Il santo e l'attendente
Un santo al Cremlino di Vittorio Citterich è uno di quei rari libri in cui la buona letteratura si coniuga con il racconto storico. Merito dell'autore che sa raccontare come pochi, ma merito anche del personaggio.
La Pira, che è stato sì, un politico ma che sarebbe difficile confinarlo nella categoria. Non a caso La Pira, pur avendo esercitato un fascinò incredibile su tante generazioni di democristiani e cattolici non ha mai «confezionato» dei seguaci, riconoscibili a prima vista per il timbro del fondatore in fronte. La Pira, come tanti profeti di Israele, è stato punto di riferimento come uomo di Dio e come «guida» del popolo. Con difficoltà a discernere nella stessa azione l'uno e l'altro. Si sia trattato della salvezza della fiorentina Pignone (una fabbrica decotta, come si direbbe oggi, da chiudere come tale, e che invece rinasce non per miracolo, perché Enrico Mattei i conti li sapeva fare, ma per la forza determinata di un omino disarmato a cui Mattei prestò la sua intelligenza di imprenditore) si tratti di questo viaggio al Cremlino di cui Citterich racconta.
L'uomo di pace, il profeta, che si presenta laddove nessuno avrebbe mai osato, con l'immagine della Vergine di Fatima, con una valigia di santini, con la preghiera davanti alla tomba di San Sergio. Parla un linguaggio strano, di un ponte fra est ed ovest a cui lo aiutano le preghiere di strane donne che hanno deciso di passare la loro vita nel chiuso dei conventi. Di eserciti visibili, al Cremlino vedono in realtà che questa sorta di «attendente» che è Vittorio Citterich. Gli uomini del protocollo lo scambiano per il «vigilantes» che ha il compito di seguire passo passo il sindaco di Firenze, soprattutto perché non faccia tardi agli appuntamenti. Non conoscendo bene non solo il professore che ha un suo protocollo fatto di riguardo più ai santi che ai potenti, ma neppure l'attendente, lapiriano come si può esserlo (nel senso di affascinato da La Pira) ma sinanche scettico e tutt'altro che zelante segretario nei confronti del maestro.
«Giornalista ti salverai soltanto perché sei nato a Salonicco la patria di Cirillo e Metododio»: gli dice ogni tanto, su per giù, la Pira.
E giornalista sta per scettico, per incapacità di vedere al di là del fatto: un limite che solo un santo non ha.
Ma Citterich non è solo un giornalista. Non cl caso la Pira se lo porta dietro. E uno di quelli che capisce il maestro, dopo che questi si è spiegato. L'episodio delle vecchiette che affollano le poche chiese ortodosse di Mosca è, oltre che bello in sé, di particolare significato. «Hai visto come sono affollate le chiese? Si professore, ma sono tutte vecchiette. Giornalista, non capisce niente: quando la fede tornerà forte e impetuosa troverà questa luce delle candeline accese della fede delle vecchiette. Devi studiare la teologia delle vecchiette».
Riassunto, l'episodio che Citterich narra con la semplicità di chi sa raccontare ed essere allo stesso tempo testimone, ci dice un po' tutto di La Pira, della molla che lo porta alla cattedra universitaria, alla Camera, al governo, soprattutto in quella poltrona di sindaco di Firenze in cui. l'uomo di Dio innalza la stessa città a fiaccola sopra il colle. Non si parlerà più di Firenze in Italia e nel mondo come se ne parlò in que i anni. L'attendente di allora, Vittorio Citterich, ci restituisce questo La Pira con l'immediatezza che può dare solo chi è testimone. Prima che finisca nel fumo degli incensi, come capita spesso ai santi che si ricordano non si sa più bene perché fiduciosi solo della validità del processo canonico, sarà bene che le generazioni che La Pira non hanno conosciuto si leggano questo libro. Per sapere come si mosse un Uomo di Dio che è stato anche «guida» del popolo.


















































