Dossier enciclica

Alcuni passi dell'Enciclica

Nuova Politica - Alcuni passi dell'Enciclica pagina 23
Nuova Politica - Alcuni passi dell'Enciclica

La Chiesa cerca di guidare gli uomini a rispondere, anche con l'ausilio della riflessione razionale e delle scienze umane, alla loro vocazione di costruttori responsabili della società terrena. (...)

Putroppo, sotto il profilo economico, i Paesi in via di sviluppo sono molti di più di quelli sviluppati. (...)

Siamo, dunque, di fronte a un grave problema di diseguale distribuzione dei mezzi di sussistenza, destinati in origine a tutti gli uomini, e così pure dei benefici da essi derivanti. E ciò avviene non per responsabilità delle popolazioni disagiate, né tanto meno per una specie di fatalità dipendente dalle condizioni naturali o dall'insieme delle circostanze. (...)

In tale quadro, la novità dell'Enciclica non consiste tanto nell'affermazione, di carattere storico, circa l'universalità della questione sociale quanto nella valutazione morale di questa realtà. Perciò i responsabili della cosa pubblica, i cittadini dei Paesi ricchi personalmente considerati, specie se cristiani, hanno l'obbligo morale – secondo il rispettivo grado di responsabilità – di tenere in considerazione, nelle decisioni personali e di governo, questo rapporto di universalità, questa interdipendenza che sussiste tra i loro comportamenti e la miseria e il sottosviluppo di tanti milioni di uomini. Con maggior precisione l'Enciclica paolina traduce l'obbligo morale come «dovere di solidarietà» (...)

Sono da segnalare le indubbie, gravi omissioni da parte delle stesse Nazioni in via di sviluppo e, specialmente, da parte di quanti ne detengono il potere economico e politico. Né tanto meno si può fingere di non vedere le responsabilità delle Nazioni sviluppate, che non sempre, almeno non nella debita misura, hanno sentito il dovere di portare aiuto ai Paesi separati dal mondo del benessere, al quale esse appartengono. (...)

O lo sviluppo diventa comune a tutte le parti del mondo o subisce un processo di retrocessione anche nelle zone segnate da un costante progresso (...) Ma non si può passare sotto silenzio (...) un fattore non trascurabile nell'andamento dello sviluppo dei popoli. Ci riferiamo all'esistenza di due blocchi contrapposti, designati comunemente con i nomi convenzionali di Est e Ovest (...)

La tensione tra Oriente ed Occidente non riguarda di per sé un'opposizione tra due diversi gradi di sviluppo, ma piuttosto tra due concezioni dello sviluppo entrambe imperfette e tali da esigere una radicale correzione (... )

(... ) Accanto alle miserie del sottosviluppo, che non possono essere tollerate, ci troviamo di fronte a una sorta di supersviluppo, egualmente inammissibile, perché, come il primo, è contrario al bene e alla felicità autentica. Tale supersviluppo, infatti, consistente nell'eccessiva disponibilità di ogni tipo di beni materiali in favore di alcune fasce sociali, rende facilmente gli uomini schiavi del «possesso» e del godimento immediato (...)

Il male non consiste nell'«avere» in quanto tale, ma nel possedere in modo irrispettoso della qualità dell'ordinata gerarchia dei beni che si hanno. Qualità e gerarchia che scaturiscono dalla subordinazione dei beni e della loro disponibilità all'«essere» dell'uomo e alla sua vera vocazione (...)

Lo sviluppo non può consistere soltanto nell'uso, nel dominio e nel possesso indiscriminato delle cose create e dei prodotti dell'industria umana, ma piuttosto nel subordinare il possesso, il dominio e l'uso alla somiglianza divina dell'uomo e alla sua vocazione all'immortalità. (...)

Chi volesse rinunciare al compito, difficile ma esaltante, di elevare la sorte di tutto l'uomo e di tutti gli uomini, sotto il pretesto del peso della lotta e dello sforzo incessante di superamento, o addirittura per l'esperienza della sconfitta e del ritorno al punto di partenza, verrebbe meno alla volontà di Dio creatore. (...)

A questa analisi generale di ordine religioso si possono aggiungere alcune considerazioni particolari, per notare che tra le azioni e gli atteggiamenti opposti alla volontà di Dio e al bene del prossimo e le «strutture» che essi inducono, i più caratteristici sembrano oggi soprattutto due: da una parte, la brama esclusiva del profitto e, dall'altra, la sete del potere col proposito di imporre agli altri la propria volontà. (...)

(...) È sperabile che quanti, in una misura o l'altra, sono responsabili di una «vita più umana» verso i propri simili, ispirati o no da una fede religiosa, si rendano pienamente conto dell'urgente necessità di cambiamento degli atteggiamenti spirituali, che definiscono i rapporti di ogni uomo con se stesso, col prossimo, con le comunità umane, anche le più lontane, e con la natura; in virtù di valori superiori, come il bene comune, o, per riprendere la felice espressione dell'Enciclica Populorum Progressio, il pieno sviluppo «di tutto l'uomo e di tutti gli uomini». (...)

La Chiesa non ha soluzioni tecniche, da offrire al problema del sottosviluppo in quanto tale, come affermò già Paolo VI nella sua Enciclica. Essa, infatti, non propone sistemi o programmi economici e politici, né manifesta preferenze per gli uni o per gli altri, purché la dignità dell'uomo sia debitamente rispettata e promossa ed a lei stessa sia lasciato lo spazio necessario per esercitare il suo ministero nel mondo.

Ma la Chiesa è «esperta in umanità», e ciò la spinge a estendere necessariamente la sua missione religiosa ai diversi campi in cui uomini e donne dispiegano le loro attività, in cerca di felicità, pur sempre relativa, che è possibile in questo mondo, in linea con la loro dignità di persona. (...)

La dottrina sociale della Chiesa non è una «terza via» tra capitalismo liberalista collettivismo marxista, e neppure una possibile alternativa per altre soluzioni meno radicalmente contrapposte: essa costituisce una categoria a sé. Non è neppure ideologia, ma l'accurata formulazione dei risultati di un'attenta riflessione sulle complesse realtà dell'esistenza dell'uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminando la conformità o difformità con le linee dell'insegnamento del Vangelo sull'uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il comportamento cristiano. (...)

(...) I beni di questo mondo sono origi- nariamente destinati a tutti. Il diritto alla proprietà privata è valido e necessario, ma non annulla il valore di tale principio: su di essa infatti grava «un'ipoteca sociale», cioè vi si riconosce, come qualità intrinseca, una funzione sociale, fondata e giustificata precisamente sul principio della destinazione universale dei beni. Né sarà da trascurare, in questo impegno per i poveri, quella speciale forma di povertà che è la privazione dei diritti fondamentali della persona, in particolare del diritto alla libertà religiosa e del diritto, altresì, all'iniziativa economica. (...)

Lo sviluppo richiede soprattutto spirito d'iniziativa da parte degli stessi Paesi che ne hanno bisogno. Ciascuno di essi deve agire secondo le proprie responsabilità, senza sperare tutto dai Paesi più favoriti ed operando in collaborazione con gli altri che sono nella stessa situazione. Ciascuno deve scoprire e utilizzare il più possibile lo spazio della propria libertà. (...)

Altre Nazioni hanno bisogno di riformare alcune ing(uste strutture e, in particolare, le proprie istituzioni politiche, per sostituire regimi corrotti, dittatoriali o autoritari con quelli democratici e partecipativi. E un processo che ci auguriamo si estenda e si consolidi, perché la «salute» di una comunità politica – in quanto si esprime mediante la libera partecipazione e responsabilità di tutti i cittadini alla cosa pubblica, la sicurezza del diritto, il rispetto e la promozione dei diritti umani – è condizione necessaria e garanzia sicura di sviluppo di «tutto l'uomo e di tutti gli uomini».

Quanto si è detto non si potrà realizzare senza la collaborazione di tutti, specialmente della comunità internazionale, nel quadro di una solidarietà, che abbracci tutti, a cominciare dai più emarginati. (...)

Perciò (...) desidero rivolgermi con semplicità e umiltà a tutti, uomini e donne senza eccezione, perché, convinti della gravità del momento presente e della rispettiva, individuale responsabilità, mettano in opera – con lo stile personale e familiare della vita, con l'uso dei beni, con la partecipazione come cittadini, col contributo alle decisioni economiche e politiche e col proprio impegno nei piani nazionali e internazionali – le misure ispirate alla solidarietà e all'amore preferenziale per i poveri.

Per ridare un'anima alla politica
Alessandra Siragusa
Le encicliche sociali da rileggere

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