Un partito troppo al maschile?
Cara Luisella,
e mi perdonerà Roberto se mi rivolgo a te e non a lui, ma la questione di cui vorrei trattare in questa mia richiede un interlocutore al femminile, e soprattutto, approfitto per rivolgermi (finalmente) ad una dirigente del giovanile della Dc: partito in cui sono iscritta da cinque anni; per usare un termine «à la page» sono una militante.
Veniamo al punto. Donne e politica: endiadi usata ed abusata. Vorrei affrontarla da un particolare aspetto, il «maschilismo» in politica. Non credere che sia una postuma femminista. Affatto. Sono ben lontana da questa figura. Volevo solo sottolineare un'indole, un'attitudine inevitabilmente presente ed avvertibile a chi si avvicina, portando la gonna, alla politica. Potrei prenderla larga: raccontare di come la nostra progenitrice, Eva, sia nata da una costola di Adamo; ma, a parte il fatto che la storia biblica è già stata scritta, riuscirei oltremodo tediosa. No, voglio soffermarmi a tempi molto più recenti.
Come me, e come altre sei impegnata nel movimento giovanile, ma anche nelle strutture di partito. E credo che anche a te sarà successo di trovarti intorno ad un tavolo, a fianco di colleghi democristiani, in procinto d'affrontare una discussione e sentirti dire: «Finalmente una presenza femminile!» allo stesso modo con cui si sente: «Finalmente si sono ricordati di mettere il portacenere» oppure «Era ora che qualcuno si ricordasse anche dell'acqua». L'autore della frase è senza colpa, è in buona fede: convinto d'aver fatto un complimento non s'accorge che è in realtà una frase scoraggiante e rivelatrice di quell'indole a cui alludevo sopra: la regola è che ancora la politica è considerata un affare prevalentemente da uomini, l'eccezione è che vi sia qualche presenza femminile. Si ha spesso la sensazione che le donne, per lo più giovani, siano guardate con tollerante benevolenza. «Brava signorina! Un buon intervento». Ma fra me e me penso se il signore che si complimenta l'ha poi ascoltato e capito... Com'è invece più soddisfacente ascoltare risposte ed accettare critiche alle proprie posizioni dibattendo su un piano di parità e non di sopportazione. Questa è considerazione sincera, e talvolta manca: si ha l'impressione di essere considerate un elemento scenografico prima e persone che pensano, agiscono, parlano poi.
Sono d'accordo che non c'è niente di regalato ed anche la stima degli altri è una conquista: lo spazio che si vuole dev'essere costruito con le nostre forze, senza lagne. Tuttavia, dopo un lustro d'impegno nel partito, in sezione, nel quartiere e nel giovanile mi trovo a dover ammettere che il pregiudizio c'è e rimane.
Eppure penso ad alcune nostre parlamentari che lavorano con strenua attività: mi vengono in mente stupendi personaggi femminili, protagoniste del travaglio verso la democrazia del loro paese: basti per tutte l'esempio di Cory Aquino. E chissà quante sconosciute operano ogni giorno, senza chiedere parità di diritti o di possibilità ma vivendo, in egual misura al sesso forte, con entusiasmo e tenacia, lavorando con impegno e lealtà.
Giunta alla fine di questo, chiamiamolo, sfogo vorrei fare un duplice invito. Alle giovani democristiane perché se è vero che ogni cambiamento al di fuori di noi, nasce prima dentro noi, è necessario che siamo le prime ad indurre rispetto e considerazione.
E poi ai giovani democristiani perché si pongano, nell'intervallo di questioni politiche ben più importanti, questo banale interrogativo: «Ma il giovanile Dc non è un pochino maschilista?». Chissà che non trovino la risposta facendosi un esame di coscienza...
N.B. Preferisco firmarmi con uno pseudonimo. Spero comunque che vi sia la possibilità di trovare uno spazio per questa mia sulla rivista.
Corvina












































