Frontiere di musica, frontiere di pace
Se la frontiera è davvero un concetto artificioso, una linea di demarcazione e di divisione che, come sottolineava don Milani, cambia al mutare delle fortune militari, allora è necessario trovare uno strumento più forte delle barriere fisiche per arrivare al "villaggio mondo".
Il professor Lazzati una volta mi disse: "davanti ad un bambino che piange, nessuno è spinto a fargli del male, ma ogni persona sente il desiderio di prenderlo in braccio, accarezzarlo, cullarlo e nel cullarlo di cantare. Il canto è l'espressione della gioia e dell'amore, ed è lo strumento più efficace per trasmettere i sentimenti".
E tutti conoscono questo strumento: la musica.
La canzone impegnata contro la guerra del Vietnam, Woodstock, Live Aid, sono solo le tappe più recenti di un cammino che ha origine più a monte, che trova le sue radici nell'animo dell'uomo.
Da sempre la canzone è usata per accumunare, per trasmettere agli altri qualcosa; pensiamo per esempio ai negri d'America che ci hanno regalato alcune delle pagine più belle di un patrimonio musicale che non tende a scomparire.
Alcuni distinguono tra musica impegnata e disimpegnata: credo che questo dualismo non debba essere accentuato più di tanto. Certo ci sono canzoni di denuncia e di protesta, facete oppure serie, con testo o senza "voce'' ma la Musica (quella con la M maiuscola) che le comprende tutte ha un effetto sempre valido: quello di portare gioia e serenità, due cose necessarie per la ricerca della pace.
E allora l'universale unione che crea la musica va "sfruttata".
Noi giovani non possiamo farci scappare di mano un'arma con la quale gettare nel mondo quei semi che sempre e sicuramente danno frutto.
Nessuno di noi è tanto ingenuo da credere di risolvere tutto cantando, ma nemmeno è il caso di lasciarsi sfuggire questa possibilità.
E oggi più che mai questa è una strada da percorrere, perché se è vero che la musica è cambiata adeguandosi alle esigenze dei ritmi e dei suoi attuali fruitori, è altrettanto vero che è progredita la capacità di ricezione della sua forza.
Se negli anni '60, infatti, ogni gruppo si trincerava dietro al suo cantautore per condividere idealmente una strada da intraprendere, oggi si tende a prendere quanto c'è di positivo dalle diverse esperienze perché, forse, dè la consapevolezza che la via giusta non sta in una parte sola ma nella capacità di condividere quanto di vero ognuno porta con sé. E i megaconcerti, i ritrovi, le occasioni di incontro stanno sempre più modificandosi da semplice condivisione ideale per divenire mobilitazione immediata, per dare una risposta concreta ai problemi che ci si trova a "denunciare'', ma forse è meglio dire sviscerare. Live Aid è solo la punta di un iceberg che già da tempo si stava ingrossando.
Per tutti questi motivi si può tranquillamente affermare che la musica è un linguaggio di pace: è nostro compito rendere questo linguaggio dialogo senza barriere.



















































