Crisi dei partiti e delle istituzioni
È ancora possibile rinnovare la politica? Vi sono ancora gli spazi e le opportunità per incidere in modo significativo, al di là delle stanchezze, delle chiusure, delle rigidità che caratterizzano il nostro sistema politico? Per rispondere a questa domanda è necessario anzitutto capire quali sono le cause di una crisi sempre più acuta che spinge la gente comune a rifiutare non solo i partiti, ma anche la politica tout court come forma di impegno civile. La crisi della politica si evidenzia oggi soprattutto nella perdita del ruolo di centralità che tradizionalmente le veniva attribuito. Fagocitata dai grandi processi economici e di innovazione tecnologica, condizionata e modellata dall'invadenza dei mezzi di informazione, priva, con la contestuale crisi delle ideologie, di adeguate giustificazioni di ordine teorico e ideale, la politica si trova a non poter più esercitare quella funzione di mediazione e di sintesi degli interessi in cui si articola la società e di indirizzo della vita civile, che probabilmente più di ogni altro ne legittimava il valore. La crisi della politica coincide così con l'indebolimento di una democrazia messa a repentaglio dall'emergere incontrastato di interessi forti, lobbies e gruppi di pressione, di fronte ai quali l'atteggiamento tipico del politico consiste nella polemica frontale e nell'accordo in anticamera per riceverne sottobanco il consenso.
Assistiamo di conseguenza ad un intreccio sempre più fitto di rapporti tra affari e politica. Tutti i partiti indistintamente subiscono una trasformazione genetica: da strumenti di raccordo fra società e istituzioni, come prescrive la Costituzione, ad agenzie di raccomandazioni in cui la regola di fondo è lo scambio di un favore per il controllo di una tessera o di un voto. Si è innescato così un meccanismo perverso, un circolo vizioso che ha registrato l'abdicazione della politica e dei partiti ai loro compiti istituzionali e lo scivolamento agli ultimi posti della professione del politico nella considerazione della gente. Scrive, a questo proposito, Padre Bartolomeo Sorge: "la politica è come la linfa vitale della pianta, garantisce la vita della democrazia, ne assicura il regolare nutrimento e la crescita. Ma se la linfa viene meno, l'albero secca e inaridisce: allora i partiti si trasformano in mere centrali di potere e in federazioni rissose di correnti e di clientele".
È esattamente quello che è accaduto in Italia negli ultimi anni e che spiega il successo di leghe, liste civiche, movimenti particolari e l'aumento vertiginoso dell'assenteismo elettorale.
Il venir meno, da parte dei partiti, della loro capacità rappresentativa e di sintesi della complessità sociale e il contestuale straripamento dal ruolo ad essi assegnato dalla Costituzione impongono dei correttivi. Dal nostro punto di vista tali correttivi devono colpire i fenomeni degenerativi della partitocrazia e della lottizzazione senza giungere con ciò all'abolizione dei partiti e alla loro sostituzione con alternative semplicistiche, quali l'accentuazione dei fenomeni di personalizzazione del potere o la crescita del peso dei gruppi economici.
In una corretta dialettica democratica i partiti possono svolgere il loro compito, che è poi quello previsto dalla Costituzione, di essere a servizio dei cittadini nella determinazione della politica nazionale.




























