Tavola rotonda

Un Congresso... che viene da lontano

Nuova Politica - Un Congresso... che viene da lontano pagina 3
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L'incontro tra la redazione di Nuova Politica, i vertici del MG e i parlamentari dc, on. Pierferdinando Casini, on. Nino Cristofori, on. Clemente Mastella e il sen. Sandro Fontana.

L'idea era quella di cominciare da una valutazione sul rinnovamento del Partito, che sembra essere il tema centrale dei dibattiti interni, da Zaccagnini – segretario – in poi, e sul quale vengono date le interpretazioni più svariate, sullo stato di attuazione, su quello che è stato fatto, su meriti e limiti di chi gestisce il partito.

Quindi, la prima domanda dovrebbe essere: cosa intendete voi, per rinnovamento del partito; e soprattutto che giudizio date del processo di rinnovamento che c'è stato, se c'è stato, all'interno del partito.

Chi vuole cominciare?

CASINI

Questa domanda meriterebbe sicuramente una riflessione per conoscere il giudizio complessivo di tutti su alcuni anni della Segreteria De Mita.

lo non mi ritrovo per carattere negli integralismi né degli uni, né degli altri. Penso, cioè, che sarebbe sbagliato pensare che il rinnovamento del partito si sia realizzato solo, per qualche inserimento generazionale nell'ambito parlamentare (uno di questi è anche mio) o pensare viceversa, anche a risultati positivi prodotti da questa Segreteria. Per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, la valorizzazione di ciò che è stato fatto, io credo che un merito De Mita ce l'abbia realmente ed è quello di avere cercato di dare risposte in una ottica nuova, alle domande di novità e di innovazione maturate nella società italiana.

Penso ad alcuni problemi, come al rapporto tra pubblico e privato nella vita economica del Paese, e alle tematiche inerenti i servizi pubblici. C'è naturalmente, la necessità di coniugare esigenze diverse e di concretizzarle sotto il profilo dell'attuazione legislativa: ci sono stati dei limiti? Si sono scontati dei ritardi? Certamente, però, questo sforzo c'è stato. C'è stata una tensione reale, che noi abbiamo colto anche in alcune parti del programma preelettorale della Democrazia Cristiana per introdurre degli elementi di novità apprezzabili.

Uno dei temi più importanti è senza dubbio quello del rapporto tra DC e il mondo cattolico. lo sono d'accordo con chi teorizza all'interno della DC che non è possibile affrontare questi temi con confusione di ruoli o con ritorni al passato. Questo tema si affronta se si tiene presente che la nostra capacità di sintonizzarci con il mondo cattolico è direttamente proporzionale alla capacità di garantire i valori sotto il profilo della concreta tutela legislativa e non delegando il rinnovamento del Partito alla cooptazione di quadri dei vertici dei movimenti.

Il secondo aspetto riguarda proprio il rmnovamento sotto il profilo della gestione del partito.

Ecco, De Mita ha cercato di intervenire in alcune direzioni. Ad esempio, non vi è dubbio che il commissariamento dei grandi centri, o la esperienza delle primarie che, prima delle ultime elezioni amministrative furono attuate in alcune città italiane, coglievano l'esigenza di superare un partito sclerotizzato. Però, ad alcuni anni di distanza, dobbiamo constatare che il processo di rinnovamento ha rischiato di limitarsi alla decapitazione degli organi dirigenti periferici. In realtà bisogna fare un passo ulteriore. Bisogna stabilire delle regole nuove, in base alle quali procedere, dando una legittimazione periferica alla dirigenza di base, perché – in caso contrario – perderemmo una grossa occasione.

In questo senso emergono i limiti del rinnovamento del partito.

Faccio un altro esempio: la centralità degli organi dirigenti. Secondo me, restituire valore alla politica e al primato del partito non significa accettare la cooptazione di dirigenti dall'esterno ma, anzi tutto, riuscire a dare effettivamente una centralità agli organi dirigenti del partito, riportando in questa qualificata sede il dibattito politico. Purtroppo anche a livello periferico, nei comitati provinciali e regionali, scontiamo una difficoltà oggettiva a ragionare di politica negli organi dirigenti del partito. E questo rischia di impoverire il nostro dibattito interno. Emblematico è il rischio di trasferire surrettizziamente nelle sedi delle correnti il dibattito. Segno, anche questo, di una difficoltà delle aggregazioni regionali su cui si era determinato lo scorso Congresso Nazionale di costituire un segno permanente e duraturo di novità.

FABRIS

Io sono uno dei giovani che fortunatamente è arrivato ai vertici del partito. E, quindi, faccio un ragionamento da Movimento Giovanile, per quelle che posson? essere le ansie e le aspettative, ma denvato anche da alcune verifiche che ho fatto come segretario provinciale di partito. Almeno nella mia realtà. A me pare che in questi ultimi anni il rinnovamento non si sia proprio fatto. A me pare che il ragionamento sugli organismi dirigenti del partito che hanno perso capacità di indirizzo ed – a mio modo di vedere – anche il controllo sulle classi dirigenti (governo, amministrazione, ecc.) si sia fatto più marcato.

A me pare che la moda dei listoni, che ha imperato negli ultimi anni, invece che eliminare il fenomeno correntizio, abbia accentuato il fenomeno delle persone che fanno politica magari per difesa dei propri spazi più che per affermare alcune idee diverse del partito stesso.

Rimane l'impianto delle correnti nel partito, almeno in chi vuol fare un ragionamento serio sullo stato della Democrazia Cristiana.

A me pare, alla fin fine, che si sia fatta una grossa operazione che si è fermata all'immagine, ma che nella sostanza non ha cambiato molto. Anzi ha peggiorato lo stato del partito. Basta verificare l'incapacità a fare politica da parte della Democrazia Cristiana, in quanto partito, su questioni forti, che noi abbiamo posto al centro della nostra campagna elettorale.

È un ragionamento, se mi consentite, che faccio molto preoccupato, pensando al grande consenso che è arrivato alla DC su precise indicazioni di contenuto che noi abbiamo solo esposto in campagna elettorale ma che non trovano riscontro nell'iniziativa politica. È una mia idea, o pensate che attorno a queste tematiche ci sarebbe ancora molto da fare?

FONTANA

Io non ho mai capito bene che cosa voglia dire rinnovamento.

Rinnovamento come rinnovo degli organi? Che uno va al posto di un altro? Oppure il rinnovamento è inteso come modo di essere, diverso, nei metodi dell'attività politica ed anche del partito?

Ora, se si tratta della prima ipotesi: rinnovamento come rinnovo del consiglio di amministrazione, dei comitati provinciali, ecc., indubbiamente c'è stato questo rinnovamento. Se, invece, si intende un modo diverso di essere del partito io condivido in pieno quello che ha detto Casini.

Sono state espresse delle esigenze diffuse, ma non si sono tradotte in un costume nuovo, che è la cosa più importante, né in istituzioni di tipo diverso. Tenendo conto soprattutto del fatto che la sclerosi di cui parlava Casini è dovuta, secondo me, ad un corto circuito che si è stabilito dopo tanti decenni, tra il partito, lo Stato, da un lato, e la società, dall'altro.

Il partito che originariamente aveva una funzione di tramite, discreto, tra società e Stato, ha finito con l'identificarsi con fette precise di società e con fette precise di Stato. Il conseguente circuito ha fatto sì che il partito non ha più avuto quella capacità di sintesi, di indirizzo e di mediazione, in senso nobile, che ha avuto in altri momenti. Ora, rinnovamento per me voleva dire, soprattutto, sbloccare questa situazione di corto circuito.

Anche perché la società non accetta più di essere sostituita, in ogni sua manifestazione, da una monocrazia del partito, ed i cittadini non accettano più di vedere lo Stato, che dovrebbe essere la casa di tutti, come una succursale di questo o quel partito, per cui, prima di rivolgersi allo Stato, e cioè agli uffici statali, bisogna passare o da Via del Corso o da Piazza del Gesù.

Era, su questi due punti, secondo me, il fallimento del rinnovamento, perché l'occupazione dello Stato da parte del partito, del nostro partito, è passato da una dimensione artigianale, bonaria, dorotea, ad una dimensione scientifica e precisa. E l'occupazione anche nei confronti della società è avvenuta, attraverso la cooptazione nelle liste – perché questo solo è stato fatto - di esponenti ora del mondo cattolico ora del mondo sindacale, senza stabilire un rapporto corretto, dialettico, con queste realtà. Su questi punti - secondo me – c'è stato un peggioramento nella vita del partito.

CRISTOFORI

Io devo dire che ho invece inteso bene quello che diceva De Mita, quando l'abbiamo votato. lo l'ho fatto per il rinnovamento del partito. A me è sembrato che il messaggio, che allora era stato portato al partito, avesse una estrema validità. Avevo capito che questo rinnovamento tenendo conto delle trasformazioni avvenute nella società e del ruolo diverso, che si stava gradualmente dando il partito socialista italiano, nella prospettiva politica del Paese, consistesse nel dare della Democrazia Cristiana la sua immagine originale. Immagine fondata (e per me lo è ancora) sulla capacità di una politica ispirata alla solidarietà, che è l'elemento discriminante, rispetto a qualunque altro partito moderno, di tipo liberale, o socialista o socialdemocratico.

Un modello di società nella cultura, un modello di solidarietà nella cultura, di solidarietà nell'economia, di solidarietà nel sociale, di solidarietà nella politica internazionale.

Lo strumento che ha immaginato De Mita per realizzare questo obiettivo (quindi io non metto neanche in discussione nel congresso questa volontà, perché non ne ho il motivo) si è dimostrato uno strumento fallimentare. Lo dico io stesso che ho creduto in questo strumento.

Questo disegno è finito. È fallito. Perché, in effetti, non procedendo in una dialettica corretta fra posizioni vere, si sono espresse maggioranze di volta in volta, che non avevano niente a che vedere con gli obiettivi che si devono raggiungere.

Questo è quanto avvenuto e questo ha accentuato, nell'immagine di De Mita, più un aspetto di potere che non quello di una persona che doveva condurre le trasformazioni.

In più, immaginavo che per rinnovamento De Mita intendesse la realizzazione di canali nuovi perché la volontà politica – espressa nei diversi modi nella nostra società, che nasce dalla base, dagli ambienti, ecc. – potesse avere dei riscontri. E la Democrazia Cristiana diventasse un partito di iniziativa su questi problemi.

Le ultime vicende politiche mi hanno dimostrato invece l'incapacità di essere un partito di proposte. Allora, non immagino che siano venute meno nel Segretario le opinioni, le idee, che aveva sostenuto al congresso, ma immagino che si trovi in un'area tale per cui, in realtà, gli strumenti che aveva immaginato non funzionano, non sono in grado di funzionare.

Il discorso sarebbe lungo, anche perché credo che ognuno abbia una parte di responsabilità, forse anche negli ostacoli che può avere trovato il Segretario. Certo è che, a seguito di questa situazione, si corre anche un pericolo, e cioè: nel paese, negli elettori, l'immagine del Segretario non è più quella che era cinque anni fa. E, quindi, me ne preoccupo per la Democrazia Cristiana di questo fatto.

Se oggi voi andate in qualunque sezione della periferia non c'è più il clima della speranza. E questo credo che sia la preoccupazione di cui ci dobbiamo fare carico tutti.

Quindi, considero questo un momento estremamente difficile e sul quale occorre collaborare perché una qualche svolta occorre pur dare. Gli organi legittimi del partito mi sembra che non esistano. Il progetto di un consiglio nazionale fatto per sezioni, con responsabilità, per elaborare le linee politiche (non c'è da scoprire cose nuove) non è mai entrato in una fase concreta.

Ho quasi l'impressione che, tranne due o tre casi, la Direzione si riunisca, più che per deliberare, per ratificare. Il collegamento con partito e gruppi non ha trovato dei legami sufficienti. E tanto meno tra partito e nostre delegazioni al governo.

Nella esperienza Craxi ciò è avvenuto, e mi sembra anche molto chiaramente in questa esperienza di governo, presieduto dalla Democrazia Cristiana.

Non sono neppure tra coloro che immaginano che il congresso si debba fare subito e presto. Immagino, anzi, che i congressi dovrebbero farsi nel momento in cui siamo riusciti, nel dibattito politico, a fare maturare delle soluzioni e delle proposte.

E credo che dovremmo contribuire in questi mesi, in modo accentuato, a portare dei contributi e delle iniziative.

FRANCESCHINI

Mastella, abbiamo sentito dei giudizi abbastanza critici sullo stato di rinnovamento del partito. Ci interessa la tua opinione sulla parte di mancata attuazione e delle relative responsabilità. Come sono divise?

MASTELLA

Ma io, innanzi tutto, credo di non condividere questa impostazione del discorso di Cristofori. Questa specie di conversione, di addebito all'improvviso, dopo che per cinque anni si è lavorato in perfetta sintonia, da parte di tutti, ritenendo, al di là delle responsabilità, che evidentemente, quando si lavora, si lavora tutti insieme ad un progetto. E le varie scadenze che si sono determinate sono scadenze che hanno visto coinvolti tutti i protagonisti: una serie di uomini, di rappresentanti di porzioni, di territori, di ambienti, di fatti della Democrazia Cristiana.

Certo lo sviluppo di queste procedure è avvenuto in maniera difficile, con una serie di problemi. Non è che il rinnovamento, o tutto quello che attiene al rinnovamento abbia sviluppi lineari. Per la verità, credo che il primo dato del rinnovamento era quello di rinnovare la Democrazia Cristiana rispetto al paese, rispetto alla società. Che non era un problema solo riferito a ciò che avveniva nel perimetro della Democrazia Cristiana. Era il problema di attestare la Democrazia Cristiana, di dare l'immagine di una DC che fosse cambiata. Ora, se una serie di fatti è intervenuta, a fronte di frammentazioni, a fronte anche di una difficoltà dei grandi partiti popolari, vedi il partito comunista, e se la Democrazia Cristiana, pur essendo grande partito popolare ha retto, non ha subito l'usura, secondo me questo è stato determinato da questo grande metabolismo, che è intervenuto nel corpo, nella immagine della Democrazia Cristiana.

Non c'è stato più nel Paese una forma di rancore astioso rispetto a ciò che la DC in negativo rappresentava, ma c'è stata una forma di ripresa di coscienza e, a mano a mano, di sedimentazione di un diverso modo di essere, di apparire, di sembrare della Democrazia Cristiana. E questo non mi pare che sia cosa di poco conto.

Diversa è la discussione sui poteri, sulla collegialità o sul modo di intendere la collegialità. Ciò è stata una scelta di natura congressuale, che alcuni possono rimettere in discussione. Personalmente ritengo che vada ancora bene. E cioè, quella di definire al meglio i poteri, e soprattutto la collegialità sul piano dell'elaborazione sia una forma di richiesta di parcellizzazione in termini di potere. È una elaborazione di proposta che va portata avanti e quindi bisogna, tutti assieme, trovare gli elementi e gli organi dove attuare, non tanto la ratifica, ma – mano mano – i vari passaggi, in termini anche procedurali, di quello che è il criterio in cui vengono alla ribalta le idee, o di come si replica ai bisogni o all'emergenza, che ci sono costantemente, e che hanno a che fare col modo di essere del partito.

Ma questa è la carenza del segretario o la carenza del modo di essere del partito? Evidentemente si tratta di scegliere e quindi il prossimo congresso potrà scegliere, ed elaborare o rinvenire gli elementi e i modi più opportuni per arrivare a questa forma più organica. Perché, viceversa, a fronte di chi dice che non bisogna che ci sia più il Segretario eletto, io vorrei far presente un dato: che oggi parliamo molto di questa elezione diretta e noi siamo arrivati quasi ultimi, rispetto alle leaderships di partiti che erano accentuate da tempo. A parte la leadership storicamente accentuata, del partito comunista, la leadership del partito socialista italiano, ed all'epoca anche la leadership dell'on. Longo apparivano caratterizzanti di un partito quale che fosse. Perché questo tipo di società richiedeva a tutti i partiti leaderships abbastanza forti, accentuate, a prescindere da quello che il leader rappresentava. E, quindi, la Democrazia Cristiana è arrivata penultima rispetto a questo.

Chiunque ricordi i fatti, le procedure, che a differenza del passato, dove valevano tanti argomenti, tante dichiarazioni di tanti, si rende conto che per il Partito Repubblicano con Spadolini non esistevano gli altri, nel Partito socialdemocratico esisteva il leader socialdemocratico e non gli altri, nel Partito Socialista non esistevano nemmeno più le minoranze. Tutti i partiti, la configurazione dei partiti è venuta configurandosi così.

Si vuole cambiare? Ci sono delle proposte per cambiare? Si cambi. Ma, a mio parere, se si vuole cambiare così bisogna avere il coraggio di omogeneizzare quella che è un tipo di risposta. Per cui occorrerebbe fare un maggioritario all'interno della Democrazia Cristiana. Cioè, chiunque abbia affinità dal punto di vista delle idee, si metta assieme e confermi questa proposta e la gestisca.

Mancano gli organi collegiali nelle grandi città? Uno degli argomenti che viene più tipizzato è quello delle grandi città e dei coordinatori.

Per la verità, se noi dobbiamo guardare al risultato, a quello che c'era prima dell'intervento dei coordinatori, quando eravamo infartuati, in alcuni casi suicidi, per quanto riguardava il consenso alla Democrazia Cristiana nelle grandi città, credo che la ripresa elettorale, soprattutto nelle grandi città è avvenuta anche con il concorso di questi coordinatori.

Lo ripeto ci sono indugi, ci sono pause. Ma non vorrei che noi guardassimo all'antico ritenendo che il ritorno all'antico sia la modalità per attrezzarci rispetto al nuovo. Mi pare che sia la cosa più sciocca.

Spingere in questa direzione non significa fare gli interessi della Democrazia Cristiana. Spingere in questa direzione probabilmente significa fare gli interessi di alcuni all'interno della DC. Ma ad alcuni all'interno della DC non interessa la Democrazia Cristiana.

Quindi, chi ha proposte da fare, chi è in grado di secernere, di elaborare idee, le porti allo scoperto. Non mi pare che siano venute tante idee alternative, rispetto alle proposte o alle iniziative che sono state fatte, o portate avanti.

E comunque a parte le iniziative e le proposte, come non rendersi conto del recupero di credibilità della Democrazia Cristiana, di un autentico rinnovamento? Credo che se uno valutasse sul piano, anche aziendale, credo che laripresa di Palazzo Chigi, di quella del Quirinale, di una Democrazia Cristiana insediata robustamente nel paese, sono successi di non poco conto.

DI GIOVAN PAOLO

Io volevo chiedere una cosa che credo si colleghi anche a quanto è stato detto sinora: in genere il nostro partito nella sua storia e quindi anche in questi ultimi anni, è stato governato dal centro. In pratica questa continua rincorsa al centro nel paese esiste anche all'interno del nostro partito.

Anche nell'ultimo Consiglio Nazionale ci sono state infatti, alcune componenti interne che hanno detto di essere tornate al centro del partito.

Ora mi pare che, con l'eccezione di Moro, il quale per quel che ho letto cercava di rincorrere il partito e se possibile di portarlo tutto insieme su certe scelte, non mi pare che si profili per ora questo tipo di soluzione o che si profili un leader del genere, in fondo a tutto ciò c'è una richiesta di decisionalità, una richiesta di iniziativa. Però poi nella realtà di tutti i giorni un segretario nazionale si trova sempre aricontrattare comunque tutto, dovendo scegliere per forza una posizione di centro che però sembra quasi sempre una posizione di paralisi. In pratica ogni volta che c'è un'iniziativa, da qualunque parte venga, e questo credo valga anche per il futuro, un qualunque segretario pur eletto dal Congresso deve sempre abbandonare la sua indicazione originaria, da qualunque parte della DC venga, e deve perciò ricontrattare e quindi trovarsi nuovamente in una posizione di mediazione.

Allora, la domanda è: è possibile governare, cioè essere al centro politicamente del partito, ma non esserlo sul piano della mediazione, cioè scegliendo anche di avere un dibattito duro dal quale viene fuori che la scelta congressuale che è stata fatta non viene a cadere?

CASINI

Anzitutto, potrei rispondere scherzosamente a questa provocazione, dicendo che secondo me il segretario della DC è un po' come il Presidente degli Stati Uniti d'America, cioè può pensare quello che vuole, ma quando va su quella poltrona è vincolato a tener conto della complessità e delle particolarità del nostro partito.

Io però credo anzitutto che ci sia una premessa sbagliata in quello che dicevi, perché teorizzare che la DC è stata negli anni recenti governata dal centro è non tener presente la realtà.

Anzi, direi che negli ultimi anni la DC non è mai stata governata dal centro del Partito. Però, a prescindere da questo aspetto, io credo che il problema non sia di chi governa la DC, il problema è in che misura tutti noi sappiamo farci carico dei ritardi del nostro partito. Purtroppo, questo dibattito, credo non nelle intenzioni di nessuno di noi, rischia di tradursi in una prevista rincorsa dei pro o dei contro. Il problema è di prendere invece atto con realismo di un dato di cui Mastella parlava e di un altro che abbiamo rilevato noi inizialmente: il dato su cui io sono d'accordo con Mastella è che la DC che De Mita ha ereditato non era oggettivamente un partito sano e vitale.

Noi non possiamo lealmente ragionare della Democrazia Cristiana e del suo mancato rinnovamento come se De Mita avesse ereditato una Democrazia Cristiana all'attacco. De Mita ha ereditato una Democrazia Cristiana in forte crisi, in presenza di un progressivo deterioramento del sistema politico, che la vedeva tutto sommato forza ancora più nella difensiva di come siamo oggi. Certo, non basta aver preso, caro Mastella, il Quirinale e Palazzo Chigi, perché i fatti di questi giorni ci dimostrano come le bandiere non bastano, rischiano anzi a volte di essere elementi di difficoltà.

L'altro elemento, su cui spero convenga, Mastella, è che oggi c'è necessità di dare sostanza, è questo il vero punto del rinnovamento, ai contenuti della nostra politica.

Facciano l'esempio della riforma istituzionale, con quello che ne consegue in riferimento al dibattito di oggi.

Su questo tema siamo chiamati non solo alla presa d'atto dell'esistenza o alla espressione esigenziale che bisogna fare riforme istituzionali, ma alla indicazione precisa e rigorosa di risposte concrete, compatibilmente ai limiti che il quadro politico ci pone.

Questo, secondo me, è il nocciolo del rinnovamento ed è su questo che non De Mita o i presunti oppositori di De Mita, ma tutti noi siamo chiamati a misurarci. Su questo, credo, non possiamo dare un giudizio positivo ma e su questo credo sarebbe anche sciocco dividerci tra buoni e cattivi. lo sono convinto che il Congresso della Democrazia Cristiana abbia davanti questo problema, e questo è un problema non eludibile in una rincorsa sui nomi diversi.

LUSETTI

Rispetto a questa riflessione di Di Giovan Paolo, che forse non è stata ben compresa, voglio dire che un conto è parlare di centro e un conto è parlare di centralità, sia dentro il partito che nel paese. Questo dibattito c'è anche per quanto riguarda le forze politiche. Cioè, la centralità è capire chi è il perno del sistema politico nel nostro paese e anche dentro il partito vi deve essere una centralità, cioè qualcuno che fa da perno rispetto a tutto il resto.

Dopo di che distinguere oggi tra destra e sinistra o tra moderatismo e progressismo o tra moderazione e antimoderazione è sempre molto difficile, anche perché dipende dall'argomento che affrontiamo, dalle tesi.

Un conto è parlare dell'ora di religione e un conto è parlare di Golfo Persico, e anche lì possono emergere, poi posizioni diverse.

Allora, il ruolo di sintesi è necessariamente un ruolo di centralità, dopo di che la centralità fa da perno, la centralità entra anche in dialettica con le posizioni diverse espresse all'interno del partito.

E così anche sul rinnovamento, io credo che il rinnovamento in generale sia un processo che non si conclude mai, in ogni stagione della vita democratica, anche del paese; perché c'è sempre da rinnovare, in ogni società, in ogni momento.

Allora, bisogna vedere se il rinnovamento diventa un'utopia, un'illusione, oppure vi è qualche elemento di concretezza.

Io credo che la DC dopo il '46, dopo l'era De Gasperi abbia comunque vissuto un periodo di gestione della cosa pubblica, di governo, abbastanza statico, senza particolari problemi, anche se si sono fatte scelte importanti, perché il centro-sinistra è stato di certo una scelta importante nel nostro paese. La DC per anni non è mai stata messa in discussione sino al '75, ma da allora il grosso problema politico fu la perdita di centralità della DC nel paese e l'oggetto della contestazione un po' di tutti era la DC.

Ora, io credo che da allora siano cambiate un po' le cose: è diventato un po' difficile anche proseguire con un modello statico, usuale, di gestione del governo, per giungere poi a questi anni '80 in cui ogni giorno ce n'è una nuova, come la società che si evolve in modo estremamente dinamico e le scelte politiche da compiere si moltiplicano. lo credo che il rinnovamento sia un rinnovamento di uomini, ma anche di contenuti e di metodi; e prima con Zaccagnini e poi dopo con De Mita si è comunque cercato di dare continuità al rinnovamento e classificarlo e qualificarlo in termini di contenuti oltre che di rinnovamento di uomini.

Dopo di che tocca a tutto il partito, perché il rinnovamento non si ha soltanto al centro, ma si ha anche in periferia. Solo così si riconquista la centralità vera.

PISTELLI

lo volevo riagganciarmi in modo volutamente rozzo all'intervento che ha fatto precedentemente Casini, quando parlava della difficoltà del partito della Democrazia Cristiana di dare indicazioni politiche precise sulle tematiche del dibattito politico.

Dico volutamente rozzo perché io personalmente mi sono avvicinato alla politica in modo mediato, tramite la conoscenza di un'esperienza che è quella che ha vissuto intorno agli anni '50 la cosiddetta terza generazione democristiana e in cui il metodo che veniva proposto all'esterno era un metodo limpido, anche se semplice proprio in quanto limpido.

C'era una analisi che veniva fatta del processo storico nel quale l'Italia si veniva a trovare dopo il Risorgimento Italiano, della incompiutezza e unificazione di questo paese, c'era una strategia politica e programmatica che ora è impossibile richiamare per la brevità di questo intervento, che consisteva poi nella indicazione di risposte ai problemi dell'Italia di quegli anni. Il problema del decentramento istituzionale, la regionalizzazione, il problema del superamento delle disfunzioni del meridione d'Italia, la sinistra.

E diciamo che la terza generazione democristiana fu quella che nel dibattito politico italiano portò con forza le idee del keynesismo e della programmazione.

Vengo al punto. Cosa cerca, immagino, un giovane nell'avvicinarsi alla Democrazia Cristiana? Cerca evidentemente risposte su queste tematiche e – ripeto – sono volutamente rozzo e anche volutamente demagogico.

Abbiamo constatato tutti ormai da anni che l'evoluzione epocale degli ultimi decenni ha portato ad un livello di complessità dei problemi tale per cui le risoluzioni sono difficilmente raggiungibili e continuiamo a dire ogni anno, ogni mese, che è importante dare risposta a questi problemi e proporre una proposta politica come partito.

Voi esponenti politici, visto che poi questo dibattito sarà pubblicato nel prossimo numero della rivista e andrà anche in mano a giovani che sono al primo contatto con l'esperienza politica, da un punto di vista personale, di coscienza e poi anche dal punto di vista della organizzazione dei partiti, come vi ponete di fronte alla difficoltà di dare delle risposte politiche a problemi di natura epocale come quelli a cui stiamo assistendo in questi anni. Visto che le culture politiche che hanno fornito gli inputs nei decenni passati stanno diventando sempre più sterili, e se questo dunque dal punto di vista personale rappresenta per voi un problema, in che misura e se è un partito e quale struttura del partito che può in qualche modo aiutare nel dare una indicazione.

FONTANA

Rispondo a Pistelli rispondendo anche a Fabris. In sostanza, il problema che sta di fronte a noi è come riuscire ad assicurare al nostro partito una funzione non tanto di centro, ma – come è stato detto – centrale nel sistema politico italiano. Cioè, di iniziativa e anche di risposta ad una società molto più complessa di quella che ci siamo trovati di fronte nell'immediato dopoguerra.

Ora, cosa vuol dire avere un ruolo centrale? Questo ruolo centrale, secondo me, non ti è dato soltanto dal risultato elettorale.

Tu puoi essere il partito più grosso e non avere un ruolo politico centrale in un sistema basato sulla proporzionale, dove tutti i partiti, anche i più piccoli, hanno l'ambizione di rappresentare gli interessi generali. Ciò è tanto vero che quando De Gasperi divenne presidente del Consiglio, era veramente una cosa inedita per un cattolico, quando ancora non si sapeva quale sarebbe stato il risultato elettorale della Democrazia Cristiana.

Le ultime elezioni avevano dato al partito popolare nel '24 il 9%. Quindi, non è che fosse un grande peso elettorale alle spalle.

Eppure egli ha saputo svolgere un'azione centrale in un dato momento della vita del paese.

Da questa consapevolezza, secondo me, dovrebbe derivare la capacità che è sempre stata grande in De Gasperi e in Moro e che abbiamo perso ultimamente, di difendere gli interessi morali e materiali di questi ceti, di cui noi siamo cerniera e rappresentanza, cioè di ricavare dalla difesa di questi ceti un progetto generale nel quale tutto il paese sia costretto, anche chi non vota DC, a riconoscersi: allora possiamo esercitare un ruolo centrale nella vita di questo paese.

Ma dove e come lo esercitiamo? Questo è il punto. Sulle politiche che vengono via via maturando nella coscienza collettiva del paese. Ora, secondo me, è venuta meno ultimamente questa capacità. Sul piano della politica economico-sociale siamo subalterni – io ritengo - a impostazioni che sono estranee a questi interessi morali e materiali, perché sono il frutto di un'alleanza perversa, tra le grandi concentrazioni finanziarie e quelle che io chiamo «i feudatari della spesa», fra destra e sinistra.

Sul piano della politica istituzionale, io non so ancora quale sia la linea del mio partito, dove si tratta di trovare una conciliazione tra un'esigenza di stabilità, di governabilità e anche di ordine nelle istituzioni e la salvaguardia di un certo pluralismo, che rappresenta la caratteristica del nostro paese, e così su tutti i vari campi.

Un giorno siamo il partito classista e un giorno quello rigorista, un giorno siamo filo-atlantici e un giorno filo-mediterranei. Un giorno siamo su una posizione e un giorno sull'altra, non abbiamo più quella capacità di dare un indirizzo di sintesi in cui l'intero paese debba e possa riconoscersi e avvertire subito immediatamente, d'istinto: quella è la Democrazia Cristiana.

FRANCESCHINI

Uno degli obiettivi che la democrazia cristiana ha difeso con maggior forza e dire unanimemente prima delle elezioni, era la riconquista per il partito di Palazzo Chigi per ridare iniziativa politica attraverso questo strumento alla presenza e al ruolo della Democrazia Cristiana.

Ecco, su questo, lo chiedo a Cristofori, concretamente si è visto un certo cambiamento e quali sono gli strumenti per rafforzarlo eventualmente?

CRISTOFORI

Innanzitutto, rispetto all'intervento che ha fatto uno di noi, devo dire che, con la segreteria De Mita, avere ripreso la segreteria De Mita, avere ripreso la rappresentanza istituzionale del Capo dello Stato e la guida del governo del paese, non è un fatto marginale rispetto agli obiettivi e al ruolo della Democrazia Cristiana.

Se non che, mentre la conquista della Presidenza della Repubblica è avvenuta con una concertazione interna guidata dalla segreteria, con una impostazione di grande validità, come ha dimostrato il risultato, la ripresa della presidenza del Consiglio non è avvenuta negli stessi termini.

lo ero tra coloro che e l'ho anche detto in Consiglio Nazionale – pur rendendomi conto delle difficoltà, reali, rispetto alla ripresa di Palazzo Chigi, e cioè questo confuso comportamento del partito socialista e di qualche altro partito laico.

lo tuttavia ero tra i possibilisti, rispetto alle soluzioni, ed immaginavo che la Democrazia Cristiana con forza, e l'ho sostenuto nel direttivo, dovesse sostenere la candidatura del segretario De Mita alla guida1del governo del paese. Soprattutto dopo il risultato di una campagna elettorale che se non ci può certamente dare dei grandi motivi di esaltazione, però ci ha dato qualche positivo segnale di conforto.

Ma non immaginavo che questa candidatura dovesse essere una candidatura «sine qua non», altrimenti si rompeva. Il segretario politico, invece, sosteneva che bisognava arrivare alla resa dei conti con il partito socialista, bisognava arrivare al chiarimento.

Ad un certo punto, coloro che erano possibilisti si sono visti cambiare posizione improvvisamente, senza nessun accordo, né sui programmi di risposta ai referendum, né su altro.

E quelli che erano rigidi hanno dimostrato di non voler arrivare a chiarimenti. lo immaginavo che si dovesse costruire gradualmente, dopo una campagna elettorale difficile, il cui taglio io condivido (parlo della proposta programmatica del nostro partito) della fierezza con cui abbiamo portato avanti le nostre posizioni, ecco io immaginavo che si dovesse arrivare ad un tipo di soluzione nel quale più forte e più prestigiosa dovesse essere la nostra presenza.

E difatti c'è un passa&gio strano che la gente non ha capito. E sembrato quasi che l'avvento del Presidente democristiano nella persona dell'on. Goria, fosse avvenuta per grazia del Presidente della Repubblica.

Poi, c'è voluto per chiarire il tutto, il Consiglio Nazionale, con una relazione che io condivido, espressa dal segretario politico, però a cose fatte tutti questi passaggi sono stati estremamente logoranti, estremamente delicati. Quindi non abbiamo utilizzato a fondo questo vantaggio che io credo si sia conseguito, al di là delle persone e di queste vicende, e continuano a permanere i dubbi nell'opinione pubblica tra quella che è la nostra posizione rispetto a questo governo e quello che in realtà rappresenta in questo momento questo tipo di tentativo.

Credo che noi dovremmo fare anche un'altra riflessione: noi abbiamo fatto una campagna elettorale ottima; adesso dobbiamo partire.

Il Mezzogiorno, l'occupazione, i giovani, qual'è la nostra proposta e come la-portiamo avanti nell'ambito di quel governo? E via dicendo, gli anziani, la previdenza, lo stato sociale.

Allora, se non c'è certamente il tempo per fare questo, devo dire che rispetto alla domanda che mi ha fatto l'amico Franceschini, noi non abbiamo avuto alcuni passaggi sbagliati, in questo ultimo risultato che comunque io considero positivo, e per i quali paghiamo poi le conseguenze.

BAMBAGIONI

lo avrei due domande, mi passerete la rozzezza, ma vorrei essere molto preciso. Vorrei sapere dai relatori come si concilia tutto sommato l'ultimo Consiglio Nazionale, le conclusioni e la relazione del segretario dell'ultimo Consiglio nazionale del partito con alcune recenti e meno recenti uscite del segretario nazionale, mi riferisco in modo particolare al caso della piscina a Palermo, che mise il Presidente del Consiglio in una posizione abbastanza difficile, e l'altro caso riguarda Chianciano, in cui il segretario del nostro partito usò termini, modi, atteggiamenti, abbastanza duri e gravi, tutto sommato non nei confronti di un altro partito, ma nei confronti del Presidente del Consiglio del nostro partito.

Poi volevo anche chiedere questo: qualcuno ipotizza all'interno del partito che le norme statutarie siano una variabile politica e pertanto si debbano rispettare soltanto quando ci sono determinati momenti politici. lo vorrei sapere dai relatori cosa ne pensano.

FABRIS

Aggiungo solo una domanda ingenua. Perché in una sezione ieri sera mi hanno chiesto su che cosa si distinguono oggi le correnti nella democrazia cristiana, visto che nell'ultimo Consiglio Nazionale sulla linea politica come su altre questioni non è che si siano riconosciute distinzioni enormi.

Quindi, i gruppi, le correnti, ho cercato di fare un censimento ieri sera e ne abbiamo dimenticato qualcuno senz'altro, su che cosa si distinguono oggi?

MASTELLA

Non lo so, bisognerebbe chiederlo a quelli che si distinguono. lo debbo dire, se la distinzione è quella in cui l'interpretazione è filtrata attraverso manipolazioni, per letture disattente e per non partecipazioni, evidentemente anche questa è una forma di differenziazione, ma mi sembra, abbastanza peregrina.

Chianciano: chi era là e ha ascoltato il discorso sia del Presidente del Consiglio che del segretario politico, sa bene che per la verità l'unico rilievo fatto dal segretario politico è stato di metodo. Cioè, che il Presidente del Consiglio non ha ascoltato per intero le relazioni e le ha commentate solo avendo letto le dichiarazioni apparse sui giornali.

Mi pare che successivamente il Presidente del Consiglio Goria ha riconosciuto ciò, anche perché se c'era stata quella forzatura e quel rilievo, era un rilievo che nessuno all'interno dei tanti che hanno partecipato voleva, ed era dettato solo da esigenze dei giornalisti presenti.

Anzi credo che mai c'è stata come a Chianciano tanta convergenza di idee, tanta serenità sul piano dei giudizi, anche del dialogo, rispetto al partito socialista, come è venuta fuori là.

Quindi, avesse detto Elia o la relazione di Elia le cose che Goria ha immaginato attraverso i giornali, non solo si sarebbe incavolato Goria, ma anche noi che eravamo là, credo anche il segretario del partito.

Sulla piscina di Palermo vale la stessa considerazione. Voglio dire: non bisogna farsi prendere frontalmente da una immissione di neutroni giornalistici e ritenendo come questi soli privi di vizio, privi di deformazione, privi di cattiveria, privi di logiche particolari da parte di giornali e questo nessuno l'ha rilevato abbastanza, volutamente così poco interessati ai mercanti della guerra.

Certo, le stesse preoccupazioni la DC le aveva espresse in Parlamento, motivando pure la propria adesione a quella che era la linea del governo. Ma evidentemente non riesco a capire come si chiede alla DC di non prendere l'iniziativa e se la Democrazia Cristiana esprime poi l'iniziativa anche attraverso una preoccupazione, a questo punto ci sarebbe la messa in mora del Governo. Allora, capiamoci. O significa, quando abbiamo il governo presieduto da un democratico cristiano, che siamo zitti e siamo balbuzienti e non diamo del tu ai problemi, o se invece si richiede al partito una capacità di presenza, di incidenza, di fare da riferimento, di essere stella polare e orientamento a tanti settori che si muovono del paese, anche la preoccupazione, la giusta preoccupazione in questo caso era una iniziativa politica. lo per lo meno la intendo così e questo è il modo per rispondere al criterio non geometrico della centralità, ma ad un criterio che è quello di essere tutti i partiti in corsia di sorpasso, come accade più o meno recentemente, per cui c'è il problema di stare in corsia di sorpasso e di evitare che si sia sorpassati costantemente. Questo è da parte della DC e questo è, secondo me, il modo in cui un partito popolare deve muoversi. Ecco perché con grande franchezza se non vogliamo dare rilievo politico alle banalità, allora consideriamoci per le cose che noi esprimiamo, non per le cose che invece altri tentano di farci esprimere. Sarà un metodo di grande sincerità tra di noi, dove le differenze sono anche sostanziali ed è giusto che ci siano. Io non ho mai immaginato che tutti dovessimo parlare la stessa voce, per altro abbiamo dialetti diversi e quindi la comprensione a volte diventa difficile, anche Pietro e Paolo, come si legge negli Atti degli Apostoli, avevano pastorali di tipo diverso, però era l'unità di intenti quello che li motivava.

FONTANA

Sono state fatte due domande precise rispetto al problema delle correnti e io per quanto mi riguarda sono convinto che l'articolazione, per le ragioni che ho detto prima, di interessi diversi, convergenti in una unica prospettiva ideale della democrazia cristiana, fa sì che questo pluralismo che c'è nella società e nell'interesse, non possa non esserci anche nella Democrazia Cristiana.

E questo penso che anche la gente delle sezioni lo capisca.

Poi, c'è una distinzione fondamentale in un partito democratico, ci sono le maggioranze e le minoranze. Noi di Forze Nuove siamo corrente due volte, primo perché sappiamo di rappresentare, non in maniera esclusiva, una certa linea, una certa tradizione, una certa presenza, senza la quale noi riteniamo che la Democrazia Cristiana sarebbe un'altra cosa, magari migliore, ma sarebbe comunque un'altra cosa.

Poi, anche perché dall'82, non abbiamo mai votato il segretario De Mita per ragioni politiche e quindi conduciamo tranquillamente la nostra battaglia di opposizione, e in un partito democratico penso che sia una caratteristica importante.

Ma io vorrei richiamare la vostra attenzione su un fatto. Noi abbiamo sempre detto che un conto è la presenza ideale di queste articolazioni all'interno della DC, un conto è la sclerotizzazione delle correnti, cioè la parcellizzazione del partito, per cui una fetta di partito ti dà diritto ad una fetta di Stato o di parastato.

Quella fetta di Stato e parastato che poi ti dà i mezzi e le possibilità di aumentare la tua quota nel partito: stiamo parlando di un circolo vizioso.

Ora, questo non è venuto meno, ed io potrei portare documentazioni in abbondanza, anzi ciò è stato esasperato al di là della misura negli ultimi anni: il risultato è che, primo, le correnti, nel senso del genere, non sono superate, poi, alla fine ci troveremo una corrente in più, che sarà quella del «segretario pro-tempore».

Ecco cosa intendevo prima quando dicevo Rinnovamento: se si partisse da qui con una fiamma ossidrica a spezzare questo circolo visiozo di degenerazione, noi avremmo una liberalizzazione di energia all'interno del partito, che sarebbe notevole.

Per quanto riguarda, infine, il problema Goria, io passo per un nemico personale di De Mita, ma non è assolutamente vero. lo sono convinto, ad esempio, che De Mita è talmente convinto delle proprie idee e si batte per queste idee, anche a scapito dell'interesse personale. Cioè, voglio dire che durante l'ultima crisi, De Mita di fronte alle due strade che aveva, che erano quelle o di consentire ad Andreotti di fare il governo oppure, se voleva diventare Presidente del Consiglio lui stesso aveva l'altra strada, che era quella di lasciare Craxi a fare le elezioni, il quale avrebbe difeso l'alleanza, ma non avrebbe potuto assolutamente pretenderlo dopo aver fatto tutta una legislatura di farla anche dopo, non ha scelto né l'una, né l'altra.

E, allora, questa qui è malafede? Non la ritengo malafede. De Mita, avendo impostato tutto sin dall'82, l'alleanza di governo in chiave bipolare, per cui per lui esistono due poli, la DC e il PCI, è andato avanti su questa strada fino in fondo, pagandone anche tutte le conseguenze sul piano personale; ma era una strada che è stata una grande illusione, ed è ancora una grande illusione eternizzare un periodo storico che secondo me è tramontato, vecchio, superato.

È la campagna elettorale di De Mita, amici, che noi abbiamo denunciato con questo «documento dei trentanove» tanto criticato. Cosa si è detto in campagna elettorale? Si è parlato di una sfida agli elettori e agli altri partiti: o vi alleate con la DC o andate ad allearvi con il PCI. Questa è stata la campagna elettorale della Democrazia Cristiana.

Tenendo conto che la storia è determinata da questi due poli e gli altri hanno un'unica possibilità, quella di giocare ruoli subalterni nei confronti della DC o nei confronti del PCI.

Il risultato elettorale invece ha smentito questa previsione, poiché quel polo è crollato, è emerso il polo socialista e notate che in un partito che ha l' 11OJo, guadagnare tre punti non è roba da poco, se poi con questi tre punti che guadagna può paralizzare tutti, perché questo vale anche per lo stesso partito comunista; ora, pretendere dopo un risultato basato su questa previsione errata di imporre una candidatura secca, che risultato ha dato, amici? Che c'è stato un veto.

Noi per carità di partito non abbiamo detto niente, ma non era mai capitato nella storia della DC che toccando alla DC e a nessun altro la presidenza del Consiglio, la DC esprime il massimo della propria rappresentanza, il proprio segretario e subisce un veto e dopo tre giorni si abbozza e si dice niente. Non so se vi rendete conto di cosa è capitato. E questo, io sono convinto, è capitato solo perché la previsione di carattere politico era errata, e quando si sbaglia la previsione politica poi si subisce tutto quello che deriva dopo.

GAROFANI

Soltanto un'ulteriore domanda su quanto ha detto il sen. Fontana. Mi sembra qualche volta un po' contraddittoria l'accusa rivolta al segretario. Da una parte, questa di fare costantemente riferimento ad uno schema bipolare, dall'altra l'accusa che altri rivolgono, di aver proposto e di proporre ancora in qualche termine il progetto politico del cosiddetto pentapartito strategico, che in qualche modo potrebbe anche essere visto, in realtà, come il polo opposto alla formula del bipolarismo.

Poi, la questione delle aree, un'altra delle questioni che è venùta fuori a Chianciano. A Chianciano c'è stato un intervento abbastanza apprezzato, molto seguito, di Enrico De Mita, e anche molto condiviso all'interno della sinistra DC, che è quello del contestare questa schematizzazione che fa riferimento ai poli, prendendo spunto anche dalla realtà della cronaca politica di questi giorni, dove abbiamo sotto gli occhi una realtà abbastanza diversa, cioè il frantumarsi in segmenti diversi e sempre più isolati di queste famose aree.

Cioè, di fronte alla questione referendaria, per esempio, la diversificazione delle posizioni di tutti i partiti ha posto in evidenza il fatto che ogni partito in questa situazione politica è evidentemente solo, fa riferimento solo alla sua proposta, alla sua posizione.

Quindi, non credo che si possa parlare obiettivamente di un polo socialista che è in grado di aggregare un polo laico, in questa situazione quindi vengono un po' a cadere tutti gli schemi a cui si può far riferimento, sia quello bipolare, sia quello del pentapartito strategico, credo che si sia entrati in una fase nuova della politica in Italia.

FONTANA

Io ho fatto riferimento alla campagna elettorale che è stata fatta. La campagna elettorale era il classico schema bipolare: cari socialisti, cari laici, o venite a servire qui o andate a servire il partito comunista.

Craxi cosa ha detto? «Non vogliamo essere subalterni né alla DC né al PCI», è stato l'unico partito che ha guadagnato. Poi possiamo illuderci all'infinito.

GAROFANI

Per la verità è una constatazione che non deriva soltanto dalla posizione dei partiti sui referendum, ma anche in sede di spartizione del potere, si è visto che l'area laico-socialista poi cade su questioni molto concrete.

FONTANA

Ma nessuno ha mai detto che esiste un polo unico laico-socialista, chi l'ha detto questo? Tra i due poli, quello leninista-gramsciano e quello riformista, la segreteria DC ha sempre pensato che l'avvenire, quello che aveva più capacità di resistenza era quello gramsciano-leninista e ha giocato tutto su quello anche perché era più comodo.

L'alternativa comunista anzitutto è lontana, è quasi irreale e non creava problemi. Un'alternativa invece socialista contende il centro, crea problemi sul piano del potere ed è molto più scomoda e mette a prova le nostre capacità e la nostra intelligenza.

Concludo: a noi ci è andata bene per quarant'anni e, allora, io dico: vogliamo competere veramente? Non con una ipotetica e irreale alternativa, ma con una alternativa che è dietro l'angolo e che rischia di emarginare, se non siamo intelligenti, una esperienza storica come quella detta?

FRANCESCHINI

Lusetti e poi chiudiamo.

LUSETTI

Io credo che il dibattito sia stato positivo. Potrebbe essere un metodo positivo anche per la prossima gestione, del MGDC. Noi facciamo il congresso a dicembre, quindi è un suggerimento per fare con il Movimento Giovanile quello che non abbiamo mai fatto, cioè un confronto e un dialogo più diretto con il partito in tutte le sue varie espressioni.

Detto questo, io volevo solo in questa ultima fase riferirmi a Bambagioni e a Sandro Fontana. Io credo che la teoria del bipolarismo abbia avuto anche un sapore tattico, più che strategico. Cioè, di fronte alla tradizionale politica del partito socialista... lo poi non so, scusate la digressione, Sandro, se Craxi era al posto di Nenni cosa avrebbe fatto, perché Craxi è indubbiamente una persona capace sul piano politico, però vi erano anche condizioni storiche ben determinate e, quindi...

FONTANA

No, allora il partito socialista aveva più voti del partito comunista e dopo, in tutte le elezioni successive, c'è stato un travaso di voti dal partito socialista al partito comunista.

LUSETTI

Scusa, però il partito socialista dopo dodici anni di gestione craxiana è ritornato ad avere i voti del partito di Nenni.

FONTANA

No, nel '46 Nenni aveva il 20% e i comunisti il 18%.

LUSETTI

Nel '68 chi c'era alla segreteria del PSI?

FABRIS

Craxi è diventato segretario nel '76.

LUSETTI

No, nel '68 chi c'era?

FABRIS

C'era De Martino penso.

LUSETTI

Va bene, solo questo per dire che secondo me vi è anche una esigenza di individuare una strategia, un'azione politica, rispetto anche all'iniziativa craxiana. Perché? Perché io credo che Craxi non abbia in mente un'alternativa di sinistra, lui però ha una cosa in mente: quella di diventare il perno del sistema politico italiano, cioè diventare lui la centralità.

Che questo possa accadere con la DC o con il PCI per lui è lo stesso, lui si sente in questa fase anche in grado di dominare il partito comunista. Cioè, cercò l'evolzuione alla francese, alla Mitterand.

Io credo che oggi anche le ultime elezioni hanno dimostrato che sul piano politico, veramente, l'altro polo è il partito socialista. Però, attenzione? Un conto è il polo del PSI, il polo Craxi, un conto è il polo laico-socialista. Perché oggi vi è un isolamento un po' di tutti i partiti del polo laico-socialista e poi non possiamo non considerare che questi tre partiti, repubblicani, liberali e socialdemocratici, hanno veramente un consenso ridottissimo, che è pari o poco meno al consenso che hanno i verdi, i radicali e i demoproletari in parlamento.

Per questo io sono preoccupato rispetto alla frammentazione che non esiste più un polo laico-socialista. Se poi noi analizziamo il dato elettorale, il polo

laico-socialista (ammesso che esista) ha riscosso meno consensi, ha perso consensi rispetto alle elezioni dell'83, perché ha un meno 0,4%.

Esiste il PSI, certo. Noi dobbiamo fare i conti con questo partito socialista e con Craxi ed i suoi uomini. Anche perché gli altri partiti non hanno una grande classe dirigente, si vede anche dalla loro composizione ministeriale. Allora, noi cosa dobbiamo fare? Dobbiamo tenere in considerazione questo partito socialista e non possiamo non tenere conto di questo partito comunista. Se poi diamo per scontato che il PCI non esiste più perché è in crisi, faremmo un grosso errore. Perché poi sappiamo che può anche ritornare, quindi teniamo in considerazione che esiste una realtà congelata, che ha il 26% e che però può ritornare in auge, può creare preoccupazioni ulteriori, notevoli. Dopo di che sappiamo che bisogna fare i conti con il partito socialista facciamoli fino in fondo, però tenendo presente che noi siamo il partito di maggioranza relativa, il partito di maggioranza assoluta in questa coalizione e, comunque, non possiamo rinunciare ad un ruolo che i cattolici hanno sempre avuto nel nostro paese.

FONTANA

Se mi permetti, solo una cosa. Il problema del partito comunista io l'ho sempre ritenuto centrale agli effetti dell'evoluzione del sistema politico italiano. Ma quando noi diciamo «il problema del partito comunista» intendiamo che cosa in sostanza?

Intendiamo dire che il partito comunista dopo quarant'anni di presenza, di insediamento sociale nella società italiana, ha sviluppato dentro di sé tante e tali di quelle istanze, di fatto riformistiche, in contraddizione con una sovrastruttura organizzativa di carattere leninistico, che prima o poi scomparirà.

Qual'è la nostra attenzione nei confronti del partito comunista? È quella di far sì che questo partito faccia emergere sempre più questi caratteri di fatto riformistici, occidentali, più vicini alla nostra società pluralista, che non quelli di carattere orientale, datati storicamente (perché il leninismo è una cosa che è nata all'inizio del secolo e che è stata smentita). E, quindi, non è che noi vogliamo congelare. Anzi! Abbiamo un'attenzione particolare, però non facciamo assolutamente del partito comunista di «tutta l'erba un fascio». Dobbiamo avere una grande attenzione nei confronti di quello che sta avvenendo in quel grande magma che è tutto il sistema di potere, ma anche ideale, della sinistra nel nostro paese, oggi in crisi.

FRANCESCHINI

Mi pare che qui si chiuda un dibattito che in realtà si sta aprendo solo ora nel partito. Nuova Politica voleva solo far nascere interrogativi di base. Speriamo di esserci riusciti.

Fatto il referendum trovato l'inganno
Corrado Maria Daclon

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