, e in questo caso i nodi sono i problemi di ricucitura e di razionalizzazione dei segmenti della «società indistinta» (v. l'ultimo rapporto CENSIS). La critica di Chiaromonte alla «filosofia» del CENSIS riguarda l'analisi e le conseguenze ideologiche: l'analisi, perché si sarebbe privilegiata la riflessione sulle dinamiche «materiali e oggettive», trascurando quelle «ideali e politiche»;
le conseguenze di questa analisi, individuate in un'esaltazione un po' troppo acritica della analisi, individuate in un'esaltazione un po' troppo acritica della società civile e soprattutto del suo «spontaneismo», e in una sottovalutazione della dimensione del suo «spontaneismo», e in una sottovalutazione della dimensione e della funzione politica.
Cesareo replica in ordine alla presunta acriticità di una presunto «società civile è bello», rileva come siano dovute al Censis certe intuizioni sul <muovo» emergente, sottolinea come sia merito soprattutto del «privato» l'aver retto da parte del nostro paese l'urto dell'innovazione tecnologica, e infine sostiene che tutto il dibattito tra il CENSIS e l'intellettuale marxista è riconducibile al confronto tra due scuole di lontane radici: quella «societaria» (Locke, Tocqueville e dintorni) e quella «statalista» (Hegel, Marx e ogni altra ipotesi che affermi il meccanico dissolvimento del «civile» nel «politico» e la priorità di questo rispetto a quello).
Resta sottintesa l'esigenza di tutta una serie di mediazioni storiche per ridiscendere fa Marx a Chiaromonte e da Locke a De Rita: questo però non toglie, sostiene Cesareo, che la priorità nel processo di guida nello sviluppo del paese attribuiva all'uno o all'altro soggetto sia spia di un'appartenenza ideologica (e questo vale soprattutto per Chiaromonte) che manifesta qui i suoi esiti. Cesareo conclude auspicando una feconda dialettica tra i due poli, evitando tanto l'assistenzialismo statalistico quanto un certo neoliberismo rampante da scuola di Chicago (che non è certamente la caratteristica di De Rita), concludendo comunque con un appunto al mondo cattolico, che a volte in nome di un tonioliano «primato del sociale» dimentica la responsabilità del «politico» e rifluisce in un miope antistatalismo.















