Il lavoro per la persona
Uno dei nodi storicamente dolenti del rapporto Chiesa/mondo è quello dei problemi etici che l'uso del danaro ha posto ed oggi più che mai pone alla coscienza cristiana.
La Chiesa volta a volta è accusata di ingerenze indebite o colpevoli silenzi ma, nonostante questo, non può non pronunciarsi su questo problema cruciale della convivenza civile, e deve farlo con competenza e rispetto dello spessore «laico» dei temi economici, ma insieme con lucidità profetica.
Sempre più importante è allora l'apporto di chi, da laico cristiano, opera in campo economico: da qualche tempo si è infatti aperto un dibattito tra pastori, operatori economici e parti sociali.
Anche a Bologna, nell'ambito del congresso eucaristico diocesano, è avvenuto un significativo incontro tra imprenditori e finanzieri, studiosi e sindacalisti, uomini politici e di chiesa.
Tema del Convegno l'«uso del danaro e la coscienza cristiana». Senza entrare nel merito di ciascun intervento, rileveremo qui i punti di vista ed i problemi emersi.
Da parte degli imprenditori, l'esigenza di efficienza è sentita come problema etico, che il mondo contemporaneo pone anche alla Chiesa, ai suoi uomini ed alle sue strutture, di contro ad una logica ancora dominante in campo ecclesiale troppo adagiata sulla «spontaneità» del volontariato ed indifferente ai ritmi ed ai tempi circostanti.
L'esigenza del rispetto rigoroso della regola «laica» dell'efficienza è molto sentito dagli imprenditori cattolici (volge per tutti il richiamo in questo senso di Giovanni Bazoli, nuovo Presidente del banco Ambrosiano) anche a causa di alcune dolorose e talora ambigue recenti vicende, per cui la finanza cattolica avverte come primario ed urgente dovere quello di ristabilire la trasparenza dei metodi e delle regole etiche, al fine di rimuovere il pregiudizio negativo che tuttora pesa su di essa.
D'altro canto gli imprenditori lamentano ancora una sorta di «abbandono» in cui la Chiesa li avrebbe lasciati negli anni critici della contestazione.
La dottrina sociale della Chiesa si sarebbe infatti appuntata sulla difesa del diritto di proprietà prima e del lavoro salariato poi, continuando a vedere nell'imprenditore solo il «ricco» senza scorgere il ruolo socialmente positivo di chi rischia in proprio giungendo così a creare occupazione di cui altri possono fruire.
Da parte della Chiesa, assieme al riconoscimento della bontà di fondo delle dinamiche economiche in quanto creatrici di sviluppo, viene un richiamo all'«homo oceanonicus» immerso nello sforzo di creare ricchezza affinché centro e fine della sua attività diventi sempre più la promozione integrale della persona umana.
Questo è il senso dell'enciclica papale «Laborem exercens» secondo il Prof. Rocco Buttiglione, che ne ha sostenuto la portata innovativa proprio nella direzione di un primo riconoscimento ed approfondimento teologico della dimensione creativa del lavoro imprenditoriale.
Ugualmente sbagliato sarebbe però oggi, da parte della Chiesa, abbracciare senza riserve la causa del puro profitto, credendo ad una predominante tendenza sociale e culturale: la società infatti non procede solo sulla base del profitto, ma si evolve anche in funzione dei bisogni.
Emergenze allarmanti di una società che trascura questi bisogni, hanno fatto una fugace apparizione durante il convegno i problemi insoluti della questione femminile e della famiglia... giusto il tempo per capire che avrebbero meritato maggior approfondimento, ma che per essi nessuno oggi ha pronte risposte nuove e positive.
Come ha agito fino ad ora e come può agire la Chiesa in questo contesto?
Anche qui i problemi aperti sono tanti: la dottrina sociale della Chiesa ha risentito, secondo molti laici, di un certo schematismo ideologico, quando ad esempio ha equiparato nella condanna marxismo e liberalismo, ignorando che storicamente è il liberalismo che ha permesso le più importanti conquiste sociali... procedendo in modo «deduttivo», si sono finiti per produrre più formule astratte che suggerimenti concreti, i quali rispetto alle prime appaiono esili ed insufficienti.
Tuttora la Chiesa sembra sottovalutare il fatto che ogni possibilità di sviluppo dipende dalle dinamiche di mercato. Eppure, dopo il fallimento del marxismo e delle socialdemocrazie, la Chiesa ha molte chances di dialogare col mondo occidentale, purché rinunci ad un certo suo «massimalismo».
La dottrina sociale deve sempre più essere improntata ad un metodo «induttivo», tenendo conto del contesto politico-culturale e delle diverse storie ecclesiali.
Non tutti peraltro si sono dichiarati convinti dell'opportunità di proseguire sulla strada della dottrina sociale, né unanime è stata l'individuazione dei soggetti privilegiati di tale elaborazione.
Soggetto è la Chiesa, certo, ed al suo interno privilegiatamente i laici.
Ma in quale forma i laici si devono esprimere?
Come singoli cristiani che nel mondo operano da laici, o come cristiani aggregati in movimenti, e che solo in quanto aggregati in movimenti possono dirsi Chiesa?
In che rapporto poi questi movimenti stanno con la Chiesa locale, e come le varie componenti laicali dialogano tra loro all'interno di essa? I movimenti puntano al raggiungimento di un'ideale: questa è l'unica norma d'azione, o il rapporto col resto della comunità locale, è anch'esso un criterio importante?
La pluralità presente nella Chiesa non può esprimersi al di fuori del dialogo (che esige spazi «istituzionali» in cui svolgersi, e regole comuni che permettono la mediazione); come spazio di questo dialogo intraecclesiale, essenziale premessa per un dialogo col mondo, il Concilio aveva indicato nella Chiesa locale. La Chiesa locale è il luogo di questa sintesi, per cui la comunità diventa effettivamente tale, ed evita il rischio di una competitività che frammenta la comunità.
È riconosciuta da tutti l'esigenza di un profondo ripensamento etico sui temi dell'economia, ma questa prospettiva etica presuppone antropologie dagli accenti diversi: c'è chi la disegna in base a valori umani comuni a credenti e non credenti e chi non vede altra antropologia possibile al di fuori di quella delineabile alla luce della cristologia.
Cosa deve arrivare infine ad esprimere, la Chiesa di qualitativamente diverso, in materia di cultura socio-economica?
Se muoversi nella pura logica dell'avere porta a trattare anche le persone coi loro bisogni alla stregua delle cose, certamente solo da una spiritualità profondamente vissuta a livello personale può scaturire la libertà interiore dal denaro che permette di ass1;;gnarli la funzione di elemento della promozione umana.
Ma se la strada della revisione dei comportamenti personali è da secoli tracciata all'interno della Chiesa, per quanto sempre da rinnovare, più difficile ed inesplorata appare quella della costruzione di progetti collettivi. Nessuno propone oggi una «terza via» cattolica: esiste invece, secondo gli imprenditori intervenuti al convegno uno spazio di discrezionalità all'interno del quale si può lavorare per favorire la logica della solidarietà.
Questo sforzo esige però un adeguato supporto culturale, che tende a conciliare esigenze del mercato e bisogni sociali.
Il welfare state non va ad esempio liquidato come una pericolosa chimera, lo ha sottolineato Ardigò indicando alcune piste da battere per affrontare i problemi dello sviluppo nella prospettiva, indicata della laborem exercens, della realizzazione integrale dell'uomo.
Riportiamo questi suggerimenti come altrettante provocazioni per la riflessione comune: come si può operare in modo che le nuove tecnologie, che rischiano di umiliare la soggettività, possono invece volgersi a favore di chi lavora?
Come far sì che la ricchezza, accumulata grazie a queste conquiste, possa contribuire al benessere di tutti, rivalutando così la funzione essenziale di una politica sociale perequativa?! Come rivedere la qualità dei servizi in modo che esaltino anziché umiliare le esigenze della vita personale? Ed infine, come vblgere il lavoro a contenimento della distruzione della natura1
Non è più possibile per i cristiani procedere a compartimenti stagni, rifuggendo dal dialogo intraecclesiale, se si vuole cominciare a formulare qualche ipotesi praticabile per la soluzione di problemi come l'occupazione la qualità del lavoro, la qualità dei servizi, il divario tra paesi sviluppati e terzo mondo.












































