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Nuova Politica - La pace necessaria
Nel numero di «PER L'AZIONE» dell'aprile '64, i giovani dc pubblicarono un articolo di Padre Balducci, che era accusato di apologia del delitto di diserzione e di disobbedienza militare, per una intervista al «Giornale del Mattino».

Fino ad oggi l'opera di pace della Chiesa, la sua esaltazione della mitezza fra gli uomini e fra i popoli, portavano con sé non so quale apparenza di ingenuità. La guerra non era forse una necessità razionalmente constatata? Quando il contrasto degli interessi non poteva trovare adeguata mediazione negli interventi diplomatici, che altro restava se non affidarsi all'argomento della forza? A tacitare la coscienza dei buoni c'era l'argomento della «guerra giusta», cioè della guerra come deprecato ma irrinunciabile mezzo di difesa dei propri diritti, lesi dalla prepotenza altrui.

Capitava, per lo più, che ciascuno dei contendenti si ritenesse dalla parte della giustizia e che al singolo cittadino sfuggissero le ragioni vere che avevano portato alla decisione della guerra. Se un papa parlava di «inutile strage» lo faceva sicuramente per imprudente ingenuità: dicesse lui, se ne era capace. con quali mezzi la giustizia poteva esser fatta contro un nemico che non voleva intender ragione. Questa pratica necessità divenne, per la filosofia che dominò l'Europa per un secolo, necessità razionale: la guerra parve il salutare espediente di una ragione superiore e universale, che, attraverso le antitesi sanguinose, preparava le sintesi pacifiche. I predicatori della pace parvero anime pusille, incapaci di riconoscere e di far propria la virile razionalità di questo mondo.

Ma ormai la civiltà è arrivata ad un punto in cui l'anima irrazionale e demoniaca della guerra si è pienamente manifestata: ormai una guerra mondiale non è pensabile come via ad una superiore sintesi, ma solo come mezzo di distruzione universale. La dottrina della «guerra giusta» ammessa dalla tradizione cristiana, sembra a molti aver perdutoogni possibilità di applicazione pratica per la sproporzione evidente (sempre nel caso di una guerra totale) fra i mezzi e il fine, voglio dire fra le armi da usare e lagiustizia da ristabilire. La pace è una necessità pratica. È su questo dato di fatto che la nozione evangelica della pace trova non dico la sua verità, che mai è venuta meno, a dispetto dell'umana stoltezza, ma l'evidenza delle sue verità. Infatti una pace che fosse soltanto una tregua d'armi custodita dalla paura sarebbe soltanto formale, sarebbe, si una tranquillità, ma non una tranquillità ordinata. Il disordine resterebbe, per quanto impedito nelle sue terribili esplosioni. e farebbe discendere i suoi frutti di sangue non sulle frontiere delle guerre di ieri ma dentro il fitto tessuto che lega l'uomo all'uomo, il popolo al popolo. Ebbene: supponendo per sempre scongiurata la guerra delle armi, altro non resta all'umanità checercare di rendere libera la pace necessaria, di far discendere nelle intime fibre delle libere coscienze unarmistizio imposto dalla paura. Non è cosa da poco quella che tento di esprimere: è una rivoluzione imposta dalla storia stessa (ministro di Dio!) alle mentalità tradizionali. Nel passato anche chi no voleva la guerra però la teneva presente come «extrema ratio», come soluzione di ricambio alle soluzioni suggerite dal buon senso. ogni paese che si rispetti ha ancora un ministro della guerra (o della difesa, che è lo stesso) è cioè un uomo incaricato di predisporre una deèisione, considerata possibile ad ogni istante, se non probabile. Il ministro della guerra incarnava finora la massima del grande Cosimo: la politica non si fa coi paternostri. Ebbene, oggi è sicuro che la politica non si fa con la guerra. Ammettere questo principio vuol dire sottoporre a totale revisione il concetto di politica, liberarlo cioè dalla nozione machiavellica della forza e subordinarlo, volenti o no, al finalismo morale. Ecco il fatto nuovo: l'ideale della potenza che fu, a ben pensare, l'ideale delle nazioni moderne, è scaduto per cedere il passo a ideali meno fisici e più umani. I predicatori facevano sorridere gli uomini politici, che ponevano altrove la propria fiducia. Ebbene: i profeti inermi valgono più, anche politicamente, dei militari armati, perché l'orizzonte, che di necessità l'azione politica deve proporsi, è un orizzonte di pace. O la pace o la distruzione. Quel che diceva Pio XII: «con la guerra tuttoè perduto», è ormai letteralmente vero. In un orizzonte di pace, la Chiesa assume un ruolo di guida appunto perché essa non è una potenza. Quando essa era un vaso di argilla tra vasi di ferro, era possibile non prenderla sul serio: ma ormai tutti i vasi sono di argilla, l'interna fragilità del genere umano appare sotto il bagliore delle esplosioni atomiche. Questa fragilità cosciente restituisce i popoli alla loro condizione creaturale, li purifica dal fascino delle grandezze spirituali. Nella nuova prospettiva, quale magistero la storia può offrire agli uomini? Se, nell'età della forza, Hegel vide il popolo eletto nel popolo più armato, nell'età della pace quale sarà il popolo eletto? Chi non raccoglie con Cristo disperde: chi non riconosce nello spirito del vangelo l'unica via alla pace, nel fondo del suo cuore custodisce ancora gli idoli della guerra. La pace è l'ordine, è la ferma articolazione dei valori secondo il loro rapporto con l'assoluto, è il mantenimento delle strutture al servizio della persona umana, è la libertà dello spirito che trova nel mondo la sua carne mutevole e fuori dei margini del mondo il suo orizzonte immutabile. Quando diciamo che Cristo è re, ad altro non alludiamo che a questa relazione necessaria dei valori tutti col valore sommo.

Quando una bomba lacera la carne umana è l'ora delle tenebrè: Cristo ha il volto insanguinato sotto la sua corona di spine. Quando il piccone scava il metallo, quando la mano regge il timone, quando il dito modella la creta, quando una madre abbraccia il figlio, Cristo regna sotto la sua corona di luce. La Chiesa non cerca dominazioni temporali (forse leerano necessarie ai tempi dei vasi di ferro), cerca questa dominazione che corre lungo l'asse dei valori pacifici e accarezza le cose lasciandole al loro giusto posto e appena accendendole di una certa fiamma che viene da Dio. Gli uomini che non accettano il primato della legge morale ormai sanno ciò che li attende: da una parte, l'impossibilità della guerra, dall'altra l'impossibilità di una vera pace: stretti fra queste due pareti di ombra, ogni loro scelta non potrà essere eroica, perché agli eroi mancherà la guerra, non potrà essere pienamente umana, perché l'uomo non aperto a Dio è lacerato in se stesso. La stagione che viene è, più che ogni altra del passato, offerta ai cristiani perché le beatitudini che un tempo facevano luce soltanto a chi si ritirava nelle catacombe della propria fede, ormai fanno luce anche sulla terra. Prima i pacifici erano beati in quanto si astenevano dalle opere della terra, troppo soggette alla legge della forza. Ma domani, diventata assurda la legge della forza, o i pacifici domineranno la terra o la terra sarà un astro senza vita. La necessità è diventata strumento di Dio.

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