La DC al bivio
Lo strano curriculum del governo Goria pone il nostro partito di fronte ad una posizione delicata e decisiva: quale scenario politico vuole costruire e, soprattutto, verso quale Democrazia Cristiana ci incamminiamo? La domanda non è speciosa né, tantomeno, retorica. Il contributo politico che dobbiamo portare all'intero partito dovrà sostanziarsi in una chiara proposta politica, pena l'indebolimento complessivo della Democrazia Cristiana e la riduzione del movimento giovanile ad «organismo sovrastrutturale».
Dobbiamo renderci conto che, sull'intuizione morotea, la riforma dei partiti è la prima scelta di riforma istituzionale.
Il discorso del Presidente della Repubblica, di fine d'anno 1987, ha avuto l'indubbio merito di porre, in modo fermo ed equilibrato, il problema del rapporto tra questioni istituzionali e partiti. Vi era, nel messaggio, un richiamo severo ai valori costituzionali, che permangono nella loro validità, e una indicazione ad indagare nella giusta direzione sugli elementi di crisi del sistema causata, non poco, da certe pratiche di governo dei partiti. È dunque soprattutto all'interno delle forze politiche che occorre operare per ridare slancio e nuovo vigore alla nostra democrazia.
Attenzione sulla questione morale
Il Gruppo Parlamentare democristiano della Camera ha posto la questione morale al centro della riflessione in un interessante convegno di studi sulle istituzioni. Si è percepito che solo attraverso un rinnovamento di forze spirituali e una robusta riforma interiore, appunto, è possibile riprendere uno sforzo rigeneratore che si riversi, poi, nella proposta culturale e politica.
Ora, al di là degli incontri tra i partiti, poco si riflette e niente ci si adopera per modificare, in profondità, il modo di essere e l'organizzazione dei partiti. È puramente illusorio immaginare di guarire il malessere che serpeggia nella società, di sciogliere il nodo della inadeguatezza istituzionale, di correggere le disfunzioni delle strutture e degli apparati pubblici senza intervenire sui partiti che hanno, via via, provocato l'insorgere dell'attuale «costituzione materiale». Certo, esiste una interdipendenza tra riforme istituzionali ed effetti che possono provocare sulla vita delle forze politiche limiti, regole e procedure nuove; ma è pur sempre prioritario, per modificare orientamenti e prassi, sollecitare il formarsi di una diversa consapevolezza culturale dei partiti sul rapporto società-istituzioni-forze politiche in una fase nella quale forte è il senso di identità o, come si dice, la «soggettualità».
Esiste nel contempo, un altro essenziale capitolo, sul quale di solito si sorvola, ed è quello della garanzia del rispetto delle norme statutarie nei partiti. Duverger ha scritto pagine illuminanti su questo punto. All'origine di molti mali partitocratici vi è, appunto, la iniziale alterazione che i diversi gruppi dirigenti tendono ad operare per eternare se stessi, utilizzando, in modo improprio, risorse ed opportunità che provengono dal controllo dei poteri pubblici. La mancanza di rispetto delle regole interne può facilitare lo sviluppo di forme abnormi di potere, che alterano, via, via, anche il tessuto istituzionale del paese.
Vi è un rischio incombente, per esempio, nell'attuale confronto sul problema istituzionale: che i partiti, appunto, lo utilizzano non per riformare in modo giusto il sistema, ma per utilizzare gli effetti dell'«agitazione» di tale tematica (molto sentita nell'opinione pubblica), a fini di potere proprio.
La difficoltà di superare la mentalità partitocratica si è manifestata perfino nella forma dei recenti incontri tra le forze politiche sui temi istituzionali. Si può forse ritenere il rilievo che sto per fare una insignificante e formalistica osservazione, mentre a me pare un'interessante spia di una particolare concezione partitocratica.
Rilanciare il confronto dc
Ora la DC si trova, per prima, ad affrontare la questione-partito, che il discorso del Presidente Cossiga ha autorevolmente sollevato.
Solo una grande capacità di colloquio interno franco, leale, spregiudicato ed insieme pacato ed obiettivo, può consentire alla Dc risposte culturali e politiche adeguate.
La distanza, infatti, tra orientamenti di pensiero e di ispirazione dei partiti non è, oggi, meno netta delle antiche contrapposizioni ideologiche. Non fu difficile, negli anni della Costituente, confluire su principi di solidarietà pur partendo dai diversi orientamenti del solidarismo cristiano; della concezione marxista o della visione laico-mazziniana dei diritti e dei doveri. Nelle visioni culturali attuali, dove l'economia
economicistica ha progressivamente scalzato quella storicistica, è particolarmente arduo saldare il ruolo dell'individuo nella società. Né bastano, da parte nostra, antiche litanie, evocazioni di norme morali, astrazioni concettuali, rispetto ad analisi e forme di pensiero che assumono il vestito della scienza.
Solo ripercorrendo criticamente questi itinerari e penetrando più a fondo nei meccanismi del vivere sociale, mostrando, capacità di comprensione più vasta dei fenomeni in atto, ricostruendo un pensiero ed una prassi politica più capace di raccordarsi con la struttura e la natura delle società opulente è possibile rilanciare il confronto democristiano con altre ipotesi culturali e politiche.
E dunque, tutta una nuova cultura da meditare, mediare ed assorbire, che va dalle modalità per legiferare ed amministrare; ai criteri per far rivivere o per inserire nella società i valori fondamentali dell'uomo e della comunità. L'operazione, che ci riuscì nel decennio tra il 1945 e il 1955, ebbe alle spalle una fervida stagione di tensione ideale e morale, di creatività intellettuale, di forti convincimenti e di idealità. Se vogliamo riuscire, oggi, dobbiamo suscitare, come ieri, le stesse energie.
Per questo, al di là del voto segreto, il nostro partito ha un grande compito da assolvere. Non può distrarsi in discussioni effimere o in elaborazioni astratte.


















































