Dal «pluralismo polarizzato», alla conflittualità dei partiti
Competitività, polarizzazione deologica, iperconflittualità interpartitica, sono argomenti molto «di moda» nell'attuale dibattito politico: negli attuali sistemi politici, si sperimenta quotidianamente la litigiosità nei e tra i partiti, la stasi che vede spesso come unica soluzione la negoziazione spartitoria di basso profilo, la difficoltà di identificare con chiarezza le sostanziali diversità programmatiche o ideologiche dei vari partiti, la creazione di artificiosi veicoli di attrito per inseguire certi segmenti di elettorato.
Tutto questo ha una sua dimensione contingente, ma tutto questo richiede anche un approccio il più possibile rigoroso e scientifico, riferendo questo insieme di nodi problematici a uno strumento interpretativo unitario. A questo proposito, una delle teorie più famose è quella del «padre» recente della scienza politica italiana, Giovanni Sartori: il «pluralismo polarizzato» (per altre due celebri interpretazioni dei sistemi politici, con riferimento al caso italiano, si veda Giorgio Galli, Il bipartitismo imperfetto, Mondadori e Paolo Farneti, Il sistema dei partiti in Italia 1946-79, Il Mulino). Una ricerca sulle «conseguenze» di questa teoria sartoriana ai fini della competitività interpartitica è condotta in un recente intervento di G, Bingham Powell (Le conseguenze del pluralismo polarizzato per la competizione, in «Rivista Italiana di Scienza Politica», quadriennale, n. 2/86), nel quale l'autore avanza alcune proposte per tradurre in segmenti di misurabilità certe variabili dell'analisi di Sartori. Questo tipo di lavoro è ancora ai suoi inizi, nonostante la teoria in questione abbia ormai compiuto un ventennio (G. Sartori, European Politica Parties: The Case of Polarized Pluralism, in J. La Palombara- M. Weiner, Politica! Parties and Political Development, Princeton Univ. Press. 1966, pp. 137-176; ID. Parties and Party Systems: A. Frameworkfor Analisys, Cambridge Univ. Press 1976; si veda anche il recente Teoria dei partiti e caso italiano, Sugarco 1982, dello stesso Sartori). Il saggio di Powell presenta dunque qualche spunto di novità; in questa sede però mi sembra più opportuno richiamare i cenni fondamentali della teoria sartoriana e riportare alcune delle conclusioni di Powell. Le principali «caratteristiche distintive e proprietà sistemiche» di un sistema di pluralismo polarizzato sono:
- presenza di partiti antisistema;
- esistenza di opposizione bilaterali, collocate cioè su versanti diversi o spesso antitetici (ad' es. un'estrema destra e un'estrema sinistra);
- occupazione del «centro metrico» del sistema;
- polarizzazione, definita in termini di distanza ideologica tra i partiti lungo la variabile «sinistra-destra»;
- tendenza a spinte centrifughe, ossia a frequenti fughe di voti dal centro alle estreme;
- configurazione ideologica, promossa dai partiti attraverso la canalizzazione dell'opinione verso la competizione polarizzata;
- «opposizione non responsabili» (forze politiche permanentemente escluse dal governo che quindi non hanno incentivi a condurre una valida e «responsabile opposizione») e «governi non responsabili» (partiti «obbligati» a governare sempre, che quindi a volte non governano dando effettive e valide risposte alle istanze dei cittadini);
- politica di «scavalcamento», consistente nella tendenza dei partiti a cercare il consenso promettendo sempre di più.
Questo scenario di «polarizzazione» non va confuso con la semplice «frammentazione» di un sistema, che ha a che fare con il numero e le divisioni dei partiti (che infatti possono ugualmente essere molto aggregati attorno a pochi «poli»). E naturalmente la teoria del «pluralismo polarizzato» si riferisce a sistemi multipartitici: nei sistemi bipartitici (come sono U.S.A., G.B.R., Austria) quasi tutto lo spettro delle posizioni politiche e/o ideologiche presenti in una società vengono sintetizzate attorno ai poli di due grandi partiti. Ma anche tra i sistemi pluripartitici (a parte è il caso dei sistemi a partito predominante come Svezia e Norvegia) vi sono differenze non secondarie: possiamo avere una situazione di «pluralismo polarizzato», come nel caso di Italia, Finlandia e per certi versi la Danimarca, o di «pluralismo moderato» (cioè non polarizzato) come registriamo in Irlanda, Svizzera, Germania, Belgio, Olanda, la Francia della Quinta repubblica e per molti aspetti la Danimarca. Come si vede queste sono categorie astratte (e ormai per alcuni aspetti datate) ma suscettibili, credo, di fornire un inquadramento concettuale utile a mediazioni contingenti come quelle, proprie anche dell'attualità politica italiana, cui si faceva cenno all'inizio.































