"La città'' amava ripetere Giorgio La Pira, "è il domicilio organico della persona umana. In ogni città degna di questo nome ciascuno deve avere una casa per amare, una scuola per imparare, una officina per lavorare, un ospedale per guarire, una chiesa per pregare e poi tanti giardini perché i bimbi possano giocare ed i vecchi riposare in santa pace''. Inutile dire che per un fiorentino (anche se solo di adozione) come lui, città fosse sinonimo di stato. Ed uno stato senza anche una sola di queste strutture fondamentali come una città. è incompleta. Ma incompleta soprattutto se a mancare è l'officina. E nella città della fine del ventesimo secolo a mancare sono soprattutto le officine.
Dodici milioni di disoccupati nella sola Europa sono una cifra che la dice lunga sulla decadenza del Vecchio Continente.
Ma più che un puro e semplice dato politico, si tratta della negazione a 12 milioni di persone di uno dei primi diritti, e più elementari, dell'uomo: quello al lavoro.
La grande industria del duemila, si asserisce, non è ancora nata, almeno dalle nostre parti. E quella vecchia sta agonizzando. Carlo Rubbia ha ribadito ancora pochi giorni fa che la nostra è una disoccupazione da ignoranza delle nuove tecnologie.
Potrà sembrare un paradosso, ma la nostra disoccupazione è da ignoranza ed intellettuale allo stesso tempo.
Sappiamo magari molto, ma sappiamo le cose sbagliate. E le soluzioni non sono più facili come una volta, quando il problema era quello della riconversione industriale e della ricostruzione delle strutture pubbliche.
A quei tempi un grande economista poteva ancora permettersi di affermare che ad un certo punto conveniva mettere i disoccupati a scavare buche per poi fargliele riempire o a costruire piramidi o a riempire o poi svuotare un gran numero di bottiglie con le banconote delle casse dello stato. Una serie di paradossi gradevoli da leggere, ma poco consigliabili se li si vuole seguire alla lettera (il che purtroppo in qualche caso è stato fatto). Ora una proposta del genere non è più possibile. Un laureato non può essere mandato a fare un lavoro frustrante come quello di scavare e riempire. Non c'è nulla di più dannoso per lui e per la società.
La pace è giustizia sociale. Senza l'una non c'è l'altra.
Giorgio La Pira, quando si voleva chiudere una delle più importanti industrie fiorentine, riuscì ad evitarlo.
Forse non telefonando, come racconta invece un film, a Mattei e dicendogli di avere sognato lo Spirito Santo. Un suo illustre concittadino vissuto esattamente cinque secoli prima di lui affermava che lo stato non si regge con i patemoster.
Ma il più delle volte quello che manca è la volontà politica di riuscire a salvare capra e cavoli.
I giovani non possono essere destinati a diventare i pronipoti di Oliver Twist (la definizione non è certo nostra). Il progresso è solo la risposta alle sfide del presente. L'ignavia in questi casi non può essere tollerata.































