Guerra del Golfo
Alcune riflessioni alla vigilia della scadenza dell'ultimatum dell'Onu a Saddam Hussein
Vi è un indubbio fatto di novità nell'unanimità raggiunta al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, ma va ricordato quali sono le condizioni politiche che hanno permesso il risultato: la Cina troppo impegnata a farsi per.donare il massacro di Piazza Tienanmen ed anzi, come segnala Amnesty lnternational, sulla via di eseguire in queste settimane qualche altro centinaio di condanne a morte di studenti coinvolti nella protesta; l'Unione Sovietica, a sua volta condizionata dal bisogno di crediti occidentali e troppo impegnata nelle secche della riforma economica, politica e nella diaspora etnica. Sempre sulla questione dei principi, va ricordato come analogo impegno non si è registrato in passato sulla questione CambogiaNietnam o sul Centro America e come, nel presente, sempre per motivazioni squisitamente politiche, l'Occidente stesso sia stato sempre cauto e tiepido quando si trattava di far rispettare a Gorbaciov l'autodeterminazione delle Repubbliche Baltiche annesse dai protocolli segreti fra Hitler e Stalin. Ma la contraddizione più evidente della politica estera resta l'appoggio fornito per oltre dieci anni da tutto l'Occidente a Saddam Hussein nella sua guerra contro l'Iran di Khomeini quando, pur essendo Hussein l'aggressore, si pensava che Khomeini fosse l'ostacolo numero uno da eliminare.
Dalla prospettiva opposta, va segnalata la tergiversazione eccessiva dell'Europa e dell'Italia che, accettata la prospettiva politica dell'intervento coattivo dell'Onu non sono state poi sufficientemente coerenti nell'assumersi le responsabilità militari che tale decisione comportava, affidando al guardiano americano l'onere della esecuzione del mandato Onu. Analogamente va riaffermata la piena e totale responsabilità di Saddam Hussein nell'aggressione, e la titolarità irachena nel massacro di Kuwait City con la violazione sistematica dei diritti umani.
Pur nella consapevolezza della modestia di tutti i mezzi di mobilitazione spontanea e popolare (veglie, appelli, lettere, manifestazioni), la strada della sensibilizzazione intelligente contro una prospettiva di risoluzione militare della controversia va comunque stimolata, se non altro per rompere – come ha affermato il Cardinale Martini – la sindrome da inevitabilità della guerra che sta in realtà galvanizzando politici e giornali, tutti tesi a disegnare scenari di guerra, bilanci delle vittime e cartine in una sorta di surreale Risiko.
Pare perseguibile la strada di legare il ritiro dell'Iraq dal Kuwait ad una Conferenza di pace sull'intero Medio Oriente e sulla questione palestinese. La prospettiva più preoccupante pare comunque, al di là dell'esito immediato della guerra, l'apertura di un fronte di conflitto militare tra Nord e Sud del pianeta, premessa di un'epoca postYalta che, risolta la questione europea, apre scenari tutt'altro che tranquillizzanti sul futuro ordine mondiale.
Documento dei giovani dc sugli eventi del Golfo
Due sono gli spettri che aleggiano nell'area delle giustificazioni addotte da chi promuove o non riconosce l'opportunità di un intervento, due grandi parole sovente utilizzate in modo improprio nelle ultime settimane: il diritto e la pace. Per chi conosca, anche in modo superficile, i lineamenti del diritto internazionale, è assodata sia la natura "in divenire" del diritto relativo alla limitazione dell'uso della forza, sia la natura eminentemente "politica" di questo diritto. Analogo si corre quando si invoca, come condizione preliminare per ogni possibile discussione, il ritorno della pace. Non è in discussione qui la buona fede del pacifismo, né la sofferenza che ogni cattolico impegnato in politica prova in questi giorni. Né occorre attardarsi sullo strumentale sostegno dato da ogni patte della sinistra parlamentare ed extraparlamentare alle parole del Papa. Ciò che ci sembra corretto e ferocemente autocritico è invece interrogarsi sul perché del silenzio pacifista anche di noi cattolici durante le infinite altre guerre in America Centrale, nel Timor, in India, in Iran. Insospettisce il pacifismo tardivo che non presenta alternative politiche se non il rifiuto non negoziabile della guerra ed un appello convinto quanto astratto alla pace. Così come ci insospettisce la posizione di chi, in modo intollerante, nega dignità politica ad altre soluzioni della vicenda, che non siano le proprie, immaginando che su vicende così complesse, si possa dire una parola definitiva. Cercando di proporre una soluzione alternativa, su questa prospettiva, vorremmo fissare alcuni punti.
1. Una sottolineatura di alcuni fattori già assodati: la responsabilità irachena dell'aggressione del Kuwait, le atrocità commesse nei primi mesi dell'invasione delle truppe irachene; il livello, la varietà degli sforzi diplomatici compiuti prima del 15 gennaio che non hanno precedenti in nessun conflitto del passato dopoguerra; la divisione del mondo arabo che non sembra riconoscere in Saddam Hussein il leader della nazione araba; le difficoltà della diplomazia occidentale tradizionale nei confronti di un islamismo che vede nella jihad islamica la coronazione più alta del proprio scontro con il Nord del mondo; la volontà irachena – ricorrente nel tempo, fin dagli anni '60 – di impossessarsi di uno Stato mai riconosciuto politicamente fin dalle origini.
2. L'accettazione di un intervento militare ha significato solo se ci poniamo la domanda del "che fare" nella stagione di un dopoguerra che si auspica vicino. Noi non concepiamo l'intervento di polizia internazionale in funzione del mero ristabilimento dello status quo, ma per l'affermazione del principio che la violazione del diritto internazionale devono trovare una sanzione della comunità mondiale e non solo di alcuni Stati.
Caduta la contrapposizione Est-Ovest, va sottolineato che solo le Nazioni Unite possono svolgere un ruolo di costruzione di un nuovo ordine internazionale fondato sul rispetto del diritto e dei principi fondamentali di convivenza, che allontani la cupa prospettiva di una contrapposizione tra il Nord ed il Sud del pianeta. Questo deve essere il primo passo per la strutturazione di un governo mondiale che sia in grado di prevenire e di controllare l'uso della forza nelle relazioni internaziuonali. A questo fine, la Comunità Europea è oggi l'unica organizzazione internazionale continentale che si sia avviata sulla strada della integrazione politica sovranazionale, deve sollecitare con forza, prima della fine delle ostilità, una discussione all'interno dell'Onu.
3. Il Movimento giovanile sollecita il governo italiano a lanciare comunque, nonostante l'attacco ingiustificato ad Israele e la minaccia dell'uso delle armi chimiche contro lo stesso paese, una proposta di data, luogo ed agenda di una Conferenza internazionale per il Medio Oriente che prescinda dall'evoluzione del conflitto in corso.
4. Il Mg rinnova il suo impegno per una attuazione rigida della normativa che regola il commercio delle armi.
5. Nell'esprimere solidarietà umana e politica ai giovani italiani impegnati nell'operazione militare, vogliamo riaffermare la convinzione che i prossimi anni non ci regaleranno periodi felici se non si individueranno le istituzioni preposte al pieno rispetto dell'ordine internazionale; siamo convinti che non c'è alternativa istituzionale perseguibile diversa dalla piena valorizzazione delle Nazioni Unite.
Situazione attuale nel Golfo Persico
La fine delle ostilità tra l'Iraq di Saddam Hussein e la forza di intervento multinazionale dell'Onu è stata preceduta da una lettera del ministro degli Esteri iracheno, Tareq Aziz, datata 27/2/1991, che conteneva l'impegno dell'Iraq ad applicare tutte le 12 risoluzioni emanate dall'Onu dall'inizio dell'invasione del Kuwait.
In seguito a questa accettazione, il Presidente del Consiglio di Sicurezza ha comunicato all'Iraq l'entrata in vigore del cessate il fuoco (11/4/1991). La regolamentazione del dopo conflitto è contenuta nella risoluzione del Consiglio 687 del 1991 che verte principalmente su quattro punti:
- Ristabilimento delle frontiere e modalità di pagamento dei danni di guerra
- Monitoraggio e neutralizzazione delle armi di distruzione di massa
- Progressiva revoca delle misure di embargo adottate durante iI conflitto
- Protezione dei profughi di guerra e delle popolazioni curde e sciite
1. Ristabilimento delle frontiere e modalità di pagamento dei danni di guerra
La risoluzione 687/1991 individua in un accordo tra Iraq e Kuwait siglato nel 1963 (anche se mai ratificato dall'Iraq) il parametro per la demarcazione della frontiera tra i due Stati. A tal scopo è stata nominata una commissione che recentemente ha concluso i propri lavori, nonostante le proteste dell'Iraq per la svantaggiosa ripartizione della zona marittima del confine (Khor Abdullah). E' stata inoltre istituita una zona smilitarizzata lungo il confine e un corpo di osservatori Onu (UNIKOM) per accertare eventuali violazioni.
Nella Sezione E della stessa risoluzione è poi prevista l'istituzione di una Commissione con il compito di esaminare le richieste di rimborso per i danni di guerra sofferti dagli Stati e dalle singole persone fisiche. Il fondo per il rimborso è costituito dai proventi della vendita del petrolio iracheno (per un massimo del 30% sul totale delle esportazioni secondo la risoluzione 705/1991 ), e la sua attivazione va di pari passo con la progressiva revoca delle misure di embargo.
2. Monitoraggio e neutralizzazione delle armi di distruzione di massa
Fra le misure previste dalla risoluzione 687/1991, la parte relativa al monitoraggio e alla distruzione delle armi di distruzione di massa è stata quella che ha incontrato le maggiori resistenze del Governo iracheno e più ha fatto temere per una seconda "Tempesta nel deserto". Ma andiamo a vedere meglio che cosa prevede la risoluzione.
Nella categoria delle armi di distruzione di massa rientrano i missili balistici di gittata superiore ai 150 km, le armi chimiche e biologiche e tutto il materiale fruibile per la produzione di armi nucleari. Per vericare l'applicazione del disposto Onu, il Consiglio ha previsto che una Commissione effettui un monitoraggio degli armamenti esistenti e periodicamente compia delle ispezioni per verificare il rispetto delle clausole della risoluzione.
La tensione internazionale è salita alle stelle quando gli ispettori Onu hanno scoperto programmi per l'arricchimento dell'uranio, per l'estrazione del plutonio e per lo sviluppo di armi nucleari e per questo motivo sono stati trattenuti dal Governo iracheno·(Settembre 1991). Gli ostaggi sono stati però rilasciati in seguito ad una dichiarazione dai toni poco diplomatici del Presidente Bush con cui si minacciava un intervento militare.
Nonostante un'altra risoluzione – la 707/1991 – imponga all'Iraq di sospendere tutte le attività nucleari, è purtroppo reale il pericolo che il Governo iracheno violi gli obblighi assunti.
3. Progressiva revoca delle misure di embargo adottate durante il conflitto
In seguito ad una missione di ricognizione sulla situazione della popolazione civile irachena nel luglio del 1991, il Consiglio di Sicurezza ha autorizzato con la risoluzione 706/1991 l'acquisto di petrolio e prodotti petroliferi dall'Iraq per sei mesi, per finanziare con il controvalore (1,6 miliardi di dollari) gli aiuti destinati alla popolazione irachena.
Al contempo, per finanziare anche il pagamento dei danni di guerra il Consiglio ha approvato lo sblocco delle vendite del petrolio iracheno mantenendole però sotto lo stretto controllo dello stesso Consiglio di Sicurezza.
Il complesso meccanismo di controllo messo in atto è stato fortemente criticato oltre che per la sua rigidità, anche per il fatto di aggirare completamente le competenze finanziarie dell'Assemblea generale dell'Onu.
4. Protezione dei profughi di guerra e delle popolazioni curde e sciite
Dopo le repressioni dei mesi di marzo e aprile del 1991 contro la guerriglia curda e sciita e i massacri delle popolazioni civili, il Consiglio di Sicurezza ha emanato la risoluzione 688/1991 che, oltre a condannare la repressione, invita tutti gli Stati e le organizzazioni umanitarie a inviare aiuti a favore delle popolazioni colpite.
L'intervento umanitario è però coinciso con un'occupazione militare dell'Iraq del Nord e con l'esercizio da parte delle truppe della coalizione di funzioni amministrative e di polizia.
L'Iraq ha protestato duramente per la presunta violazione della propria integrità territoriale e della "giurisdizione domestica".
Il problema è stato risolto con l'arrivo delle Guardie disarmate delle Nazioni Unite e il conseguente ritiro delle truppe nazionali. Compito delle Guardie è di vigilare sul rispetto dei diritti dei profughi e delle popolazioni curde e sciite che già nel passato sono state fatte oggetto di «pogrom» da parte delle truppe di Saddam.

















