Conclusione: il futuro dei giovani e della pace in una società più giusta
In conclusione, qual è il futuro dei Giovani?
Dopo otto giorni passati a discutere di pace, aiuti al Terzo Mondo, disarmo, democrazia e futuro dei giovani altro non può essere, si concluderà, se non un futuro di pace.
Un luogo comune: da quando l'uomo ha fatto esplodere la prima bomba atomica ad Hiroshima che sia la pace l'unica risorsa nelle mani dell'uomo per assicurarsi la sopravvivenza è apparso fin troppo chiaro.
Appare invece meno chiaro.
L'epoca di Carter ci ha insegnato che il dialogo per il dialogo, l'irresolutezza, oltre ad essere dannosi politicamente lo sono anche dal punto di vista della pace.
La distensione ha fruttato, nella vulgata datale dall'allora presidente degli Stati Uniti, solo la mancata soluzione dei problemi della democratizzazione dei paesi del blocco sovietico, la nascita di regimi dittatoriali nel Terzo Mondo appena decolonizzato, il dispiegamento degli euromissili (un problema sollevato da un leader al di sopra di ogni sospetto, l'allora Cancelliere della Repubblica Federale di Germania Helmut Schmidt).
Pur senza cadere nelle analisi a tinte eccessivamente fosche di Henry Kissinger, bisogna riconoscere che un bilancio di un'epoca della storia del secondo dopoguerra segnata dalla volontà di dialogo fine a se stessa e senza un preciso disegno politico che la sorregga non può essere poi così positivo.
Da un punto di vista meno strettamente politico le cose non cambiano. Non è la pura e semplice comprensione delle ragioni di chi minaccia la pace (terroristi e spacciatori di droga) che risolve il problema.
La pace non va solo creata nel campo della politica. È un problema, ed i giovani non se lo devono dimenticare, di giustizia sociale. Ma alla giustizia occorre affiancare la volontà di affrontare con determinazione, anche con la forza dovuta se necessario, chi la pace la minaccia. Vuoi in nome del proprio tornaconto personale, vuoi in nome di un ideale che, ritiene, lo autorizza a calpestare la vita e la libertà altrui.
Pace non è arrendevolezza, è coscienza delle proprie ragioni e volontà di risolvere i problemi dell'uomo. I più grandi uomini di pace del secolo, da Ghandi a Martin Luther King, non predicavano la pace per la pace, ma volevano la pace per la soluzione di alcuni problemi politici e sociali ben determinati.
È questa la linea da seguire. Perché la pace non la costruisce chi si richiude in se stesso e non affronta i problemi per paura o disinteresse.
«Me ne frego» era il motto dei fascisti. «I care it», «mi importa», quello di Martin Luther King. E chi ha costruito la pace in questo secolo è stato lui. Anche lui, anni fa, è stato fermato da alcuni colpi di fucile. Ma il suo insegnamento resta vivo, ed a 20 anni di distanza «sulle rosse colline d'America i figli dei bianchi ed i figli dei negri siedono insieme al tavolo della fratellanza». Il suo sogno si è realizzato. Il sogno dei giovani, è questa la vera conclusione, potrà forse un giorno realizzarsi come quello di Martin Luther King.




















































