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La «Restaurazione» di Ratzinger

Nuova Politica - La «Restaurazione» di Ratzinger pagina 25

 

«Se per "restaurazione" intendiamo la ricerca di un nuovo equilibrio dopo le esagerazioni di un'apertura indiscriminata al mondo, dopo le interpretazioni troppo positive di un mondo agnostico e ateo: ebbene, allora sì, questa "restaurazione" è auspicabile ed è del resto già in ano». Queste parole, pronunciate dal Cardinale Joseph Ratzinger in un'intervista rilasciata a Vittorio Messori (in «Jesus», n. 11/'84), hanno fatto molto discutere, fuori ma anche dentro la Chiesa.

Tanti i giudizi espressi dal Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, riassumibili in quello riguardante il post-Concilio: «Il bilancio sembra dunque negativo... è incontestabile che questo periodo è stato decisamente sfavorevole per la Chiesa cattolica».

Ora, si sono avute diverse interpretazioni riduttive, di questa intervista tra cui quella di «Rinascita» (n. 48, p. 7), secondo cui il cardinale bavarese è oggi «il massimo esponente della destra vaticana», e anche quella di «30 giorni» (n. 11, p. 3; in questo stesso numero si veda anche una breve precisazione dello stesso Ratzinger), che si limita ad indignarsi per la ottusità con cui un certo mondo laico ha reagito al solo sentire proferire una parola impopolare (i luoghi comuni ci sono, è vero, ma le parole usate hanno pure un valore intrinseco, e dire «restaurazione» significa usare una di quelle parole che conservano un loro valore anche al di là delle deformazioni semplificatorie).

Un'analisi più sottile (per quanto abbastanza breve) mi sembra invece quella di Daniele Menozzi («Il regno-attualità» n. 22/'84, pp. 546-547) il quale sottolinea come, alla fine, il problema non sia quello di valutare la «anticonciliarità» di Ratzinger, nel senso di opposizione e/o parziale sconfessione del Concilio (dal momento che il Prefetto della Congregazione Vaticana «professa un'adesione formale alla lettera e allo spirito dei documenti conciliari»), ma di evidenziare le sue eventuali «assonanze» con i movimenti che, oggi come ieri, si oppongono al Concilio. Su questa questione, la risposta è positiva, e lo è su almeno quattro versanti: le «assonanze» sono rivelate dal giudizio sulla valutazione dei lavori preparatori, nel senso che «si tende ad avallare una concezione che sminuisce la rilevanza dei lavori dell'assemblea», e una chiara opzione per gli orientamenti della Curia; da un certo modo un po' troppo rigido di concepire la «continuità» nella Chiesa, per cui il Concilio non costituirebbe «nemmeno una svolta» nella storia della Chiesa moderna; dall'accento tutto particolare teso a sottolineare la presenza satanica nella storia, e ancor più nella storia contemporanea (in ciò ricollegandosi a certi filoni di intransigentismo antimoderno); dall'orientamento sulle Conferenze episcopali, teso a ridimensionarne il ruolo.

Indubbiamente, questi «rivelatori» sono riscontrabili nell'intervista; così come sono riscontrabili interpretazioni della realtà presente «costantemente» negative. Infatti, e questo sia detto al di fuori di ogni banale stoicismo teso a prostrarsi acriticamente al presente, tra le «costanti» che attraversano questa intervista, una senza dubbio viene in evidenza: la interpretazione «costantemente» negativa di tutti gli aspetti della situazione presente.

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