Appunti post-congressuali
Avere un obiettivo a prima vista utopico come quello di voler progettare e costruire un nuovo modello di stato sociale ci impone di rivedere totalmente il modo di intendere un partito politico». Attorno a tale consapevolezza si articolava il contributo che il Movimento Giovanile ha portato al XVII Congresso Nazionale della DC. Se l'obiettivo sia stato raggiunto o meno dal Congresso Nazionale è a poche ore dalla sua conclusione prematuro stabilirlo. Sono possibili alcuni commenti seppur non sufficientemente meditati e confortati da passaggi determinanti per un giudizio, quali l'elezione della Direzione Nazionale e la nomina dei responsabili dei dipartimenti.
Il Congresso su cui intendo esprimermi per un giudizio è il Congresso che ho vissuto, e non il Congresso raccontato, a volte storpiato dai mass-media. Nel «villaggio globale» si corrono d'altra parte questi rischi. C'è sempre un filtro, una lettura particolare, una emozione diversa, che i mass media frappongono nel diffondere i messaggi e le notizie. Sempre più spesso man mano che tutto si «spettacolarizza» e il successo o il risuccesso del «p;.odotto» viene affidato all'immagine più che alla sostanza, è anche, se non soprattutto, con i messaggi trasmessi alla più vasta platea dei lettori dei giornali o dei videodipendenti che bisogna fare i conti per verificare se il lancio sia riuscito e se sia stato accolto nel senso in origine voluto.
Tutto ciò complica notevolmente la vicenda politica perché impone ai partiti, almeno a quelli come la DC che hanno una storia determinata, un radicamento sociale, una funzione di governo, di lanciare messaggi comprensibili e portatori di fatti verificabili.
Il primo dato da rilevare è questo: si è probabilmente dato sui mass media, e prima ancora al nostro interno, eccessivo spazio e risalto alla riconferma sì, riconferma no, riconferma ampia, riconferma limitata, del Segretario Nazionale quasi che il Congresso Nazionale della DC si dovesse ridurre solo a ciò. È certo evidente e molto importante in un grande partito come la DC, che ha scelto con l'Assemblea Nazionale del 1980 il sistema dell'elezione diretta del Segretario Nazionale per ridurre i frazionismi interni esasperati, e rendere governabile il partito, il consenso raccolto dal Segretario. Ma era e rimane importante stabilire intorno a quale programma, per quale partito, per quale società, quel consenso è stato espresso.
Non è stato allora un atto di formale presenzialismo il documento congressuale del MG, come non lo sono state le mozioni (su pace, questione morale, riforma del servizio di leva, lotta allo spaccio della droga e recupero del tossicodipendente, l'occupazione giovanile, difesa ambientale e lotta al rischio atomico, riforma organizzativa del partito) su cui chiedevamo al Congresso di esprimersi e votare. Esso è stato invece lo sforzo sincero perché il Congresso Nazionale dopo una fase precongressuale priva di reale dibattito, si confrontasse sulle cose vere, sui problemi della gente, per ripensare il ruolo dei partiti nel quarantennale della fondazione della Repubblica. Nel periodo di preparazione al Congresso si era detto che non era in gioco la leadership di De Mita, non la formula di governo, non la strategia del partito, non il s40 sistema di alleanze. Per noi il Congresso e la sua preparazione dovevano dunque costituire l'occasione per ritornare a sentire il gusto di progettare l'iniziativa politica dentro il partito, per lanciare messaggi precisi e comprensibili al Paese e per rendere possibile anche una ridefinizione su basi nuove, politcamente motivate nelle aree culturali e politiche presenti nella DC e risalenti a connotazioni da tempo caratterizzanti il movimento dei cattolici ma ora ridotte a pura divisione nominalistica, giustificate unicamente dalla difesa di singole posizioni di potere.
Così non è stato certo durante la preparazione congressuale anche se nei cinque giorni di dibattito al Palaeur, nella relazione iniziale di De Mita, molti temi sono stati toccati con impostazioni interessanti e saldamente ancorate al patrimonio storico della DC (dall'ispirazione cristiana alla scelta laica per la politica, al richiamo al valore della vita, alla politica estera).
L'errore, una volta ancora, è stato probabilmente quello di ridurre poi il dibattito, tranne alcuni interessanti contributi (tra gli «esterni» da segnalare quello del prof. Rubia sul nucleare) unicamente al problema del tipo di sostegno (liscio, gasato o...annacquato) concesso o negato al candidato Segretario, e sulla modalità di formazione della maggioranza interna. Come in altre occasioni, negli interventi e nelle conclusioni del Congresso stesso molti problemi sono stati toccati – quanti slogan abbiamo sentito! – ma non si è certo indicata verso quale tipo di società si vuole andare da parte della DC o almeno, in alternativa, l'indicazione delle priorità che il partito intende stabilire nelle azioni da compiere. L'unica priorità indicata in più interventi è sembrata essere solo quella di recuperare in fretta Palazzo Chigi e la «centralità» nello schieramento politico italiano. Quasi che la «centralità» e una nuova e qualificata presenza DC a Palazzo Chigi possano rimanere slegate da una rinnovata capacità di saper scegliere qui ed ora tra differenti opzioni in modo da far capire alla gente su quali temi siamo disposti a batterci, su che cosa si sotanzia la nostra ispirazione cristiana. Qualcuno potrebbe obiettare che indicazioni su molti temi e su molte priorità sono contenute nella relazione che il Segretario Nazionale ha svolto e che essendo quelle la sua piattaforma politica, con la eiezione di De Mita a Segretario essa diventa di fatto la piattaforma politica del partito.
Il problema del progetto e delle priorità può anche essere risolto così. Rimane tuttavia il dato che, né la base del partito, né il dibattito in Congresso hanno saputo esprimere e misurarsi attorno a quello che abbiamo definito nel documento MG «l'utopia di voler progettare e costruire un nuovo modello di stato sociale» capace di rispondere alle ansie e alle attese, grandi e piccole, della gente specialmente dei più deboli, specialmente di chi continua a venir emarginato in questa società. Vista l'ennesima esperienza converrebbe allora pensare per i prossimi congressi, abbandonando le riforme del regolamento congressuale che sono servite unicamente a personalizzare la competizione interna senza eliminare l'influsso delle correnti e indebolendo il confronto sui contenuti, ad una preparazione congressuale svolta attraverso la discussione e il voto – fin dalle sezioni – su tesi. In questa maniera si renderebbe comprensibile anche all'esterno che i nostri congressi non servono solo a rinnovare la classe dirigente. In secondo luogo tesi discusse e approvate dalla base impegnerebbero davvero il partito centrale, i gruppi parlamentari, i nostri amministratori locali.
Il XVII Congresso Nazionale ha invece prodotto qualcosa di più sulla strada per costruire il partito nuovo. Lo sforzo di De Mita per rompere vecchie logicbe e sicurezz date dai gruppi ha avuto per ora un parziale ma significativo successo. Declamare come ha fatto il Segretario, da ogni componente una disponibilità a cedere proprie quote di rappresentanza per inserire nel Consiglio Nazionale uomini non dotati di un personale pacchetto di voti ma capaci, pretendere che le stesse rappresentanze dei gruppi fossero filtrate dai preventivi accordi su base regionale, sono innovazioni che possono davvero in futuro, se perseguite senza partigianerie e tentennamenti, produrre radicali mutamenti nella classe dirigente e per il ricompattamento su posizioni maggiormente unitarie del partito. Da decenni la selezione della classe dirigente avviene secondo due nefasti criteri:
- ad ogni gruppo in base al proprio peso interno una quota parte della rappresentanza interna ed esterna al partito;
- ogni gruppo sceglie la sua rappresentanza secondo il metodo della fedeltà al gruppo stesso.
Le conseguenze sono evidenti, molti dirigenti di partito, uomini di governo, parlamentari, amministratori ricoprono tali incarichi perché rispondono a quelle logiche prima che ai criteri di preparazione, capacità, moralità personale. La logica introdotta da De Mita, anche nella formazione delle liste elettorali, cambia per ora solo in percentuale ridotta, quei metodi.
In situazioni bloccate, come quella del partito di oggi, elementi dirompenti rispetto a vecchie logore solidarietà possono costituire l'occasione, il pretesto per avviare davvero un processo di modificazione e rinnovamento dell'intero modo di intendere il partito: non più mezzo invadente per assecondare i propri fini slegato dalla realtà del Paese, ma di nuovo occasione per esprimere ed organizzare la volontà della comunità in autentico spirito di servizio verso di essa.
Per diretta esperienza al Congresso Nazionale e per recenti vicende accadute nella mia città, devo scrivere che quel processo è purtroppo solo all'inizio e incoerenze e furberie di chi annuncia il nuovo garantendosi con sistemi vecchi sono già evidenti. Si tratta però di non arrendersi subito, di pretendere coerenza da coloro che in pubblico acclamano il nuovo, perché lo rispettino, si tratta soprattutto di far seguire, ognuno di noi, rischiando in proprio, alla condivisione di principi su cui è facile essere tutti d'accordo comportamenti coerenti. Potrà allora accadere, invertendo l'affermazione iniziale, che «imponendoci di rivedere il modo di intendere il partito potremo progettare e costruire un nuovo modello di Stato». Solo in quel caso il XVII Congresso Nazionale non sarà stato celebrato invano.














































