Nuova Politica - Cattolici e politica pagina 21
Nuova Politica - Cattolici e politica
Nuova Politica - Cattolici e politica
Nuova Politica - Cattolici e politica
Le tappe di un cammino che in questi ultimi dieci anni ha cambiato il volto del nostro paese.

Ripercorrere insieme le tappe che regolano il rapporto tra cattolici e politica è ormai una costante nell'esperienza storica cattolico-democratica. Non possiamo farci abbagliare dagli ultimi awenimenti riminesi, considerandoli rivoluzionari o trasgressivi per l'intera area cattolica italiana. Il problema è più complesso, meno giornalistico e più culturale, di riflessione. Nel binomio cattolicipolitica si gioca il futuro non soltanto della Democrazia cristiana ma dello stesso cattolicesimo democratico del nostro paese.

In questi ultimi anni, dalla morte di Paolo VI e con l'avvento di Giovani Paolo II, il cattolicesimo politico ha vissuto momenti complessi e difficili. Dalla proposta sulla ricomposizione cattolica in Italia di padre Bartolomeo Sorge all'assemblea degli esterni della Democrazia cristiana nel 1981, dal referendum sull'aborto al convegno ecclesiale di Loreto e, dulcis in fundo, all'affermazione del Movimento popolare come movimento di massa. Ma nel rapporto tra cattolici e politica interviene un altro elemento di non secondaria importanza: il rapporto tra cultura e politica all'interno della Dc.

Inizierei da questo punto prima di buttare lo sguardo al dibattito che attraversa oggi il mondo cattolico italiano.

La storia del rapporto fra cultura e politica nella Dc o più in concreto fra uomini di cultura e politici democratico-cristiani non è la satira di un idillio, è piuttosto una «historia dolorum», un po' come quella dei concordati. Questi dolori sono il frutto di incomprensioni, tensioni, talvolta conflitti aperti, ma sono anche il segno di una realtà di fondo sulla quale occorre subito richiamare l'attenzione, una realtà che è una ricchezza, una connotazione essenziale nel nostro essere cristiani nella cultura e nella politica. Purtroppo, la riduzione del rapporto culturapolitica a rapporto intellettualipolitica ha avuto come riscontro negativo la conseguenza di sottovalutare spesso il ruolo e l'efficacia che idee e valori esercitano, indipendentemente dalla mediazione del ceto intellettuale. La cultura non è solo quella degli intellettuali, i cattolici intellettuali devono preliminarmente riconoscere e sottolineare che al-di là delle loro specifiche competenze rappresentano, certo parzialmente e in modo inadeguato, una cultura che affonda le sue radici in vaste proporzioni del nostro popolo e che esprime in modo e forme storiche una fede che è anche la loro fede. È stato un merito indubbiamente di gruppi e movimenti giovanili cattolici – Cl per esempio – di richiamare l'attenzione su questa cultura popolare di matrice cristiana che vive nel nostro paese, spesso offesa e awilita ma non spenta: questa cultura è stata e rimane un grande serbatoio di valori.

Le stesse considerazioni valgono anche per il partito democratico cristiano: essi rappresentano un partito che non è fonte autonoma dei valori che deve tradurre in azione politica; la Dc cioè, non è una chiesa a se stessa, è un partito che, dal punto di vista culturale, ha fuori di sé il suo baricentro. Non solo: la sua stessa cultura non è suo patrimonio esclusivo; è il risultato di una elaborazione alla quale molte altre forze concorrono, diverse dalla realtà di partito. Questa intuizione ben chiara a Sturzo è stata espressa da De Gasperi attraverso la nota distinzione fra partito della Dc e «tradizione democratico-cristiana». Lo stesso De Gasperi disse che «la Dc prima di essere un partito è una tradizione che ad ogni svolta della storia si rinnova e si aggiorna, che tiene conto dell'esperienza sociale e cammina con essa, un'idea che si veste della realtà dinamica per dominarla, un fermento che attingendo alla perennità delle sue fonti, dà vita a nuove forme sociali, diventa il lievito di una nuova economia e germina profondi rivolgimenti politici». Il partito quindi è un'espressione di questa tradizione ma non la esaurisce.

Del resto il netto rifiuto del partito, artefice di una ideologia, lo ritroviamo espresso con grande chiarezza in quel documento del magistero di Paolo VI – la Octogesima Adveniens – che è sicuramente uno dei punti più alti dell'insegnamento della chiesa in materia sociale e politica. Dopo aver sottolineato che la politica è un'azione, non una ideologia, e che essa ha bisogno tuttavia di una concezione dell'uomo nella libertà di adesione che essi presuppongono, di sviluppare nel corso sociale in maniera disinteressata e per vie loro proprie, queste convinzioni ultime sulla natura, l'origine e il fine dell'uomo.

Ed è proprio dal rapporto tra cultura e politica che emerge la complessità del mondo cattolico italiano. La recente polemica tra il Movimento Popolare da un lato e la cosiddetta «intelligenthia» cattolica dall'altro, è il frutto di una diversa lettura della società contemporanea, con inevitabili differenziazioni sul terreno politico. La crescente incomunicabilità culturale tra fette e segmenti dell'area cattolica italiana rischia di codificare e consolidare l'esistenza di «due mondi cattolici». Compito nostro non è catturare singole realtà associative per esclusivi scopi elettorali, bensì condividere e riflettere, come cattolici impegnati in politica, sul dibattito che è esploso in questi ultimi tempi.

Perché non c'è dubbio che la lacerazione del tessuto sociale, la difficile comunicazione tra le persone e i gruppi, di cui il distacco fra cittadini e istituzioni è il dato più rilevante – ma non l'unico – sono oggi un male del nostro come di tanti altri paesi del mondo. Non possiamo cioè riproporre la classica teoria dell'«equidistanza» o dell'«indifferenza» rispetto ai regimi politici, che rischia di essere strumentalizzata ai fini della legittimazione di una sorta di apatia politica, quasi che per il credente fosse veramente la stessa cosa vivere in un regime democratico o in una struttura autoritaria e, al limite, dittatoriale. Sotto questo aspetto, la salvaguardia e il consolidamento nel nostro paese delle istituzioni democratiche non è un problema marginale per la coscienza cattolica. Il giorno in cui l'Italia fosse diventata un paese a regime di tipo sovietico, o latino americano, gli spazi per la presenza dei cattolici – non tanto delle loro strutture organizzative quanto dei «valori» di cui essi sono portatori – si rivelerebbero assai più ristretti di quanto non fosse in presenza di una democrazia ancora degna di questo nome, anche se stanca e malata. Questa assenza dei cattolici non impoverirebbe soltanto la Chiesa ma priverebbe la stessa società civile di un essenziale punto di riferimento. Si comprenderebbe forse allora, assai più di quanto non sia possibile in un contesto come quello attuale, che cosa ha significato in Italia, per le sorti della democrazia, il fatto che l'immensa maggioranza dei cattolici, dopo il 1945, abbia progressivamente abbandonato di fatto la teoria dell'«equidistanza», ancora prevalente in Italia negli anni fra le due guerre, per abbracciare la causa della democrazia politica come regime «preferenziale», in quanto è quello che meglio risponde alle esigenze della persona, della sua salvaguardia, della sua promozione, della sua piena realizzazione; tesi questa, che non implica in alcun modo una pericolosa idealizzazione delle istituzioni democratiche ma che esclude una loro sottovalutazione o peggio, una loro demonizzazione.

Il rischio della coscienza cattolica di questi anni è quello di ritornare, in forma diversa, appunto alla teoria dell'«indifferenza». Si awerte infatti, quà e là, la tendenza a costruirsi un presunto tranquillo nido fatto di piccolo comunitarismo, di ristretto parrocchialismo, di spiritualismo astratto e disincarnato, che non fa i conti, sino in fondo, con i problemi dei credenti. E non ci si accorge che una religione vissuta in questa prospettiva rischia di diventare veramente un'evasione e un rifugio, ed alla fine di autoconsumarsi, per l'impossibilità di mantenere all'infinito un tranquillo spazio di astratta «religiosità» in una società con la quale occorre sino in fondo fare i conti, anche per quanto riguarda il suo assetto politico ed istituzionale. Occorre cioè capire, con il dibattito che si sta sviluppando nell'area cattolica italiana sulla interpretazione della «scelta religiosa» e soprattutto delle scuole di formazione alla politica, con quale approccio cioè il mondo cattolico del nostro paese si sta awicinando alla politica.

Al di là delle statistiche che vengono sfornate, i dati confermano un concetto: nel mondo cattolico italiano vi è una costante culturale prima che statistica, quasi ancestrale, nei confronti del politico. Una diffidenza superata parzialmente in alcuni momenti (Sturzo, De Gasperi, Moro), ma sempre più nei comportamenti che nella consapevolezza profonda tra i cattolici italiani, ove l'approccio della politica è ancora mediata da categorie che Maritain definirebbe «sociali», e non da una interiorizzazione della laicità e della relativa autonomia del «trattare il temporale». Di qui l'oscillazione tra momenti di trionfalismo, nei quali si spera di costruire attraverso la politica la società cristiana, cioè il regno di Dio in terra, e momenti di delusione nei quali la politica viene demonizzata come dimensione intrinsecamente perversa della vita umana, dalla quale occorre astenersi se non addirittura rifuggire. Resta dunque sostanzialmente ignorata la dottrina tomista della laicità e della relativa autonomia della politica, con tutte le conseguenze negative (in termini di rifiuto del pluralismo, di disaffezione moralistica delle istituzioni, di parallela esaltazione di un sociale mitizzato, in definitiva di auto-emarginazione e ghettizzazione) che in una società di democrazia complessa questo comporta.

«Tutti in politica» dunque, la nuova parola d'ordine dei cristiani degli anni novanta? Sarebbe questa una risposta unilaterale e dunque sbagliata. L'attenzione alle istituzioni, e quindi alla politica, non significa sempre e necessariamente fare politica in modo continuativo e per così dire «professionale»; questa scelta sarà semmai propria di coloro che l'impegno politico awertiranno come imperiosa esigenza interiore e dunque come «vocazione». Ma non si può però essere realmente cristiani senza farsi in qualche modo carico di ciò che awiene nella società e dunque senza porsi anche il problema del futuro delle istituzioni democratiche. Esse infatti, non potranno reggersi all'infinito senza i cristiani o addirittura contro i cristiani: in questo senso il futuro della democrazia in Italia passa in larga misura attraverso la coscienza dei credenti.

Occorre infatti esplorare le vie attraverso le quali operare oggi una sintesi tra interessi, bisogni e valori su un piano di laicità e di.piena accettazione della democrazia. Solo in questo modo i cattolici italiani potranno dare un fattivo contributo all'animazione della democrazia. E questo non è un processo che si improwisi: richiede formazione e riflessione, nonché sperimentazione, che entri nel vivo delle problematiche contemporanee.

Occorre cioè un generale sforzo di riflessione e di proposta. Ma questo sforzo vuole essere anche un contributo a quella di una nuova maturità democratica che sta compiendo l'intero paese, e all'interno di esso le forze sociali e politiche organizzate, dopo gli anni bui della fase acuta della crisi economica e del terrorismo politico. In questo delicato momento di transizione, è necessario che ciascuno faccia al meglio la propria parte, fuori da ogni sovrapposizione o strumentalizzazione. I laici cristiani, intendono contribuire alla rinascita della democrazia italiana; ma questo obiettivo non è perseguibile attraverso la ricerca di nuovi collateralismi, cioè attraverso operazioni in definitiva strumentali, e pertando di corto respiro. La rinascita della democrazia passa piuttosto attraverso una maggiore laicità delle forze sociali e politiche, che significa capacità di dare alla.politica la dignità di arte della mediazione e della sintesi dei valori e dei bisogni emergenti, oltre ogni tentazione di presa diretta di interessi e obiezioni particolaristiche, necessariamente in conflitto corporativo e paralizzante gli uni contro gli altri.

Occorre pertanto respingere la tentazione di rinnegare la grande tradizione del cattolicesimo democratico italiano imboccando le scorciatoie senza uscita della difesa, polemica e minoritaria, degli «interessi cattolici» o dell'inseguimento di consensi costosi e mediati tra ceti più o meno realmente mergenti.

E importante piuttosto che i cattolici italiani sappiano esprimere l'intelligenza politica e culturale necessaria a quel nuovo patto sociale fondamentale per governare democraticamente, oltre ogni tentazione decisionistica e autoritaria, questa delicata fase di riconversione economica, sociale e culturale.

Per far ciò, è necessaria la «politica».

E la scelta del «religioso», «sociale», «politico», ciascuno legittimo e doveroso, non deve piuttosto avvenire in ragione delle attitudini e vocazioni personali, anziché su un giudizio spesso più generalizzato che specifico, delle esperienze passate ed attuali?

La «testimonianza» è un imperativo, ed è per «dovunque», perché in ogni luogo, nella chiesa, nella professione, nella società, nella politica l'uomo deve essere rispettato, aiutato, servito.

Cristiani «testimoni», più che giudici, è stato detto, nei confronti della comunità degli uomini e, bisogna aggiungere, delle sue strutture ed articolazioni; e non perché la coscienza cristiana non debba essere esercitata, o perché si abbia paura del giudizio; ma perché non ci si esaurisca nel giudicare, criticando l'impegno personale e coraggioso a testimoniare «le cose in cui si crede».

Sulla relatività della politica abbiamo tutti imparato qualcosa, il '68 ha lasciato il segno anche in chi non fu tra coloro che pensavano che «la politica è tutto». Ma è un errore cadere nell'opposto. Perché anche la politica, con le sue differenze e la specificità dei suoi attori, può essere luogo, oltre che di impegno, di riconciliazione, se la diversità è considerata ricchezza; se la chiarezza di idee ne consente la rispettata pluralità; se il dogmatismo ideologico lascia spazio al dialogo, se l'esercizio del potere nasce unicamente dal consenso popolare; se la pace tra le persone, i gruppi sociali, i popoli, è il supremo impegno dei politici.

A dieci anni dalla morte
Alessandra Siragusa

Articoli correlati

Totale: 13
La Chiesa a Loreto
Fra profezia e autocritica parte da Loreto il risveglio dei cattolici. Nel segno della riconciliazione la capacità della Chiesa di accettare e affrontare la complessità della società italiana. Alcuni brani del documento dei giovani dc.
Fede e politica
Iniziamo la rubrica del "Dossier del mese", con la relazione che padre De Rosa ha tenuto il 5 febbraio scorso all'Hotel Columbus di Roma, nel corso del Convegno "laici cristiani in politica", organizzato dall'on. Maria Eletta Martini, responsabile dell'incarico speciale per il collegamento con le realtà di comune ispirazione cattolica.
Paolo VI
Un ricordo meno legato alla «quotidianità» dell'anniversario di un Papa di frontiera.