Gli spartiacque sulla via dell'unità
Vi sono generalmente due ragioni che inducono un partito politico a convocare il congresso: il rispetto della scadenza statutaria e il sopraggiungimento di eventi straordinari (difficoltà interne ed esterne al partito oppure il cambiamento di linea politica).
Mentre il Congresso del PCI è stato indetto per far fronte ad una situazione di difficoltà interna e di linea politica, quello della DC è stato convocato per scadenza ordinaria.
Il XVII Congresso della DC è stato lanciato, l'estate scorsa, nel periodo di maggior forza per il partito, ma siamo consapevoli che oggi viviamo un'altra fase politica di relativa difficoltà per la DC e per il Paese; e di ciò non possiamo non tenerne conto.
La crisi internazionale divenuta sempre più acuta e un'eccessiva lacerazione dell'attuale coalizione, che comunque risulta insostituibile, rendono il panorama politico indubbiamente incerto. Diviene quindi importante celebrare questo congresso per rilanciare la proposta e l'iniziativa politica della DC. Questa volata congressuale democristiana è partita, forse, troppo presto, ma non per questo dobbiamo rischiare di giungere esausti al traguardo.
Un ampliamento dell'orizzonte politico del congresso richiede da parte nostra un chiaro segno di vitalità politica.
Cominciamo quindi col dire cosa non deve essere questo congresso.
Non può essere il congresso della «conta» dei delegati: proporremmo una DC fondata sull'aritmetica non sulla politica; non può essere il congresso della «compravendita» delle tessere: si rischierebbe una vecchia DC; non può essere il congresso dell'appiattimento su sterili posizioni politiche; proporremmo una DC immobile; non può nemmeno essere il congresso del modesto rinnovamento della classe dirigente: interromperemmo il difficoltoso cammino del rinnovamento della DC. Non dovrà essere, in sostanza, un congresso di basso profilo.
L'obiettivo politico principale è quello di costruire la DC del cambiamento; si dovrà ipotizzare un tipo di Democrazia Cristiana adatta a gestire e a governare le rapide trasformazioni sociali in atto nel paese.
Si tratta quindi di disegnare un itinerario politico per i prossimi due anni. E per fare questo occorre uscire dall'orizzonte dell'immediato, cercando di sottrarre alla politica la sua dimensione tattica e contingente.
Questa del XVII Congresso diventa quindi una sfida ambiziosa, perché si dovranno definire i contorni di una chiara ed omogenea politica oltreché il ruolo e l'identità della DC degli anni '90.
In questi ultimi anni l'intreccio tra unità e unanimismo dentro al partito ha creato non poche difficoltà alla chiarezza della nostra proposta politica.
L'unanimismo è fonte di moderazione del partito perché è legato solo ad interessi di potere. L'unanimismo inaridisce la vita del partito e appiattisce le posizioni politiche perché riduce gli spazi per una dialettica democratica.
È l'unanimismo che in questi anni ha limitato l'azione politica di rinnovamento del segretario del partito.
Cosa diversa è l'unità del partito, quell'unità tanto cara ad Aldo Moro. L'unità del partito, perché sia tale, dev'essere creata intorno ad una precisa e definita linea politica, ma soprattutto intorno alle risposte, ai problemi, alla gente.
Si rende quindi indispensabile cercare, dentro il partito, una vera unità politica, anche nella dialettica tra maggioranza e minoranza interna.
Si possono individuare quattro spartiacque su cui fondare una vera unità politica.
1. Il primo spartiacque è tra la politica degli affari e gli affari della politica. La politica degli affari riguarda la politica dell'«occupazione di potere», nonché la politica ridotta all'affarismo funzionale alle lobbies.
Gli affari della politica, cioè la vera politica, consistono nella risposta della politica ai bisogni della gente. La disoccupazione (giovanile e femminile soprattutto), la ricerca della pace, il risanamento della scuola, lo sviluppo del mezzogiorno, la lotta contro le tossicodipendenze, il dissesto ecologico: su questi temi si fanno gli affari della politica.
Proprio dalla DC devono partire, attraverso il parlamento e· il governo, le risposte della politica a questi problemi, magari guardando un po' di più alla società che al palazzo.
2. Il secondo spartiacque riguarda la moralità della politica, ed avviene tra chi fa della questione morale la verifica del reale cambiamento della DC e chi invece la utilizza partendo da un basso livello di intransigenza morale in nome di una visione moralistica della società.
Sul tema della credibilità morale la DC ha recuperato notevoli consensi nelle ultime elezioni amministrative, rispondendo anche ad una pressante richiesta proveniente dal mondo cattolico (v. anche conclusioni Convegno di Loreto).
Ma su questo tema la segreteria del partito deve. proseguire con chiarezza e coerenza se si vuole rinnovare la DC.
3. Il terzo spartiacque concerne il ruolo e l'identità della Democrazia Cristiana, ed avviene tra chi crede nella DC come forza popolare e riformista e chi crede nella DC come forza di moderazione e conservazione dell'esistente.
Il popolarismo e il riformismo sono due connotazioni che la DC deve riprendere ed attualizzare a questa fase di cambiamento.
L'esigenza di riforma per la DC non è finita negli anni '60. Il riformismo, tipico della tradizione cattolica, diventa una sfida quotidiana alla nostra capacità di trasformare la politica in un continuo rinnovarsi dei comportamenti e in un continuo riadattamento delle istituzioni alle trasformazioni.
La DC non deve limitarsi a garantire questa democrazia ma deve guidare il rinnovamento e la crescita della società in funzione dell'evoluzione democratica del nostro paese.
4. Il quarto spartiacque riguarda il quadro politico di riferimento, ed avviene tra chi vuole una DC al centro del sistema politico italiano con la possibilità di giocare tutto il suo peso politico (maggioranza relativa nel paese e maggioranza assoluta tra i partiti di governo) nella coalizione di governo, e chi pensa ad una DC polo conservatore del sistema, subalterna rispetto al PSI di Craxi.
La DC rappresenta la «centralità», cioè la capacità di essere soggetto politico che esprime una progettualità di ampio respiro e di essere il «National Party», cioè un partito nazionale che interpreta e interpella tutta la società.
Questi spartiacque, brevemente accennati, rappresentano un tracciato politico da percorrere, perché la DC non è in crisi. Sbaglia chi afferma ciò. La crisi non è altro che l'alibi della ritualità della politica.
Ma sappiamo che per le nuove generazioni democristiane la politica non è un rito. Politica vuol dire comprendere, agire, associarsi, raggrupparsi. Ma siamo anche consapevoli che la politica consiste in un lento e tenace superamento di dure difficoltà da compiersi con passione e discernimento.
Già da questo XVII Congresso convinceremo a superarlo. Noi giovani democristiani non ci perdiamo d'animo nemmeno di fronte ai grandi ostacoli, perché crediamo nella politica e nella DC non per interesse ma per ideale. Noi crediamo alla loro apertura al nuovo, alla loro disponibilità verso i fenomeni sociali e alla loro' sintonia con le speranze dei giovani.
E proprio in questo grande partito nazionale, democratico e di ispirazione cristiana noi faremo la nostra politica per organizzare la speranza dei giovani e per progettare il domani.













































