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La Santa Sede ad Helsinki

Nuova Politica - La Santa Sede ad Helsinki pagina 140
Nuova Politica - La Santa Sede ad Helsinki
Paolo VI, 12 gennaio 1976, allocuzione «Nous disons» al Corpo diplomatico accreditato presso la S. Sede, in occasione della presentazione degli auguri per il nuovo anno

[...]

[3] La Santa Sede attribuisce una grande importanza all'accettazione sempre più larga e alla formulazione sempre più precisa e più vincolante dei principi giuridici e morali che devono regolare i rapporti tra gli Stati, tanto da vedere, nella possibilità di apportarvi un concreto contributo, di là dalle dichiarazioni dottrinali, una delle principali ragioni della sua partecipazione alla vita e alle attività della Comunità internazionale.

Un esempio tipico di una tale partecipazione è stata la presenza della Santa Sede alla Conferenza di Helsinki. Ci fa piacere ricordarlo in questo incontro. In realtà, per quanto riguardante direttamente l'Europa (allargata tuttavia con la presenza degli Stati Uniti e del Canadà), si deve riconoscere alla Conferenza di Helsinki un interesse molto più vasto e generale, non fosse altro che per quello che il continente europeo rappresenta – sia in pace che in guerra – per il resto del mondo e anzitutto per i Paesi del bacino mediterraneo.

Perché la Santa Sede ha accettato di diventare membro della Conferenza? È evidente: non solo per rispondere gentilmente al cortese invito dei Paesi europei, così diversi sul piano dei sistemi di governo, ma in definitiva concordi nel giudicare legittima e addirittura auspicabile la presenza della Santa Sede a queste grandi assise. E neppure perché la Santa Sede si sarebbe sentita capace di dare un apporto specifico all'esame dei problemi politici e militari della sicurezza europea o a quelli della cooperazione nel campo economico, industriale o commerciale: problemi tutti che la Santa Sede considera con molto rispetto e di cui conosce l'importanza talvolta vitale, ma nei quali – per quanto riguarda l'aspetto tecnico, – è e si dichiara incompetente.

Ma di là, e potremmo ben dire al di sopra degli aspetti tecnici o concreti dei problemi della sicurezza e della cooperazione, c'era appunto tutto lo spazio attinente ai principi supremi – etici e giuridici – che devono informare l'azione e i rapporti degli Stati e dei popoli. In tale campo la Santa Sede ha sentito di non dover rifiutare il contributo che le si offriva la possibilità di dare e che le permetteva altresì di essere nella Conferenza – come noi abbiamo recentemente ricordato rispondendo agli auguri natalizi del Sacro Collegio – «più diretto interprete e portavoce della esigenza del rispetto della coscienza religiosa».

La Conferenza ha fissato dei principi e ha indicato delle norme di comportamento, in sé eccellenti, la cui efficacia operativa dovrà però essere verificata nei fatti, perché il giudizio della storia su tale avvenimento possa risultare positivo. Questi principi e queste norme, accettati da tutti i partecipanti, si ricollegano a un patrimonio ideale comune ai popoli europei.

Tale eredità, possiamo aggiungere, fondata essenzialmente sul messaggio evangelico che l'Europa ha ricevuto e accolto, è, nella sostanza, ugualmente comune ai popoli degli altri continenti, ivi compresi anche i non appartenenti a quella che viene chiamata la «civiltà cristiana», in quanto il messaggio cristiano interpreta, anche in questo caso, le esigenze profonde dell'uomo.

Tra le conclusioni della Conferenza di Helsinki ci fa piacere ricordare – insieme con i principi che si riferiscono più direttamente alle relazioni giuste, ordinate, pacifiche tra gli Stati e alla loro collaborazione in molteplici settori – il riconoscimento del fatto che il rispetto dei diritti del- 1'uomo e delle libertà fondamentali – citiamo il documento – «è un fattore essenziale della pace, della giustizia e del benessere necessari per garantire lo sviluppo di amichevoli relazioni e della cooperazione tra essi e tra tutti gli Stati». Gli Stati partecipanti si impegnano non solo a rispettare essi stessi questi diritti e queste libertà, ma altresì a sforzarsi «congiuntamente e separatamente, anche in cooperazione con le Nazioni Unite, di promuoverne il rispetto universale ed effettivo». Chi non vede come l'applicazione leale di tali norme nella loro integrità porterebbe a facilitare grandemente i progressi della libertà e della giustizia presso tutti i popoli interessati?

Ci fa piacere ricordarlo, perché il riconoscimento testé accennato ha come effetto di renderne vano il pretesto, spesso invocato, che si tratta di affari interni di ogni singolo Stato, in cui gli altri non possono ingerirsi ad alcun titolo; e mira a farne un problema di legittimo interesse comune, allo scopo, tra l'altro, di garantire buoni rapporti tra gli Stati e i popoli. Ciò presuppone in realtà - nonostante le diversità anche profonde – una base di civiltà umana comune, che si concretizza in diritti e in doveri e che permette a tutti di vivere in serenità e di lavorare utilmente insieme. Laddove siffatta base comune di civiltà mancasse praticamente – e questo nonostante la sua accettazione formale –, le nobili intenzioni della Conferenza si dimostrerebbero vane; anzi, essa potrebbe essere sfruttata per fini contrari a quelli che si era proposti.

Rimane quindi il problema: gli Stati come intendono effettivamente mantenere gli impegni assunti? Nessuno meglio degli uomini di governo e dei diplomatici sa quanto sia difficile far corrispondere la realtà al diritto, soprattutto quanto l'ideale si scontra con interessi ad esso sottoposti o, peggio ancora, con l'egoismo o con la volontà di potere.

Nonostante tutto, la Santa Sede continua ad attribuire una grande importanza allo sviluppo del diritto internazionale, sia universale che regionale. Ogni progresso nella coscienza, nell'affermazione, nell'impegno di una deontologia proiettata sull'avvenire dei popoli e dei loro rapporti, rappresenta un prezioso contributo alla formazione – anche se lenta e laboriosa – di un ordine effettivo di pace nel mondo.

La Santa Sede, da parte sua, non si stancherà di raccomandare e di favorire, secondo le sue possibilità, l'autentica maturazione di un tale coscienza, collaborando con quanti condividono questa convinzione. E fra questi, siamo sicuri di poter contare gli Stati da voi rappresentati, presso i quali, ne siamo certi, non mancherete di farvi interpreti del nostro pensiero e del nostro incoraggiamento.

L'anima cristiana dell'Europa
Il contributo dei mass media

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