A dieci anni dalla morte
Giovanni Battista Montini divenne Papa il 21 giugno 1963 e chi, come me, è nato dopo questa data, di Paolo VI ha il ricordo di un vecchio curvo e debole, e di quanto si diceva di lui: un uomo triste, pessimista, malato. Ma ricordo anche, in contrasto con questa immagine, quando durante il rapimento e dopo l'assassinio di Moro, questo vecchio si erge in tutta la sua grandezza, quando scrisse (e volle che i giornali riportassero non solo il testo del suo messaggio, ma anche la riproduzione fotografica: il messaggio come il Papa l'aveva scritto, di pugno, lavorandovi fino alle 3 di notte) «agli uomini delle Brigate Rosse», chiedendo «in ginocchio» la liberazione dell'ostaggio, «in virtù della sua dignità di comune fratello in umanità»: parlava da uomo a uomini in favore di un uomo. Un altro ricordo vivo in tutti noi è la sua partecipazione ai funerali ufficiali: non esistevano precedenti, ma Moro era suo amico e il Papa non si curò del cerimoniale. Assistette al rito ed alla fine pronunciò la sua invocazione: «fa che tutti raccogliamo nel puro sudario della sua nobile memoria l'eredità superstite della sua diritta coscienza, del suo esempio umano e cordiale, della sua dedizione alla redenzione civile e spirituale della diletta nazione italiana. Signore, ascoltaci!».
Basta questo a mettere in crisi i luoghi comuni che su di lui circolavano negli anni '70 e ad imporre a noi che siamo venuti dopo un approfondimento della persona e della vita di Paolo VI. E allora forse scopriremo una chiave di lettura diversa, scopriremo in questo Papa l'attuazione del pensiero di S. Paolo (e proprio di questo Apostolo Montini volle assumere il nome), secondo cui nella fragilità dell'uomo si manifesta la gloria di Dio, e scopriremo anche la sua umanità, nel senso della profonda partecipazione alle gioie, alle sofferenze, ai problemi, alle angosce di ogni uomo: homo sum. Nihil humani a me alienum puto. Durante il funerale di Togliatti, funerale solo civile ovviamente, le porte delle chiese romane furono, altrettanto ovviamente chiuse. Ma, e non è un «ma» da poco, Paolo VI fece giungere parole di cordoglio: «Nulla ci è estraneo» diceva il Papa.
Nel discorso inaugurale del suo Pontificato, Montini indica alla Chiesa un cambiamento di rotta e segna alcuni punti di ritorno: innanzitutto il dialogo con tutto il mondo, cattolici e non, cristiano e non.
«Al di là delle frontiere del Cristianesimo c'è un altro dialogo in cui la Chiesa è impegnata oggi: il dialogo con il mondo moderno (...) Esso aspira alla giustizia, a un progresso che non sia soltanto tecnico, ma umano; a una pace che non sia soltanto la sospensione precaria delle ostilità (...) Al servizio di questa causa esso si mostra in grado di praticare in un grado stupefacente le virtù della forza e del coraggio, lo spirito di intraprendenza, di devozione, di sacrificio. Noi gli diciamo senza esitare: tutto ciò è nostro (...) Queste voci profonde del mondo, noi le ascolteremo».
La Chiesa che prima aveva parlato al mondo si pone con Paolo VI all'ascolto del mondo, all'ascolto dell'uomo così com'è. Nascono degli strumenti specifici per il dialogo come il Segretariato pontificio per i non cristiani e come quello per i non credenti.
Altre novità Paolo VI introdusse durante il suo Pontificato, che sono il segno della sua attenzione e del suo amore per l'uomo. Solo alcuni esempi: introdusse la presenza di 14 laici nella seconda sessione conciliare (Giovanni XXIII aveva chiamato già Jean Guitton come «invitato»), diede loro rango di «uditori», senza diritto di voto, ma con facoltà di parola, nella terza chiamò anche le donne: otto suore e sette laiche. Altre novità: la riforma della Curia Romana, la creazione del Sinodo dei Vescovi. E poi ancora l'inaugurazione della «politica» di attenzione e di colloquio con i paesi dell'Est, il cui compito fu affidato a Casaroli, lo sforzo ecumenico (si ricordi un esempio per tutti: l'abbraccio di Paolo VI e Atenagora I, patriarca di Costantinopoli) e il richiamo forte alla pace (si ricordino gli interventi sul Vietnam, l'istituzione della giornata mondiale della pace), e i viaggi in tutto il mondo. Il primo viaggio del Papa, dopo quello in Terrasanta, fu in India. Solo venti giorni prima Paolo VI aveva compiuto un gesto rivoluzionario: chi di noi non ricorda cosa disse il cronista televisivo il giorno dell'inaugurazione del pontificato di Giovanni Paolo I, cioè che si trattava del primo Papa che rifiutava l'incoronazione. Forse pochi altri sanno però che fu Paolo VI, il 13 novembre 1964, ad abbandonare il triregno, come segno di austerità della Chiesa. Fu venduto poi a favore dei poveri.
Paolo VI aveva una grande fiducia per gli sforzi dei laici impegnati in politica: nell'«Octogesima adveniens», aveva indicato ai cattolici la politica, come un modo, anche se non l'unico, naturalmente, «di vivere l'impegno cristiano al servizio degli altri».
Due episodi è importante ricordare: alla fine del '63 molte furono le pressioni perché la Chiesa impedisse la nascita del centrosinistra. Paolo VI bloccò bruscamente questa campagna e altrettanto fece nel '78 a proposito del governo di solidarietà nazionale. Quando nel '64 Moro andò in visita al Papa, questi gli confermò il proposito di «rimanere estranei alla vicenda propriamente politica della nazione» e gli fece un augurio: «che ella possa superare le difficoltà e le incertezze inerenti all'ora presente, mediante la fiducia e la collaborazione dei cittadini buoni e volonterosi; e che le sia dato di far sempre meglio evolvere lo stato d'animo di tanti cittadini, dei liberi e onesti lavoratori specialmente nel senso della concordia e della stima verso lo Stato, a cui hanno l'onore di appartenere».
Amore e desiderio di comprendere fino in fondo l'uomo: così ad esempio per il '68. Si chiedeva il Papa se la diagnosi della Chiesa sull'inquietudine giovanile d'allora fosse completa e spiegava: «Non è forse vero che la gioventù d'oggi è appassionata di verità, di sincerità... non vi è forse nella sua inquietudine una ribellione alle ipocrisie convenzionali di cui la società di ieri era spesso pervasa? E nella loro reazione contro il benessere, contro l'ordine burocratico e tecnologico, contro una società senza ideali superiori e veramente umani, non vi è forse una reazione contro la mediocrità psicologica, morale e spirituale?... Non conoscono i giovani coloro che non vedono quale capacità di rinuncia, di coraggio, di servizio, di eroico amore essi hanno nel cuore, e oggi forse più di ieri». E invitava a presentare ai giovani «l'unico vero e sommo eroe, l'unico e vero prototipo di Uomo che valga la pena di cercare: Cristo». Durante gli anni angoscianti del terrorismo, il Papa diceva di vedere «una grande folla di gente awilita, sfiduciata, indifferente e quasi rassegnata al pessimismo morale e sociale di un mondo senza principi superiori e tonificanti (...)». Questo spiega - diceva – come la gioventù, certa gioventù si abbandoni a imprese folli e audaci, antisociali ed antistoriche; essa cerca ideali forti e alti, non li ha trovati nella pedagogia agnostica del pensiero contemporaneo e si è data ai surrogati delle velleità sowersive».
E il cerchio si chiude. Paolo VI non fu un Papa triste né angosciato né tantomeno pessimista. Era un uomo di sensibilità così straordinaria da fargli soffrire nella sua carne le sofferenze di tutti gli uomini e di ogni uomo. A Jean Guitton un giorno chiese se a suo parere fosse una qualità per un Papa sentire come un moderno, e questi rispose che in sé non era una qualità per un Papa essere moderno ma che, come se un medico sente e soffre come il suo malato, è tormentato, così accade se un Papa sente come un moderno. Aggiunge Guitton che se ci si pone dal punto di vista degli uomini, può per un medico è una qualità aver sofferto gli stessi mali del malato, poiché se il malato sa che il medico è stato malato accetta il trattamento e guarisce più in fretta; e concluse che awiene lo stesso quando il Papa sente e soffre come un uomo moderno.
Montini allora disse: «Ha risposto bene». La sensibilità stessa di Paolo VI, ma di più e con più forza, la sua fede profondissima di uomo di preghiera in ascolto dello Spirito, gli dava fiducia negli uomini e nella verità della sua missione di padre e pastore. Molte volte si parlò di sue dimissioni, ma egli sapeva bene che un padre non si dimette.
Del maggio 1975 è la sua esortazione apostolica «Gaudete in Domino», con cui il Papa esortava i cristiani alla gioia: «Ci sarebbe anche bisogno di un paziente sforzo di educazione per imparare o imparare di nuovo a gustare semplicemente le molteplici gioie umane che il Creatore mette già sul nostro cammino: gioia esaltante delI'esistenza e della vita; gioia dell'amore casto e santificato; gioia pacificante della natura e del silenzio; gioia talvolta austera del lavoro accurato(...) Il cristiano potrà purificarle, completarle, sublimarle: non può disdegnarle. La gioia cristiana suppone l'uomo capace di gioie naturali. Molto spesso partendo da queste, il Cristo ha annunciato il Regno di Dio».
Egli credeva che l'umanità avrebbe presto scoperto o ritrovato «la novità sicura e inalterabile del mistero divino rivelato in Gesù Cristo».
Paolo VI aveva il coraggio della verità, il coraggio della sua missione di pastore che doveva annunciare la Parola di Dio, con tutto il meraviglioso Amore che essa offre all'uomo, ma anche con quelle parti dell'insegnamento della Chiesa che sembrano dure, ma che anche loro portano alla vera gioia dell'uomo che è nella grazia di Cristo. Così Paolo VI non indietreggiò mai davanti all'annuncio della Verità di Dio e della dottrina della Chiesa tutta intera anche in momenti difficili per l'unità ecclesiastica. Si pensi al suo atteggiamento a proposito di Lefevre da una parte, e dei movimenti di «sinistra» dall'altra. Si pensi all'enciclica «Humanae vitae».
Egli temeva il pericolo dell'ambiguità o di «alterazione dell'integrità del messaggio», il rischio di scegliere, nel tesoro delle verità rivelate, quelle che fanno comodo». Esortava all'«assoIuto rispetto dell'integrità del messaggio rivelato».
«Su questo punto – diceva – la Chiesa è gelosa, è severa, è esigente, è dogmatica».
Ma questa che poteva sembrare durezza, a riflettervi meglio, considerando quanto detto prima sulla capacità del Papa di soffrire con l'uomo, appare naturale, come è naturale ad un padre indicare ai figli la strada per la felicità e per il riscatto della propria umanità in Dio.
Non si può che concludere queste riflessioni su Paolo VI con le parole che egli pronunciò da Fatima nel 1968: «Uomini, siate uomini! Uomini, siate buoni, siate saggi, siate aperti alla considerazione totale del mondo. Uomini siate magnanimi, pensate alla gravità e alla grandezza di quest'ora, che può essere decisiva per la storia del presente e della futura generazione!».






































