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Interessamento europeistico

Nuova Politica - Interessamento europeistico pagina 130
Nuova Politica - Interessamento europeistico
Paolo VI, 29 aprile 1967, allocuzione «Nous nous réjouissons» all'Assemblea Generale della Associazione degli Istituti di Studi Europei, organizzata dall'Istituto «Alcide De Gasperi» e svoltasi a Roma, con la partecipazione di rappresentanze di Austria, Belgio, Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Olanda, Spagna, Svizzera

Noi ci rallegriamo di accogliervi qui oggi, illustri Signori, membri dell'Assemblea Generale del- 1'Associazione degli Istituti di Studi europei, e ringraziamo per le sue nobili parole il Commissario straordinario dell'istituto «Alcide De Gasperi», sotto la cui egida sono organizzate levostre riunioni romane.

Siete uomini di studio, appartenenti a otto paesi del continente europeo e unite i vostri sforzi per far progredire la causa della sua unificazione: vi porgiamo i nostri rallegramenti e vi assicuriamo che la Chiesa segue il vostro lavoro con fervido interessamento.

Il problema dell'unificazione europea può parere soprattutto di natura economica e politica. Di fatto, tuttavia, esso comporta tanti aspetti d'ordine culturale, morale e anche religioso, che la Chiesa non poteva mancare di interessarvisi, dal momento in cui esso si è posto. E se consentite, noi desidereremmo mostrarvi la continuità di tale interessamento, richiamando qui brevemente talune fra le più suggestive dichiarazioni fatte in proposito dai nostri immediati predecessori.

Fin dal periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale, Pio XII, con la sua profonda intuizione dei problemi del nostro tempo, indicò la necessità e la difficoltà insieme dello stabilimento di un'unione europea. Non v'è tempo da perdere – aggiungeva-... È urgente che essa si faccia. Taluni si domandano persino se non è già troppo tardi...». E ne suggeriva la via in questi termini: «Ci si aspetta – asseriva –- dalle grandi nazioni del continente che sappiano prescindere dalla loro grandezza passata, per allinearsi in una unità politica ed economica superiore».

Senza dubbio la lentezza dei progressi non corrispose sulle prime all'aspettativa, tanto che una nota non esente da affanni appare nell'allocuzione indirizzata, qualche anno più tardi (13 settembre 1952), a un pellegrinaggio del movimento «Pax Christi». Ricordando i personaggi politici che lavoravano con coraggio per l'unificazione dell'Europa, Pio Xli affermava: «Quando seguiamo gli sforzi di tali uomini di Stato, noi non possiamo sottrarci ad un sentimento di angoscia... Non esiste ancora l'atmosfera, senza la quale queste nuove istituzioni politiche non possono alla lunga sussistere».

Il radiomessaggio natalizio del 1953 offriva al grande Pontefice l'occasione di formulare un nuovo e incalzante appello, e di confutare l'obiezione dei titubanti. Avendo sotto gli occhi «la grigia visione di un'Europa tuttora inquieta», esortava all'azione gli uomini politici cristiani.

«Perché ancora esitare? – domandava –. Il fine è chiaro; i bisogni dei popoli sono sotto gli occhi di tutti. A chi chiedesse in anticipazione l'assoluta garanzia del felice successo, dovrebbe rispondersi che si tratta, bensì, di un'alea, ma (...] adatta alle possibilità presenti; di un'alea ragionevole».

Presto, grazie a Dio, il movimento verso l'unificazione dell'Europa si sarebbe affermato irreversibile, e Pio Xli - un anno appena prima della morte - ne prendeva atto con profonda gioia di fronte ai rappresentanti della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio. «Oggi – disse loro – molti timori [...] si sono placati e si intravede che il movimento suscitato non può più arrestarsi, che bisogna quindi entrarvi a fondo e accettare i sacrifici temporanei, senza cui non potrebbe aver felice successo...». «Entrare in una comunità più vasta - proseguiva – comporta sempre sacrifici, ma è necessario e urgente comprenderne il carattere ineluttabile e in definitiva benefico». E concludeva: «I risultati conseguiti ci fanno ben presagire per l'avvenire». Egli pensava che i Paesi d'Europa che avevano ammesso il principio di delegare una parte della loro sovranità a un organismo soprannazionale erano «entrati in una via di salvezza, da cui poteva venire a essi e all'Europa una nuova vita in tutti i campi, un arricchimento non solo economico e culturale, ma altresì spirituale e religioso».

L'interessamento di papa Giovanni XXIII per la costruzione dell'Europa non fu minore. Nulla di ciò che potesse ravvicinare e unire gli uomini era indifferente al grande cuore di tale Pontefice, e non dobbiamo certo ricordarvi l'eco universale incontrata dai suoi sforzi, ispirati da un così sincero e così evidente amore per l'umanità. Forse mai documento pontificio aveva avuto un'accoglienza paragonabile a quella riservata dal mondo alla celebre enciclica Pacem in terris.

Per quanto concerne più particolarmente l'Europa, il nostro immediato predecessore si pronunciò con particolare incisività nella lettera fatta indirizzare dal Segretario di Stato alla Settimana Sociale di Strasburgo nel luglio 1962. «L'Europa – vi si leggeva – [...] è una realtà che si va costruendo giorno per giorno... L'alea è stata corsa e tale audacia ha avuto la sua ricompensa...». Il solenne documento, preso atto dei primi felici risultati della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio, poneva poi il problema della esistenza di un bene comune proprio dell'Europa. «La costruenda unione europea possederebbe in proprio un bene comune, come ne esiste per ciascun popolo?». La risposta era categoria: «Senza alcun dubbio, siffatto bene comune europeo esiste; occorre affermarlo e sforzarsi di promuoverne l'attuazione».

Come vedete, Signori, allorché la Provvidenza volle imporci, a nostra volta, il peso del supremo pontificato, la strada ci era, per così dire, tutta tracciata: non avevamo che da seguire, riguardo all'Europa, l'orientamento dei nostri due immediati predecessori. Le nostre dichiarazioni in proposito sono state assai numerose – e fino agli ultimissimi giorni –. Esse vi sono senza dubbio note, almeno in parte, e noi non le citeremo, per non appesantire questa allocuzione. Consentiteci soltanto di ricordare che una delle nostre prime preoccupazioni fu quella di dare all'Europa un protettore celeste, e che volemmo approfittare dell'occasione della visita all'abbazia di Montecassino, nel 1964, per procedere alla solenne proclamazione di san Benedetto, Patrono dell'Europa (24 ottobre 1964).

Perché – si domanderà – tanto interessamento, da parte di una società spirituale, per problemi temporali come l'organizzazione politica ed economica di un continente? La risposta è giù implicitamente contenuta nel rapido scorcio storico abbozzato. Tanti valori culturali, morali, religiosi sono implicati nell'idea d'Europa; essa rappresenta un tale patrimonio spirituale agli occhi della Chiesa; l'equilibrio di tutto un continente è elemento di tal peso per il buon andamento della società tutta intera e per la pace del mondo, che la Chiesa, sollecita del vero bene degli uomini, non può disinteressarsene. Ciò vi sia di incoraggiamento, Signori, se pur ce ne fosse bisogno, nei vostri lavori.

Anche il tema cui essi sono dedicati avrebbe meritato molte riflessioni, che i limiti ristretti di una breve udienza purtroppo non consentono.

«L'Europa occidentale e i Paesi dell'Est»: voi avete scelto in tal modo uno dei punti fondamentali da cui può dipendere l'organizzazione definitiva della società europea. La Santa Sede è con voi in tale lavoro di studio delle vie che potrebbero condurre a un ravvicinamento leale e fecondo: ve lo provano i passi da essa intrapresi, negli ultimi anni, e largamente riportati dagli organi di stampa.

Il vostro illustre interprete si è compiaciuto di ricordare, in termini molto elevati, anche la nostra ultima enciclica sullo sviluppo dei popoli. I principi espostivi hanno, in realtà, una portata generale e valgono per l'Europa come per ogni altro continente. Di che cosa si tratta, in definitiva, se non di superare gli egoismi, i particolarismi, le opposizioni di classe, di razza, di nazione, per costruire un'Europa e un mondo in cui la vera fraternità sia finalmente la legge?

A questo appunto voi lavorate, Signori. E qui, a Roma, meglio che altrove senza dubbio, voi sentite risonare il messaggio di amore e di fratellanza universale proclamato da Cristo duemila anni fa, e che la Chiesa non si stanca di ripetere agli uomini di ogni generazione. Noi sappiamo l'eco che esso trova nel vostro animo. Ce ne rallegriamo e ce ne felicitiamo con voi. Accomiatandoci da voi, invochiamo sul vostro lavoro, sulle vostre persone, sulle vostre famiglie, sui vostri Istituti, su quanti rappresentate e su quanti vi sono cari, una grande abbondanza di grazie, in pegno delle quali accordiamo a voi tutti una larga benedizione apostolica.

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