Per una pace duratura...
Programmando questo numero di Nuova Politica, non pensavamo certo che il precipitare degli eventi, ci avrebbe costretto a discutere di un qualcosa, che ci coinvolge emotivamente e politicamente, e che non ritenevamo ormai più possibile: la guerra. Certo se avessimo ben analizzato la strategia del terrore e dell'aggressione attuata da Saddam Hussein, con l'attacco dapprima all'Iran e la conseguente lunga e terribile guerra, durata ben otto anni e costata 1.000.000 di vite umane; con una politica di accrescimento del proprio potenziale bellico esasperata e sottovalutata da compiacenti industrie europee, assurdamente sproporzionata per un paese che non abbia folli mire espansionistiche; con l'invasione poi del ricchissimo ed altrettanto pacifico Kuwait, dove alla popolazione civile non è stata risparmiata alcun tipo di violenza; con lo schieramento repentino di altre truppe, pronte a varcare il confine dell'Arabia Saudita, ci saremmo resi conto che quest'uomo, se è ancora possibile definirlo tale, ha voluto, vuole e continua a volere la guerra. Tutte le vie diplomatiche possibili sono state tentate nei lunghi mesi trascorsi dell'invasione del Kuwait, sino alla scadenza dello ultimatum, imposto dall'Onu (che ricordiamo bene è la massima espressione della garanzia del diritto e della tutela dell 'ordine tra i popoli) ma inutilmente così come inutilmente sono risuonate le parole di pace di Perez de Cuellar, di George Bush, di Gorbaciov e della più autorevole voce in campo umanitario: quella di Giovanni Paolo II.
Come un cane che ostinatamente rifiuta di mollare l'osso, così, con la stessa ringhiosa caparbietà, Saddam Hussein, si è rifiutato di lasciare il Kuwait. Sarebbe bastata una sua parola e la guerra non ci sarebbe stata.
La realtà è che noi occidentali, fino all'ultimo abbiamo sperato che Saddam, dinnanzi all'enorme spiegamento di forze militari si sarebbe ritirato dal Kuwait, allontanando così lo spettro della possibilità di un intervento armato. Fino all'ultimo le forze alleate hanno sperato che dopo i primi bombardamenti aerei il rais cedesse dalla sua intransigente posizione, ma così non è. I giorni passano e questo presunto capo nazione che protetto nei suoi bunker espone la propria popolazione civile ai rischi dei bombardamenti, questo difensore degli arabi dall'oppressione che per secoli gli infedeli hanno esercitato nei confronti del "popolo eletto da Dio", questo paladino del popolo palestinese, del quale non esita a far uccidere i capi moderati (vedi attentato di Tunisi) e sul quale non esita a spedire i suoi scud (pardon i suoi Al Hussein) ci appare nella sua macabra realtà? Non erano bastati i mesi in cui ci aveva angosciato trattenendo uomini, donne e bambini, di tutti i paesi, come ostaggi umani, non i ricordi delle bombe a testata chimica usate per sterminare migliaia e migliaia di curdi, a renderlo un odioso ed insopportabile dittatore. Mancava molto del repertorio di crudeltà che ora sta esibendo al mondo intero. Attacchi indiscriminati sulla popolazione di Israele (stato del tutto estraneo all'invasione di Saddam del Kuwait) per ora con armi convenzionali ma con la ripetuta minaccia di usare le testate chimiche o batteriologiche; la liberazione in mare di milioni di barili di petrolio che costituiscono il più grave disastro ecologico mai avvenuto finora, l'incendio dei pozzi di petrolio con il conseguente inquinamento atmosferico, la violenza contro i prigionieri di guerra, così evidente nell'immagine del nostro capitano Cocciolone, trasmessa dalla tv irachena; l'uso degli stessi come scudi umani nelle postazioni strategiche; il rifiuto di rispettare, anche se in minima parte, la convenzione di Ginevra, che pure l'Iraq aveva sottoscritto; l'appello continuo e delirante alle masse arabe perché si sollevino in una specie di guerra santa che li riscatti contro gli infedeli occidentali. E, ultima, perfidia il ringraziamento ai pacifisti per le marce che si svolgono in tutto il mondo, che nella sua strumentalizzazione, assumono il carattere di condanna per le forze alleate, a favore suo, vittima "innocente" di una feroce aggressione.
Penso con angoscia alle sue future terribili sorprese e, con altrettanta angoscia guardo le manifestazioni nei paesi arabi e africani che inneggiano a questo mostro come al loro eroe, incuranti delle vittime innocenti che quotidianamente sono nei campi di battaglia. Dinnanzi a tutto ciò, mi domando come sarà mai possibile avere la pace fintanto che un individuo così spregevole rimane alla ribalta della politica internazionale.
Nelle manifestazioni pubbliche e nei commenti di alcuni personaggi, si recrimina sull'intervento alleato e c'è chi afferma che non vale la pena di morire per il Kuwait, e per il petrolio. Ciò sarebbe vero se le cose fossero più semplici. In realtà questo intervento ha un valore di lunga superiore al solo lato economico, perché c'è in gioco il rispetto delle leggi e del diritto internazionale. Lasciare oggi a Saddam il Kuwait, non avrebbe significato la pace per noi, anzi, sarebbe stato avvilente avallare una brutale aggressione contro un popolo ed un paese sovrano, riconoscendo così che le regole internazionali e le organizzazioni a loro tutela, non hanno alcun senso. Lasciare il Kuwait a Saddam avrebbe significato lasciargli la possibilità, continuando nella sue annessioni, magari in Arabia, di ricattare il mondo, alzando il prezzo del petrolio, mettendo in ginocchio le economie dei paesi industrializzati, creando disoccupazione, povertà e crisi, anche in Italia dove siamo abituati a vivere fin troppo bene. Ma soprattutto, lasciare il Kuwait a Saddam, gli avrebbe dato la possibilità di continuare ad armarsi, sino a diventare, il suo supercannone ne è una prova, una pericolosa minaccia di attacchi armati contro il nostro paese e gli altri paesi europei. Noi non possiamo che pregare perché il rischio di un altro conflitto mondiale non divenga realtà e la pace sia possibile per gli anni futuri, così come è indispensabile che in questi momenti terribili di ansia e di preoccupazione, siamo vicini, con la nostra solidarietà alle migliaia di giovani, di ventinove nazioni, che quotidianamente rischiano la loro vita per difendere i principi dell'indipendenza dei popoli che è alla base della convivenza civile e tra le nazioni. Non ci potrà mai essere infatti pace finché vi saranno popoli privati della propria libertà o sottomessi alla dittatura di un tiranno. Proprio per questo, non ci resta che riconoscere sconsolati e amareggiati che la pace duratura domani, non può che significare fermare oggi Saddam.




















































