Problemi della secolarizzazione
La secolarizzazione come contesto socio culturale in cui la realtà si complessifica; le modalità e gli strumenti per dipanare democraticamente questa complessità; le «regole del gioco» e il sostrato etico per una riforma del sistema. Sono questi i temi che Gianfranco Pasquino ha affrontato nella sua relazione, «Secolarizzazione e sistema politico», tenuta al Congresso della FUCI del gennaio scorso, e oggi pubblicata nel n. 3/85 de «Il Mulino» (a proposito: sono usciti, su «Ricerca» di luglio, gli atti completi di questo Congresso).
Il politologo bolognese, per arrivare ad abbozzare alcune risposte, si "serve" preliminarmente di due maestri, per porre due ordini di premesse. La prima è il rapporto che lega la secolarizzazione alla dialettica burocratizzazione-democratizzazione: a questo proposito, ha ragione Max Weber a vedere queste due dinamiche omogenee (sono due portati tipici della società moderna) ma conflittuali (nel senso che la burocrazia cerca di esautorare dai processi decisionali la democrazia, e questa resiste operando un controllo sull'azione della prima). Ancor più ha ragione il sociologo tedesco quando abbozza una possibile. risposta riguardo al problema dell'equilibrio complessivo istituzioni-burocrazia-partiti-società civile: <
Ma questa lucidissima sequenza di poteri che si confrontano l'un altro "a cascata", oggi non è più sufficiente: la secolarizzazione è portatrice di tanti nuovi problemi, ma tra i più importanti vj è di certo l'esigenza di coniugare la richiesta di maggiore autonomia che sale da gruppi organizzati e soggetti sociali con la necessità di un (non maggiore ma) diverso controllo su di essi da parte delle istituzioni, Questo vale per i poteri occulti della società, ma anche per quelli che si annidano in certi apparati istituzionali: un binomio autonomia-responsabilità. per cui chi decide possa farlo con 1rasparenza, e con trasparenza possa essere chiamato a risponderne.
La seconda questione riguarda i compiti e i limiti della democrazia. In questo soccorre Noberto Bobbio. secondo il quale «per regime democratico s'intende primariamente un insieme di regole di procedura per la formazione di decisioni collettive, in cui è prevista la partecipazione più ampia possibile per gli interessati» (N. Bobbio. «Il futuro della democrazia», Torino 1984. p. x). Questa concezione della democrazia è un punto rispetto al quale non si possono fare passi indietro. Ma quali sono i «passi in avanti» che si possono e si debbono fare? Sono tanti e difficoltosi. e Pasquino affronta il problema (in modo forse un po' astratto, e non precisato a sufficienza sul piano dell'individuazione dei valori etici) dal punto di vista delle regole istituzionali. Posto che vi sono nella società «preferenze» (cioè: bisogni-interessi-valori-aspirazioni) individuali e «preferenze» collettive (cioè di gruppi organizzati, ma anche di enti strutturati), e posto che l'armonizzazione delle prime con le seconde (vale a dire una convivenza dinamica) è uno dei fini delle istituzioni, le nuove regole istituzionali dovrebbero anzitutto, «favorire... un migliore e più rapido raccordo fra l'espressione delle preferenze collettive. la loro rappresentanza e la traduzione in decisioni concrete».
È però necessario, per arrivare a una rifondazione democratica delle istituzioni, un nuovo coinvolgimento dei cittadini in uno stile partecipativo, un qualificato e insostituibile impegno personale, una base etica il più largamente possibile condivisa. Oggi, potremmo dire con Max Weber; il potere non si inventa: quello «tradizionale» non serve più. quello «carismatico» resta un caso eccezionale, e dunque non resta che provare a costruire qualcosa a partire dallo "zoccolo duro" (cioè le r gole democratiche del potere «legale razionale»), con i mattoni dell'elica e le aspirazioni ad una «società giusta» (Hirsch).
































