Capire il passato per costruire il futuro
Dopo il Congresso nazionale della DC, e numerosi incontri organizzati dopo quell'assise, da più parti si sostiene la necessità di non disperdere il patrimonio politico e culturale non solo di parti ben distinte della Democrazia Cristiana, ma di buona parte dello stesso movimento cattolico democratico. Si tratta, in sostanza, di comprendere sino in fondo il significato politico di questo dibattito, recuperando veramente quella funzione anticipatrice che da tempo sbandieriamo e sulla quale è difficile adempiere il proprio ruolo con compiutezza ed originalità.
Non possiamo intuire il futuro senza aver capito il passato, in politica si potrebbe formulare diversamente: la coscienza della memoria storica è il lasciapassare per proiettare le nostre intuizioni politiche. Non si può discutere sulla sinistra DC oggi senza «coscientizzare» quello che è stata nel passato e nel passato recente.
La sinistra democristiana infatti, nelle diverse articolazioni «sociale» e «politica» ha costruito per lungo tempo un punto di riferimento decisivo ed importante nella nostra storia, dagli anni del centrismo degasperiano agli anni della solidarietà nazionale. Molti l'hanno definita la coscienza critica del partito ed il punto di raccordo più significativo e qualificato con aree elettorali strategiche, cioè con realtà sociali interessate dalla competizione con i partiti storici della sinistra e con le componenti della società, specialmente giovanili, più attente ai processi di mutamento degli equilibri tradizionali e di cambiamento del costume sociale. I meriti storici, non storicizzati, della sinistra DC non sono difficili da individuare: basta voltar le spalle all'indietro e rendersi conto dell'apporto qualitativo e prospettico che l'intera Democrazia Cristiana ne ha acquisito.
La posizione assunta dalla sinistra si è sempre ispirata alla esigenza di far maturare e crescere la coscienza democratica del paese. Il superamento degli «storici steccati» tra laici e cattolici e «l'allargamento dell'area democratica» riflettono la stessa logica che sostiene la «strategia dell'attenzione» che ha caratterizzato la posizione di Moro dopo il '67-'68 e, soprattutto, dopo l'XI Congresso nazionale del partito. E persino superfluo ricordare come lo stesso De Gasperi, nel momento della «successione», dopo la sconfitta della «legge maggioritaria» nel 1953, e poi Moro e lo stesso Fanfani, trovarono nel dialogo con le sinistre del partito il modo per fare progredire un disegno di crescita democratica del paese e per adeguare le alleanze politiche alle esigenze reali della società italiana.
Ma l'elemento che da sempre caratterizza il ruolo della sinistra dc è la forte «coscienza di partito». Non è questa una concezione politica fuorviante o, peggio ancora, di matrice totalizzante. È la consapevolezza c;ulturale di ricoprire uno spazio definito e circoscritto ma indispensabile e necessario, nella storia politica del nostro paese. In effetti, per la sua collocazione strategica – di frontiera, per usare un linguaggio di sinistra – la sinistra DC si è trovata spesso a dover affrontare dure polemiche proprio con socialisti e comunisti. La cultura che l'ha ispirata ha portato comunque questa fetta, importante ancorché non esclusiva, della DC, ad avere una coscienza più marcata ed una specifica attenzione al ruolo storico dei cattolici democratici, con un raccordo culturale e sempre mutevole con il popolarismo sturziano e l'antifascismo resistenziale.
Esistono però oggi delle condizioni culturali e politiche nuove, inedite. Non è possibile tuffarsi nel futuro essendo «romanticamente» legati al passato, poichè la ripresa non passa attraverso la meccanica riproposizione di esperienze del passato. La stessa ripresa del dialogo tra sinistra sociale e sinistra politica non avrebbe senso se fosse pensata guardando nostalgicamente al passato.
Oggi, credo, il superamento delle concezioni ideologiche totalizzanti e delle stesse forme organiche di società, ci induce ad una maggior attenzione dei nostri comportamenti. Certo, l'emergere del primato dei comportamenti non esclude uno sforzo di progettualità che rimane necessario come espressione della razionalità umana nella vita individuale come in quella collettiva. Non si può agire senza un progetto di azione che investa in qualche misura il futuro: l'eredità culturale e morale della seconda generazione, sotto questo profilo, non va dispersa, ma è tutta da accogliere e valorizzare. Nulla dell'esperienza del passato è da buttare via: la memoria del passato, quando le identità culturali e politiche sono affidate meno di una volta ad idee definite e molto di più ad atteggiamenti e comportamenti quotidiani, è anzi più che mai necessaria; purché si tratti naturalmente di una memoria capace di attualizzare continuamente i valori del passato in forze nuove ed aggiornate a nuovi bisogni.
Ma il problema di oggi è capire dunque che cosa significa «essere di sinistra» all'interno della Democrazia Cristiana. Sinistra, oggi, significa scelta degli alleati, scelte delle forze reali sociali, di società civile, di universi emergenti da ascoltare, capacità di indignazione morale, capacità di speranza, di immaginare un futuro diverso e nuove solidarietà, di non chiudere la propria porzione di verità nel caldo delle proprie cittadelle, di mediare utopia e contenimento del male, di cogliere il bagliore di nuova umanità che nasce anche dalle contraddizioni a noi più lontane. Ma è anche «sinistra» uno stile di vita. Non credo quindi che la polarità destra-sinistra sia esaurita. Lo è certamente nel senso del logoramento ideologico; non lo è invece nella prospettiva post-ideologica. E tra i doveri dell'essere di sinistra, pur non soggiacendo al conformismo el falso progressismo, c'è oggi forse il dovere di immaginare il nuovo possibile apparentemente impossibile nella rassegnazione. Senza infantilismi romantici ma anche senza pregiudiziale rassegnazione. Senza infantilismi romantici ma anche senza pregiudiziale rassegnazione. Questo è un dovere.per non chiuderci al difficile dialogo con i movimenti emergenti e soprattutto per coltivare quel piccolo filo rosso di una cultura cattolico-democratica oggi minoritaria.
Ma il problema che maggiormente angustia il futuro della sinistra DC è il mutamento di fondo del contesto nel quale è costretto ad operare. Mutamento politico, culturale, etico, e soprattutto economico – la rivoluzione tecnologica. Da più parti, all'interno della sinistra DC, si sottolinea come soprattutto in questo momento, il paese avrebbe bisogno di una DC in grado di guidare, con rinnovata sensibilità, i processi di trasformazione sociale ed economica in atto nella nostra società.
I difficili nodi posti al nostro sistema economico dai processi di riconversione del nostro apparato industriale suggeriscono risposte estreme e quindi sbagliate nelta loro concezione politica: l'una proveniente dalla destra economica tesa ad una restaurazione del potere economico, nel nome dell'efficienza e del mercato, a spese del potere politico democratico e delle fasce sociali più deboli; l'altra proveniente dalla cultura storica del PCI, tesa a conservare l'esistente col risultato di estendere e consolidare la mano dello Stato sulla nostra economia. Si tratta, in sostanza, per superare queste vie risolutive opposte ed ugualmente pericolose per il futuro democratico del nostro paese, di praticare una politica in grado di salvaguardare la competitività e l'efficienza del nostro apparato industriale assorbendo, sotto il profilo democratico, le spinte tese alla riaffermazione dei «diritti dei più forti». Occorre cioè riscoprire, non nelle teorizzazioni astratte, ma nel politico quotidiano, una autentica «cultura della solidarietà», alternativa tanto alle soluzioni di tipo monetaristico, quanto a quella, ancor più pericolosa, di «solidarietà corporativa» tra gli interessi della grande industria pubblica e privata e certe realtà politiche e sindacali della sinistra storica.
Non è quindi col vittimismo che rinasce la sinistra DC. Non è con il complesso di inferiorità e con l'aureola del passato che saremo in grado di riscoprire un patrimonio politico-culturale sempre più sfilacciato. In politica, del resto, si crea consenso quando le proposte sono divulgate, conosciute ed apprezzate. Solo così una componente, un'area, o quel che si voglia, ha la coscienza di esistere. Il resto è «cultura del piagnone».
La difficoltà maggiore, a mio modo di vedere, collegata alla necessità di saper cogliere le istanze di cambiamento per canalizzarle politicamente, è quella di porre la questione della classe dirigente al primo posto del proces o di elaborazione di tesi politiche. E vero, in sostanza, che se la DC, l'intera DC, non vuole appiattirsi su un modello «neutrale» di partito laico, deve ristabilire un rapporto con il mondo cattolico e recuperare la radice morale della politica ed una propria originalità nella ispirazione cristiana. Occorre cioè riscoprire il significato pieno della politica, non come somma algebrica di interessi ma riscoperta del tanto equivocato «bene comune».
Accanto a questo vi è la necessità, soprattutto per la sinistra dc, di non dimenticare un atteggiamento interiore che è essenziale. Anche sul terreno della politica la sola politica non basta. Le biografie dei grandi uomini che hanno dato espressione storica alla presenza dei cattolici nella vita politica italiana mettono bene in evidenza una dimensione di spiritualità e di vita interiore al di fuori della quale la loro opera risulta indecifrabile: il rilievo vale, anche se in forme varie, per Sturzo come per De Gasperi, per Dossetti e La Pira come per Vanoni o Moro. Questo «di più» rispetto alla politica, che è spiritualità e vita interiore, cultura e senso di umanità, impoverendosi o isolandosi ha impoverito anche la politica. A questo «di più», in parte e non alla sola dimensione politica, è affidato il futuro della presenza dei cattolici nella vita pubblica italiana.





















































