Il Convegno del coraggio
È forse ancora presto per dare un giudizio articolato e consapevole di un evento così complesso come il convegno ecclesiale che si è tenuto a Loreto la settimana dopo Pasqua. Potremmo definirlo il «convegno del coraggio» quello della chiesa Italiana a Loreto che ha visto l'altrettanto e ancor più coraggiosa presenza di Papa Wojtyla. Il coraggio della profezia, il coraggio della parola e della denuncia, il coraggio di fare «mea culpa» per omissioni, reticenze e latitanze, il coraggio della condanna delle divisioni tra i gruppi ecclesiali e quello di ribadire l'autonomia della chiesa rispetto alla politica ed ai partiti, ma anche nell'invocare la coerenza dei cattolici nell'impegno sociale e politico e nel riaffermare, come ha fatto il cardinale Pappalardo. il diritto di presenza dei cattolici, nella vita del paese, presenza «possibile, necessaria e doverosa».
Eppure a leggere i resoconti di certa stampa, sembra che tutto il convegno di Loreto si sia giocato sul tavolo del «ritiro del consenso» della Chiesa italiana proprio a quel partito dei cattolici i cui uomini e la cui storia hanno portato contributi «qualificati e determinanti» sono parole di Pappalardo «alla vita del paese nel suo mestiere».
Ma non è così. Il convengo di Loreto non è riducibile a mero discorso politico e nemmeno vi si può intravedere il segno di un dirottamento del consenso verso altri fronti, in nome di un falso rispetto del pluralismo e di un dialogo ingenuo cd abdicante all'identità cristiana.
Loreto è e resterà, invece, l'appassionata ricerca dell'unità interna alla Chiesa, quindi l'anelito permanente alla riconciliazione che ne è il presupposto ineludibile, e il punto di partenza perché i cristiani, riconciliati fra di loro siano fermento di riconciliaziohe nel mondo.
Non è compito facile. Questo convegno che all'insegna di un tema solo apparentemente intimistico si annunciava, scarsamente vivace e poco problematico, si è invece sviluppato su un piano di forti tensioni anche se non di contrapposizione e di una vastissima problematicità.
La diversità tra la concezione del proprio essere chiesa e il relativo rapporto con la storia, trasaliva dagli interventi nelle varie commissioni, ventisei per l'esattezza. Il dibattito sulla scelta religiosa investiva molteplici livelli: ecclesiologico, culturale, politico, pedagogico.
Il convegno di Loreto ha offerto le condizioni culturali e teologiche per approfondire questo aspetto. Se si vuole inquadrarlo in una prospettiva storica più ampia, si può notare come in esso si rifletta un difficile momento di transizione. Dal Concilio sono scaturiti un'immagine di chiesa e un modello di
rapporto chiesa-mondo che impegnavano i cattolici ad un profondo rinnovamento. Fino a pochi anni prima il cattolicesimo italiano aveva cercato la
propria identità in termini di contrapposizione agli altri; i comunisti innanzitutto, poi i «laici», più in generale il mondo moderno, possibilmente la società borghese. Se oggi si discute molto sulla «scelta religiosa» e si stenta a capirla è perché non c'è stata un'adeguata crescita della chiesa italiana e secondo l'immagine conciliate. Essere impegnati nella vita civile è certo importante. Ma spesso nella presenza politica e sociale si cerca una supplenza ad una identità che non si riesce a trovare nella comunione ecclesiale perché vi è una carenza dei momenti forti della esperienza religiosa. È stato lo stesso Pappalardo a ricordarlo nella sua introduzione a Loreto quando ha detto «né integrismo né secolarismo viene ampiamente affermato». Ma al di là del facile slogan rimane da determinare tutto uno stile di incarnazione e di trascendenza, una cultura ed una spiritualità della riconciliazione.
L'intervento del Papa a metà convegno ha indubbiamente riscosso un'attenzione e tracciato una linea non secondaria per il lavoro delle commissioni. Del resto Papa Wojtyla lo aveva detto con chiarezza ai vescovi italiani nel suo intervento alla 24ª Assemblea straordinaria
della Cei, nell'ottobre scorso. «Il convegno – aveva sottolineato, affrontando il tema dell'imminente assemblea generale della chiesa italiana – dovrà indicare una traiettoria comune di marcia». È l'unità della posizione dei cattolici – come strumento di una più efficace testimonianza e di una affermazione dei valori cristiani nella società contemporanea anche con l'impegno politico – è stata la direttrice lungo la quale il Papa ha sviluppato il suo contributo di Loreto.
Non può essere tuttavia ignorato o sottaciuto il fatto che il Papa, nel suo intervento nel mezzo dei lavori del convegno, ha proposto una visione in parte diversa: assai più forti sono nelle parole di Giovanni Paolo II gli accenti posti sull'dentità cristiana, sulla dimensione gerarchica della Chiesa, sulla presenza sociale dei cattolici in quanto tali. Contrariamente a quanto si è detto da molte parti, il discorso del Papa non è tuttavia privo di sfumature: il richiamo alla verità è affermato in parallelo con quello alla coscienza; della Chiesa, accanto alla dimensione gerarchica, pure enfatizzata, non si omette di richiamare la dimensione plurale e collegiale; quanto alla presenza sociale e politica dei cattolici, il richiamo alla tradizione del movimento cattolico italiano dovrebbe da solo rendere avvertiti quanti da diverse parti si affannano a leggere nelle parole del Papa la legittimazione di nuove forme di integralismo,
Pure la distonia è parsa evidente e ha colpito tutti, in primo luogo i delegati. Ma è stata proprio la qualità della reazione dinanzi a questo fatto che ha più colpito gli osservatori attenti. Contrariamente a quanto ci si sarebbe aspettati non si è avuta alcuna contestazione del Papa, non solo della persona o del ruolo, ma neppure dei contenuti proposti. D'altro canto, non si è nemmeno chiuso il convegno, come pure molti avevano profetato.
La chiesa italiana nel convegno di Loreto si è proposta, tra l'altro di capire la situazione, di «discernere» nel complesso e tormentato contesto della realtà italiana i segni, le istanze, le sedi in cui la riconciliazione è sperata, attesa, sofferta come esigenza. Quest'opera di ricerca in un clima di cristiana simpatia per l'apertura al miglioramento, alla trasformazione, alla finale conversione, è un'opera che si inscrive opportunamente in quella ricomposizione del tessuto morale che costituisce la pregiudiziale per ogni duratura ripacificazione della coscienza civile italiana. È lo stesso Bartolomeo Sorge a dire che l'obbiettivo primario rimane «realizzare l'unità, il consenso morale attraverso i valori portanti della convivenza civile, in modo da costruire insieme l'Italia di tutti gli italiani». Per il direttore di «Civiltà Cattolica» a Loreto il problema per ora è stato enunciato. Ma resta obiettivo «contribuire a ricomporre la coscienza morale del paese che è lacerata, sulle cose essenziali, al di là dei blocchi ideologici».
«Discernere» è un verbo che ricorre nei documenti dell'ampio lavoro preparatorio al convegno lauretano. «Discernere» non comporta soltanto un indagare con corrette metodologie proprie della ricerca sociologica, utili sicuramente e pregiudiziali, ma non sufficienti.
Non si tratta soltanto di documentarsi e di leggere tra i dati del materiale documentario raccolto le linee di tendenza, le dinamiche che spiegano
l'intera articolazione del fenomeno e di prevederne magari gli sviluppi. È questo un grande contributo che la chiesa italiana ha dato a Loreto superando l'istanza un po' culturalistica di offrire analisi su analisi, ma creando dimensioni di ascolto e di ispirazione, dando vita ad un clima di vivacità spirituale in cui le decisioni e gli orientamenti dei pubblici poteri trovino un supporto ideale e una concretezza morale che li renda credibili ed efficaci.
Dalle relazioni dei responsabili dei cinque ambiti ternatici trattati a Loreto – 1) la coscienza personale, cioè le problematiche culturali; 2) famiglia, educazione, scuola; 3) la riconciliazione nella chiesa; 4) il ministero della riconciliazione; 5) la chiesa e il paese – è emersa la profonda consapevolezza di quel carattere di «complessità» che è tipico della società italiana. come di tutte le società occidentali. e che era apparso come messaggio nuovo e dirompente nella relazione di De Rita nel '76. Oggi è un dato acquisito, come acquisita è la consapevolezza che in un tale contesto i riferimenti ai valori non sono scomparsi, ma certamente – e talora positivamente – problematizzati. La complessità rende spuntati gli strumenti di lettura e di intervento drastici, categorici, ed esige invece, a livello diffuso, capacità di mediazione. di dialogo, di discernimento.
Questa cultura della complessità non può tuttavia essere considerata un dato spontaneo: occorre formare intelligenze e coscienze in grado di vivere la complessità non come dispersione ma come arricchimento reciproco.
E la chiesa può certamente fare molto in questo senso.
Una chiesa, come traspare soprattutto dalle conclusioni di Monticone, consapevole di essere pellegrina: «In questo contesto di cammino, i cristiani di questo paese ripensano oggi una partecipazione povera, «disarmata» che non è volontà di appropriazione ma volontà di «condivisione».
Dal convegno dunque è emersa l'esigenza pressante di continuare il confronto per approfondire l'analisi. Non pare del resto possa esserci altra strada per rendere anche storicamente feconda la presenza della chiesa nel nostro paese, al di fuori di una reale maturazione delle coscienze, soprattutto dei laici. E non può esserci maturazione senza l'incontro, il confronto, il dialogo, proprio come non può esserci chiesa senza assemblea.
Come ha detto il cardinale Ballestrero nella sua conclusione, il convegno di Loreto è stato «un evento ecclesiale di riflessione comune e non un'occasione di mobilitazione elettorale dei cattolici italiani».
Contributo dei giovani dc
strong>Alcuni brani tratti dall'opuscolo dei giovani dc, stampato in occasione del Convegno di Loreto.
Il prossimo convegno avrà certamente un'importanza grande nella vita del paese, soprattutto per quel nodo delicato e decisivo che è il rappono tra il mondo della fede, dell'ispirazione evangelica, della vita cattolica e il mondo dell'azione cattolica.
Due sono i problemi aperti nell'area cattolica italiana alla vigilia del convegno ecclesiale. Il primo è quello di una forte riconciliazione interna, tra le associazioni e i movimenti del laicato. Riconciliazione, sia chiaro, che non appiattisca la diversità, il pluralismo di impegni, di sensibilità, di spiritualità che possono e devono convivere ed anzi possono e devono essere valorizzate.
Non va cioè sottovalutata la portata dei «conflitti» interni al laicato cattolico quando si parla e si vuole parlare al paese di riconciliazione. Del resto è la realtà umana, la società degli uomini che è conflittuale. Le conflittualità esterne non possono non influenzare una comunità cristiana vivace e non estranea ai problemi politici, sociali, economici, culturali dell'umanità concreta nella quale è inserita.
Il secondo problema riguarda, come notato poc'anzi, nel rapporto con l'impegno politico. In dieci anni, infatti, molte cose sono cambiate.
Oltre gli schemi rigidamente e tradizionalmente classisti, superati con intuizioni anticipatrici proprio dai settori più illuminati del movimento cattolico (da Sturzo a Moro) infatti la scelta preferenziale per i poveri resta condizione «sine qua non» di una correta ispirazione cristiana dell'agire politico della laicità. Come uscire dunque dal solo guscio del volontariato? Come tradurre in politica questa irrinunciabile esigenza? Su questi interrogativi più che sulle polemiche sulla «scelta religiosa» sarebbe utile che i cattolici italiani si confrontassero seriamente.


























