Costruire la pace: da sempre un impegno dei giovani ed una scelta irrinunciabile
La guerra è nata con l'uomo. Spiegano gli antropologi che probabilmente è stata generata, figlia perversa, dalla caccia.
«Duemilauno, odissea nello spazio» fa coincidere la nascita della guerra con un salto di qualità del genere umano. La scimmia diventa uomo nel momento in cui brandisce per la prima volta un'arma e, dopo aver ucciso il primo tapiro, uccide il primo simile.
L'uomo, scriveva una volta Friedrich Nietzsche, è un cavo teso tra la scimmia ed il Superuomo. Secondo Stanley Kubrik il momento dello stacco è anche quello della brutalità. Insieme alla guerra è anche nato, ugualmente pressante, il desiderio della pace. Dopo la lancia è stato inventato lo scudo, ed insieme a questo è sorto il desiderio di non averne mai bisogno. Tutti d'accordo su questo principio sacrosanto, ma con vari distinguo. Il pacifismo, scriveva una volta il segretario personale di Lloyd George, che la guerra l'aveva vista e da vicino tra il 1914 ed il 1918, di per sé non basta. Serve solo ed unicamente quando è in funzione di un disegno politico ed una proposta ben definita. Preso da solo è solo un'arma a doppio taglio.
«Better red than dead», «meglio rossi che morti»: uno slogan che ha sedotto, forse anche grazie al carisma di chi lo aveva coniato, almeno un paio di generazioni di giovani, dal terzomondismo sessantottesco (deluso poi dalle vicissitudini politiche dei paesi in via di sviluppo all'indomani dell'indipendenza) alla battaglia contro gli euromissili. Una battaglia, si potrebbe dire, sostanzialmente persa, che però ha visto per le strade della Germania Federale molte più persone di quante non ne abbiano visto le proteste in occasione dei 25 anni del Muro di Berlino. La gioventù europea, sembrerebbe, si getta alle spalle il passato che la lega alla pesante eredità del secondo conflitto mondiale, sembra accettarla come un dato di fatto ormai incontrovertibile, per dedicarsi a quelle battaglie che per i loro detrattori servono solo a garantire nella migliore delle ipotesi uno status quo di certo poco dignitoso per il Vecchio Continente.
Nata con l'uomo, la pace è desiderata con maggiore forza dalle nuove generazioni. Perché, come afferma Norberto Bobbio, «l'unica alternativa alla coesistenza pacifica è la catastrofe». Tutti d'accordo. Forse Raymond Aron azzardava un tantino quando, nel 1947, coniava la formula «pace impossibile, guerra improbabile». Ma forse è anche vero, come affermava Lord Lothian, che senza un Terzo, una entità sovrastale, la pace difficilmente potrà mai regnare tra gli uomini. Lothian già negli anni '30 di questo secolo, propugnava un (non chiarissimo) federalismo internazionale. Del resto la soluzione federativa si era dimostrata, a suo avviso, capace di funzionare per dirimere le contese tra le 4 colonie britanniche che ora compongono il Sudafrica. Ma proprio questo precedente la dice lunga su quello che è in realtà il problema di fondo: non c'è pace senza giustizia sociale, senza il rispetto dei diritti dell'uomo quali furono enunciati dalla carta delle Nazioni Unite del 1948. Primo quello
alla vita, poi quelli di parola, di libertà di pensiero di pari dignità di fronte alla legge. Il mondo di pace che i giovani vogliono costruire deve essere basato imprescindibilmente su questi principi. Se di questi si dimenticheranno, ricadranno ineluttabilmente negli errori delle generazioni passate.

















































