Politica estera

1985: la primavera inizia il 12 marzo?

Nuova Politica - 1985: la primavera inizia il 12 marzo? pagina 3
Le annunciate trattative di Ginevrauna speranza per tutto il mondo. Interviene per «Nuova Politica» il corrispondente della RAI da New York.

A Ginevra dunque – 12 marzo – il grande appuntamento. Tante definizioni suggestive, a sottolineare la speranza del mondo intero.

Fine dell'era glaciale nei rapporti fra i due supergrandi; neo-distensione in prospettiva; al di là delle opposte visioni e del livello di conflittualità da guerra fredda (ancora più temibile per l'enorme accumulazione di ordini nucleari), Stati Uniti e Unione Sovietica condannati a trattare. Cogliere, al tempo stesso, da parte perlomeno degli osservatori più attenti, il dato obiettivo; la neo-trattativa presenta difficoltà senza precedenti. Perché, proprio nel momento delle maggiori tensioni fra Mosca e Washington, diciamo pure massimo dell'incomprensione e della reciproca diffidenza, le due grandi potenze scelgono di impegnarsi in un negoziato globale sulla riduzione degli armamenti nucleari. Mai avvenuto prima; in passato, l'obiettivo era sempre limitato, riguardando una certa categoria di armamenti. Adesso, si sa bene, le discussioni, pur su tre diversi tavoli ma interconnessi, riguarderanno tutti i tipi di armamenti nucleari, dai grandi missili strategici, intercontinentali, a quelli di medio raggio, come i cosiddetti euromissili. Non solo, anche quella che l'amministrazione Reagan ha definito «Iniziativa di difesa strategica», cioè armi da guerre stellari, ancora nella fase iniziale di ricerca e sviluppo. Tuttavia, proprio qui, è la chiave per capire la svolta: Mosca che decide di ritornare alla trattativa con Washington dopo lo «strappo», sempre a Ginevra del novembre 1983 - i sovietici che abbandonano prima il negoziato sugli euromissili, poi quello sugli armamenti nucleari strategici. Ripetono, per quasi tutto1'84 che il dialogo potrà riprendere soltanto se verranno ritirati gli euromissili e se si fisserà una moratoria nel settore delle armi spaziali antimissile. Non solo, adesso, sono cadute le due condizioni preliminari, ma un negoziato comincia su basi del tutto nuove.

A determinare la svolta è stata proprio la nuova filosofia strategica reaganiana. Il passaggio, cioè dalle armi nucleari offensive (i missili simboli dell'olocausto nucleare) alle armi difensive, potremmo dire antinucleari. Trasferire il conflitto dalla terra allo spazio, distruggere missili e testate, oltre l'atmosfera, assai prima che arrivino sugli obiettivi terrestri. Ronald Reagan ama i grandi disegni, ama anche, secondo il titolo di un libro famoso a lui dedicato, «Gambling with History», giocare d'azzardo con la storia. Uomo di rottura, rispetto a tradizioni consolidate, basti pensare alle sue scelte economiche. E, ancor più importante, è convinto e ripete che non ci sono limiti all'avventura umana, perlomeno occorre partire da questo assunto. Dunque, grande slancio ideale. Ecco i presupposti della sua rivoluzione strategica. Allo stato attuale delle cose, pensa Reagan, con Mosca non ci si intende su riduzioni sostanziali degli armamenti nucleari. Occorrono allora nuove idee che spingano i sovietici a trattare. Appelliamoci dunque al nostro grande potenziale economico e tecnologico. Dimostriamo ai russi che possiamo rendere inutili le armi nucleari, creando uno scudo protettivo contro i loro missili, fatto di satelliti, grandi laser e chissà che altro. Non è forse il massimo della dissuasione? E non ha, questa scelta, un grande valore morale perché allontana dalla terra la possibilità dell'olocausto? Non è certo moralmente accettabile che la dissuasione continui a basarsi sulla «reciproca distruzione assicurata» alla base – secondo il presidente americano – dell'assurdo moltiplicarsi degli arsenali nucleari. Passaggio dunque dalle armi nucleari offensive a ordigni spaziali non nucleari e difensivi. In tanti rispondono a Reagan, «Pie in the sky» – definizione dell'ex segretario alla difesa Mc Namara. «torta nel cielo», per dire, «fantastico» «irreale». Ma l'amministrazione replica: siamo stati capaci del progetto Manhattan che ha portato alla realizzazione della prima bomba atomica, adesso facciamo un progetto Manhattan alla rovescia, per eliminare dalla faccia della terra le armi nucleari. E c'è un'altra considerazione che viene rilanciata di continuo, a Washington. Se davvero tutto questo fosse un sogno irrealizzabile. perché i sovietici se ne sarebbero così tanto preoccupati fino a ritornare a trattare, ponendo sempre l'accento proprio sulle armi spaziali, insistendo sul fatto che ad esse la nuova Ginevra, deve dare priorità assoluta? Non si comporterebbero così se fossero chimere, qualcosa di confinato nel futuribile dell'immaginazione.

E questo spiega anche il primo scoglio, forse la difficoltà maggiore che subito emergerà a Ginevra. Washington considera l'«iniziativa di difesa strategica», la grande carta vincente e non vi rinuncerà mai. 1 russi temono questa rivoluzione strategica, dalla quale probabilmente o rimarrebbero fuori o sarebbero costretti, per prendervi parte, a investire somme tali da abbassare, fino a limiti pericolosi, il livello di vita nel paese. Ma accanto a questo nodo di fondo ci sono anche numerose altre difficoltà. Fino a che punto – ad esempio – i sovietici vorranno spingersi nelle riduzioni degli armamenti nucleari offensivi? Accetteranno, soprattutto, rigorosi sistemi di controllo per accertare se davvero eventuali accordi verranno rispettati? In passato non sono mai stati disponibili, si osserva nella capitale americana. E qui si inserisce un altro elemento di fondo: l'amministrazione Reagan non intende abbassare la guardia. Non si dimentica la lezione del passato: Mosca, nell'era della distensione e dei grandi accordi Usa-Urss ha dato l'avvio al più grande sforzo bellico di tutti i tempi e ha approfittato per dilatarsi in varie parti del mondo.

Reagan interpreta la sua rielezione a valanga, i grandi consensi attuali, anche come un appoggio alla sua linea nel settore della difesa nazionale, l'aver soprattutto ristabilito un equilibrio della forza, la sua determinazione a mantenerlo. E allora, per adesso ci si deve fermare al solo elemento positivo. Il fatto che i due supergrandi si siedano insieme a trattare: oltre i complessi, difficili obbiettivi del supernegoziato, c'è da sperare che prima di tutto si sforzino di ridurre il livello di reciproca sfiducia e diffidenza. E il vero, autentico ostacolo, a «monte di tutto», per dirla all'italiana. Se cadrà, il resto non sarà impossibile.

Lo schema Vanoni trent'anni dopo
Carlo Fracanzani

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