La febbre della frammentazione
Anche in termini politici, l'Italia anni 90 è un'Italia a due facce: snobba i referendum (quello del 9 giugno è l'eccezione che conferma la regola), detesta i partiti (anche se gli iscritti aumentano), non ha più voglia di votare.
I dati su quest'ultimo fattore sono, a dir poco, inquietanti: nelle drammatiche elezioni del 1948, gli astenuti furono circa 2.200.000; nel 1987, hanno raggiunto la cifra record di 5.011.209, l'11% dell'elettorato. Se a questo dato si aggiungono i 788.296 voti nulli o bianchi (1,9%) e i voti dispersi in Liste Civiche e Partiti non fungibili per alleanze ragionevolmente pensabili, si arriva alla percentuale record del 26%: 1 italiano su 4 non crede ai partiti di governo, né a quelli dell'opposizione tradizionale.
Dati simili, anzi peggiori, riferiti alla partecipazione alle elezioni scolastiche ed universitarie (sia studenti che genitori) confermano la tesi.
A fianco di questo andamento, negli ultimi anni, si è sviluppato il fenomeno della frammentazione: ovunque nascono movimenti e partitini in contrapposizione alla politica tradizionale.
In questa nuova galassia, però, va rilevata la presenza di due spinte, di due motivazioni totalmente diverse: quella che anima la rinascita del mondo cattolico, quella sollecitata da spinte particolaristiche o localistiche.
Nel primo caso, siamo di fronte a gruppi locali che interpretano il loro esser periferici come luogo vitale di coltivazione di una politica eticamente rinnovata, non come riferimento finale delle proprie scelte. Nelle esperienze di "Città per l'uomo", "Insieme per la città", "Cattolici democratici", si respira l'ambizione di rinnovare la politica, partendo dall'impegno locale, ma avendo come obiettivo una sintesi nuova di valori che sia esempio per tutto il Paese.
Nel secondo caso, invece (Leghe e simili), il percorso è inverso: mascherati dietro proclami di rivoluzione globale, i leghisti fanno coincidere la dimensione locale con il ruolo finale della politica. Gli psicologi spiegano che si tratta di una reazione istintiva di chi constata l'avanzare di una mondialità inarrestabile e preferisce aggrapparsi al giardino di casa sua per sentirsi ancora padrone di qualcosa; certo, se si va con la memoria agli anni della scelta europeista di De Gasperi, ci si rende conto che, dietro a questi atteggiamenti, vi è una miopia politica incapace di andare oltre al proprio naso. Sembra, anzi, quasi incredibile che cittadini normali possano mettersi in politica per dar voce ad istanze come la pesca, la semplificazione del modello 740, la sopravvivenza delle osterie friulane, il prolungamento degli orari delle discoteche, i diritti degli automobilisti (ben 3 partiti), la liberazione fiscale, i diritti delle casalinghe. Ma questa è una delle cifre di lettura di una crisi della politica che, raggiunte le dimensioni dette, deve far prendere atto ai partiti della propria inadeguatezza a rappresentare e guidare una società profondamente mutata. E non sempre in meglio.















