Documento del MGDC sugli eventi del Golfo
É straordinariamente difficile definire una posizione sintetica e di un Movimento giovanile sulla guerra in corso nel Golfo Persico. Lo è a causa delle molteplici posizioni che si registrano in eventi del genere e che sono assolutamente trasversali ai partiti politici (come dimostra il dibattito svoltosi in Parlamento); lo è per il lacerante impatto che la decisione del Governo di partecipare alla missione multinazionale ha avuto sul mondo cattolico, eticamente contrario ad ogni uso della forza e restio in buona parte a comprendere le ragioni della politica; lo è per la sempre inutile ma ricorrente contrapposizione che strumentalmente si crea fra presunti "pacifisti" e presunti "guerrafondai" e che inquina le possibilità di scambio di opinioni e valutazioni; lo è per la difficoltà di ciascuna parte di arrivare a posizioni prive di incoerenze purtroppo, invece, abbondano in qualsiasi analisi che venga proposta e discussa.
Per questo motivo, nella consapevolezza che ogni riflessione raggiunta rappresenta il frutto di un processo tormentato e mai definitivo, proviamo in questo documento a fissare alcuni punti fermi del nostro itinerario.
A - Due sono gli spettri che aleggiano nell'area delle giustificazioni addotte da chi promuove o non riconosce l'opportunità di un intervento, due grandi parole sovente utilizzate in modo improprio nelle ultime settime: il diritto e la pace.
Per chi conosca, anche in modo superficiale, i lineamenti del diritto internazionale, è assodato sia la natura "in divenire" del diritto relativo alla limitazione dell'uso della forza, sia la natura eminentemente "politica" di questo diritto. Non si spiegherebbe, se non in questo contesto che alcuni stati – in una comunità di eguali – abbiano detenuto e detengano il diritto di veto sulle decisioni da prendere; non si spiegherebbe come mai in altri casi di violazione del diritto internazionale non si sia potuta raggiungere in passato l'unanimità in Consiglio di Sicurezza; non si spiegherebbe come mai, fino ad oggi, nessuna decisione dell'Onu sia stata fatta rispettare coattivamente con l'uso della forza militare. É quindi sul piano della politica, della nuova politica che il diritto può assumere la dignità di un argomento; non come giustificazione in sè stessa priva di riferimenti con l'analisi della realtà.
Analogo si corre quando si invoca, come condizione preliminare per ogni possibile discussione, il ritorno della pace.
Non è in discussione qui la buona fede del pacifismo, né la sofferenza che ogni cattolico impegnato in politica prova in questi giorni. Né occorre attardarsi sullo strumentale sostegno dato da ogni parte della sinistra parlamentare ed extraparlamentare alle parole del Papa. Ciò che ci sembra corretto e ferocemente autocritico è invece interrogarsi sul perché del silenzio pacifista anche di noi cattolici durante le infinite altre guerre in America Centrale, in Asia, nel Timor, in India, in Iran.
Insospettisce il pacifismo tardivo che non presenta alternative politiche se non il rifiuto non negoziabile della guerra ed un appello convinto quanto astratto alla pace. Così come ci insospettisce la posizione di chi, in modo intollerante, nega la dignità politica ad altre soluzioni della vicenda, che non siano le proprie, immaginando che su vicende così complesse, si possa dire una parola definitiva.
B - E allora, se ci sembrano più incoerenti le posizioni rigide, che non lasciano alcun spazio al dubbio e alla propria autocoscienza, vorremmo fare un ragionamento solo ed esclusivamente politico, il ragionamento che non demonizza gli errori o le contraddizioni del passato, contemplando la propria inutile impotenza, ma se ne fa carico cercando di proporre una soluzione alternativa. Su questa prospettiva, vorremmo fissare alcuni punti.
1. Una sottolineatura di alcuni fattori già assodati: la responsabilità irachena dell'aggressione del Kuwait, proprio mentre gli emissari di Saddam Hussein chiudevano cordialmente l'accordo in sede Opec sulla super produzione del Kuwait; le atrocità commesse nei primi mesi dell'invasione dalle truppe irachene; il livello, la varietà degli sforzi diplomatici compiuti prima del 15 gennaio che non hanno precedenti in nessun conflitto del passato dopoguerra; la divisione del mondo arabo che non sembra riconoscere in Saddam Hussein il leader della nazione araba; la difficoltà della diplomazia occidentale tradizionale nei confronti di un islamismo che vede nella Jihad la coronazione più alta del proprio scontro con il Nord del mondo; la volontà irachena – ricorrente nel tempo fin dagli anni '40 – di impossessarsi di uno Stato mai riconosciuto politicamente fin dalle origini.
2. L'accettazione di un intervento militare ha significato sole se ci poniamo la domanda del "che fare?" nella stagione del dopoguerra che si auspica vicino. Le scommesse enunciate sono l'unico appiglio che le ragioni della politica possono offrire per trovare giustificazioni all'uso della forza ed all'impiego di risorse enormi a fini di distruzione e di morte. Noi non concepiamo l'intervento di polizia internazionale in funzione del mero ristabilimento dello status quo, ma per l'affermazione del principio che le violazioni del diritto internazionale devono trovare una sanzione della comunità mondiale e non solo in alcuni stati.
3. A fronte di questo va segnalata, almeno come prospettiva, la natura diversa di questo intervento militare: l'intervento militare dei 28 Paesi per l'attuazione coattiva dei deliberati Onu, ancorché gonfio di drammatici_ risvolti per la conseguente perdita di vite umane e per le contraddizioni politiche che hanno caratterizzato l'azione internazionale passata di alcuni suoi protagonisti, ha aperto un processo che deve essere interpretato nei suoi profili positivi.
Caduta la contrapposizione Est-Ovest, va sottolineato che solo le Nazioni Unite possono svolgere un ruolo di costruzione di un nuovo ordine internazionale fondato sul rispetto del diritto e dei principi fondamentali di convivenza, che allontani la cupa prospettiva di una contrapposizione tra il Nord ed il Sud del pianeta. Se oggi siamo stati costretti a delegare l'esecuzione coattiva di una decisione politica ad eserciti nazionali, questo deve essere il primo passo per la strutturazione di un governo mondiale che sia in grado di prevenire e controllare l'uso della forza nelle relazioni internazionali. Noi riteniamo che le mutate condizioni internazionali consentano oggi di ritenere cogente una sorta di diritto internazionale non più esclusivamente pattizio ma costitutivo. A questo fine, la Comunità Europea, è oggi unica organizzazione internazionale continentale che si sia avviata sulla strada della integrazione politica sovranazionale, deve sollecitare con forza, prima della fine delle ostilità, una discussione all'interno dell'Onu su questo problema. Dobbiamo infatti lamentare éhe non in questo particolare momento la Comunità . Europea non ha manifestato una iniziativa politico- diplomatica all'altezza del ruolo che essa dovrà giocare nei prossimi anni. Sono sembrati prevalenti le posizioni di subordinazione o di egoismo nazionale che non si giustificano in un periodo che dovrà vedere protagonisti le Organizzazioni Internazionali e Continentali più che i singoli stati. In questa logica, anche l'Italia dovrà continuare a tessere i suoi rapporti con le diverse espressioni del mondo arabo, garantendo una posizione trasparente e coerente con la nostra vocazione di paese che lavora per la mediazione politica della controversia.
4. Il Movimento giovanile sollecita il Governo italiano a lanciare comunque, nonostante l'attacco ingiustificato ad Israele e la minaccia dell'uso di armi chimiche contro lo stesso stato, una proposta di data, luogo ed agenda di una Conferenza Internazionale per il Medio Oriente che prescinda dall'evoluzione del conflitto in corso. Questa iniziativa ci sembra l'unica possibile per riaffermare con convinzione la natura di intervento di polizia internazionale di queste ore e per togliere dalle mani dell'integralismo islamico la giusta causa nazionale palestinese. Un intervento del genere si farebbe carico di una questione esplosiva e vincolerebbe Israele e i Paesi Arabi al rispetto dei deliberç1.ti internazionali.
5. Il Mg rinnova il suo impegno per una attuazione rigida della normativa che regola il commercio delle armi. Mai come in questi giorni si è avuta la riprova provata che tale commercio costituisce una pericolosissima politica estera parallela, capace di inficiare i risultati della diplomazia con una logica che segue la bussola del profitto.
6. Nell'esprimere solidarietà umana e politica ai giovani italiani impegnati nell'operazione militare, vogliamo riaffermare la convinzione che i prossimi anni non ci regaleranno periodi felici se non si individueranno le istituzioni preposte al pieno rispetto dell'ordine internazionale; istituzioni capaci di poter intervenire per il rispetto integrale delle proprie decisioni. Sappiamo che si tratta di una problematica scommessa sul futuro, ma siamo convinti che non c'è alternativa istituzionale perseguibile diversa dalla piena valorizzazione delle Nazioni Unite.
La Direzione Nazionale Mgdc







