Nuova Politica - Sei Congressi DC pagina 18
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Nell'impossibilità di trattare tutti e 16 i congressi della storia della DC, abbiamo ritenuto opportuno rivolgere la nostra attenzione a quelli che consideriamo più significativi in relazione alle scelte, alle svolte che da essi scaturirono o alla rilevanza dei momenti storici in cui si svolsero.

Vogliamo sottolineare, quindi, che la scelta da noi compiuta è dovuta solo a mancanza di spazio: siamo del tutto consapevoli, infatti, che in quanto ad importanza e ad interesse i congressi di un grande partito popolare, come è la DC, non possono mai essere giudicati di basso profilo.

Primo congresso
Con Gonella la «Carta delle libertà»

Il primo congresso dc (Roma 24/27 aprile 1946) fu sostanzialmente caratterizzato dal problema istituzionale, con in primo piano la questione referendaria per la scelta fra monarchia e repubblica.

I lavori furono tenuti nell'Aula Magna dell'Università di Roma, in discussione il programma della Democrazia Cristiana di fronte alla Costituente e al Referendum.

Dopo l'intervento introduttivo del segretario politico del Paritto De Gasperi, presero la parola Guido Gonella e Attilio Piccioni.

Gli interventi di questi due importanti esponenti rappresentarono il momento centrale del primo congresso.

Gonella nella sua dettagliata relazione si occupò dei principi fondamentali della Costituzione e della struttura dello Stato, sottolineando come alla base del · nuovo assetto istituzionale si dovesse porre il problema della difesa delle libertà e della giustizia sociale.

In effetti l'intervento di Gonella può essere definito una vera e propria «Carta delle Libertà», contenente i principi e le affermazioni che avrebbero regolato la vita e l'azione politica del Partito nella stagione della ricostruzione.

Importante, in questo senso, anche la parte della relazione dedicata alla struttura dello Stato, con la decisa e coraggiosa scelta del decentramento, delle autonomie, del regionalismo, preziosa eredità delle battaglie politiche di Sturzo e dei Popolari.

L'on. Piccioni invece tenne la sua relazione sulla forma istituzionale da adottare. E proprio riguardo a questo punto il primo congresso, attraverso un ordine del giorno presentato da Pellizzari, Grandi, Aldisio e Passarelli in cui, nel rispetto del principio della libertà di coscienza del singolo, si invitava il Partito ad esprimere il suo indirizzo sul problema istituzionale, si pronunciò a favore della forma repubblicana con circa 740.000 voti favorevoli e 254.000 contrari.

Il Consiglio Nazionale eletto dal primo congresso si riunì il 29 aprile e rielesse per acclamazione alla Segreteria De Gasperi. La nuova Direzione risultò composta da Piccioni vice segretario, Restagno, Pastore, Dossetti, Maria Jervolino, Brusasca, Mattarella, Vanoni, Lazzati, Petrone, Fuschini, Fanfani.

Il Congresso di Napoli del 1954
Inizia il dopo De Gasperi

Il V congresso si svolge a Napoli dal 26 al 30 giugno 1954.

È, innanzitutto, l'ultimo congresso che vede la presenza di Alcide De Gasperi, ancora segretario del Partito, che morirà il 18 agosto dello stesso anno.

Il quinto congresi;o porta alla segreteria Amintore Fanfani che inizia un'operazione di profo da riorganizzazione della struttura del Partito e di rinnovamento deila classe dirigente. Sembra così essere giunto il momento per la seconda e la terza generazione di assumere r sponsabilità di guida ed iniziativa all'interno.del partito e della formazione governativa.

La linea che emerge dal congresso di Napoli, contenuta nella mozione conclusiva votata dall'assemblea, individua una «politica di sviluppo economico che si discosti dai criteri limitati e possibilistici che hanno ispirato molta parte degli intervénti dei pubblici poteri nella vita economica del Paese, e si fonda invece su una precisa programmazione degli interventi stessi, particolarmente in ordine all'incremento del livello di occupazione ed.alla eliminazione rapida delle forme più disumana di miseria».

Le premesse di questo tipo di programma vengono individuate in un'azione di adeguamento radicale degli organi di governo e della pubblica amministrazione, e in un approfondimen to ed un perfezionamento dell'azione di riforma, prima di tutto nel Mezzogiorno.

Proprio a Napoli, nei giorni del quinto·congresso, Ezio Vanoni nella sua relazione individua le linee della crescita economica e di uno sviluppo democratico per il successivo decennio: si tratta di quello che passerà alla storia come «lo schema Vanoni» e che sarà fatto proprio dal Consiglio dei Ministri.

Quello di Napoli è insomma un congresso rivolto soprattutto alla riflessione sui temi sòciali, nel tentativo di dare una prima risposta al problema di un maggior coinvolgimento nello Stato democratico di fascie sempre più larghe di lavoratori, mantenendo però il veto all'entrata delle sinistre nella maggioranza di governo.

Viene inoltre affrontato dal congresso il problema della politica estera della restituzione all'Italia della zona A del territorio di Trieste (che avverrà il 4 novembre dello stesso anno).

L'VIII Congresso
La DC di Moro apre al PSI

L'VIII congresso nazionale della Democrazia Cristiana si svolse ancora (come nel 1954) al Teatro S. Carlo di Napoli dal 27 al 31 gennaio 1962 sul tema «Le responsabilità della DC per il governo del paese e lo sviluppo democratico della società italiana».

Il congresso è dominato dall'intervento del segretario politico del partito Aldo Moro: una relazione di circa sette ore, attenta, profonda, lucidissima, intesa ad analizzare in tutti i suoi aspetti una società come quella italiana degli anni sessanta, che va rapidamente modificandosi.

È chiaro per Moro che in una fase storica di rapida crescita e di sviluppo economico e sociale occorrono scelte politiche lungimiranti per evitare pericolosi squilibri: lo statista pugliese concepisce questi interventi non solo come azione corretrice di quanto già è avvenuto, ma soprattutto come capacità di compiere scelte ricollegabili a quella politica di piano già teorizzata da Vanoni e poi riproposta con un intervento al Convegno di S. Pellegrino dal professor Saraceno.

«La nostra attenzione, la nostra preoccupazione, il nostro interessamento sono tutti rivolti alle posizioni più deboli e più esposte. Sono rivolti alle esigenze di progresso economico, di sviluppo sociale, di concreta affermazione di dignità, di garantita libertà politica e civile, di piena partecipazione ai beni della vita, dal benessere alla cultura, delle masse di popolo che emergono sempre più come protagoniste della storia.

L'accento è posto su coloro che devono salire ed acquisire più peso nella vita sociale. Se non siamo un partito di classe, siamo però un partito di popolo schierato non con i pochi ma con i molti e pronto sempre a porre in essere i correttivi, a fissare i limiti, a favorire gli interventi che valgono a vantaggio di tutta la vita economica e sociale del paese».

È un passaggio della relazione di Moro, in cui emergono chiaramente le linee e i principi a cui il partito deve ispirarsi.

In questo contesto, chiariti gli obiettivi da raggiungere, assume grande rilevanza il problema delle alleanze e della formula di governo.

La scelta che a grande maggioranza il congresso fa, è la scelta del centro-sinistra, l'apertura al PSI, sulla base anche della collaborazione con i socialisti già sperimentata a livello locale nelle giunte amministrative.e giudicata positivamente dallo stesso Moro.

La «questione socialista» è al centro del dibattito, a dimostrazione dell'interesse per il PSI e della rilevanza di quel partito per la costruzione di più solidi equilibri democratici, anche dopo la presa d'atto della diversità socialista rispetto al PCI.

Con l'VIII congresso si apre così la fase della collaborazione con il PSI anche se il primo governo a partecipazione diretta socialista sarà varato solo il 4 dicembre 1964.

Il Congresso del 1973
Prima crisi del centro-sinistra

Il XII congresso nazionale, svoltosi a Roma dal 6 al 10 giugno 1973 si apre con la relazione del segretario politico Forlani sul tema «Un impegno unitario e di solidarietà per far avanzare nella pace e nella libertà l'Italia e l'Europa».

Predominante nell'intervento del segretario politico e nel dibattito congressuale è l'analisi sull'esperienza politica del centro-sinistra.

«La domanda di fondo che la società pone – dice Forlani – riguarda i modi possibili per uscire da una alternativa tra la necessità di ampliare la democrazia nella nostra società ai vari livelli, nelle scuole, nelle fabbriche, nelle città, e una maggiore capacità di decisione e di orientamento che rende, in definitiva, governabile il paese».

In presenza di questa alternativa e a causa della incapacità di armonizzare le due esigenze, si verifica, nell'analisi di Forlani, la crisi della politica delle riforme e della formula di centro-sinistra.

Emerge dal XII congresso (o almeno dalla maggioranza degli interventi), un giudizio fortemente critico sul PSI, che collabora a livello locale con il PCI, partito giudicato antitetico e duramente contrapposto alla DC, e si richiamano i socialisti ad una maggiore coerenza sul piano dell'impegno programmatico e dell'azione politica.

«Non si intende mettere in discussione ne la legittimità, ne l'utilità dell'incontro della DC con i socialisti, ma le ragioni che hanno portato al suo relativo insuccesso; i modi e i contenuti che possono caratterizzare una nuova iniziativa».

È questo forse il passaggio più significativo dell'intervento del segretario e che costituisce il nodo che il XII congresso scioglie prendendo atto della crisi della formula politica che aveva caratterizzato una fase storica, quella del centrosinistra, che si era aperta a Napoli nel '62.

La conclusione del XII congresso prepara il ritorno di Fanfani alla segreteria del partito.

Il XIII Congresso
La solidarietà nazionale

XIII congresso nazionale Roma 18/24 marzo 1976

Nell'aprire con la sua relazione il XIII congresso Beni&no Zaccagnini, segretario politico della DC, definiva quel momento come uno dei più impegnativi della storia del partito.

Ed in effetti il congresso del '76 cade in una fase di profonda crisi del paese: crisi che è politica, economica, sociale, morale.

Nonostante la diffidenza, nonostante le dure critiche, gli attacchi di molti avversari politici ché la DC deve sopportare, nonostante la sfiducia che sempre più la gente dimostra nei confronti dei partiti, nonostante tutto questo, pure si avverte, e Zaccagnini se ne fa interprete, l'attesa dell'opinione pubblica, delle forze politiche pet quello che la DC deciderà nel suo congresso.

«Da ogni parte si guarda a noi – dice Zaccagnini – in questo preoccupato interesse per le nostrè scelte, mi pare che non vi sia soltanto il riconoscimento della indispensabilità del nostro apporto politico alla soluzione dei problemi italiani, ma anche la tormentata speranza che dal nostro rinnovamento incominci una nuova stagione storica, un diverso cammino dell'Italia».

E si può dire a ragione che in effetti il XIII congresso fu un momento importante, per il clima politico che vi regnò, l'entusiasmo che lo caratterizzò e le novità che furono in quell'occasione introdotte.

Innanzitutto occorre ricordare l'adozione del criterio dell'elezione diretta del segretario politico; poi non si può dimenticare che dal XIII congresso iniziò un processo di rinnovamento del partito, portato avanti anche attraverso l'approvazione da parte dell'Assemblea della cosiddetta «mozione degli 11 punti» che impegnava il Consiglio Nazionale, previa la convocazione di una conferenza organizzativa, a deliberare la modifica dello statuto.

Il dibattito congressuale, sempre vivo ed ispirato·da grande passione, affrontò con particolare attenzione il problema dei rapporti con le altre forze politiche, in particolare PSI e PCI.

Per quanto riguarda i rapporti con i socialisti si ribadisce l'esaurimento della formula del centro-sinistra.e nello stesso tempo si sottolinea – e lo fa Moro nel suo interessantissimo intervento – il valore della collaborazione çol PSI, che deve avvenire però in un contesto politico diverso e più aperto al confronto anche per quanto rigaurda i rapporti con·l'opposizione comunista. E Zaccagnini nella sua replica insiste sul tema del confronto e di una solidarietà politica più ampia possibile, necessaria per la soluzione dei problemi prioritari per il paese. Quindi confronto anche con il PCI, ma un confronto che abbia sempre come base la libertà e il reciproco rispetto della propria originalità ed autonomia, nella convinzione e nella consapevolezza del grande valore e dell'importanza per il paese dell'incontro, sui grandi temi dello sviluppo, con l'altro grande partito popolare italiano.

Si apre, con il XIII congresso, una nuova fase: al suo interno la DC trova nuove energie grazie all'impegno di tanti giovani che riscoprono la politica; per il paese invece inizia quella stagione che sarà caratterizzata dalla politica della solidarietà nazionale.

Il Congresso del «preambolo»
Si conclude la fase del confronto

Con il XIV congresso nazionale, tenutosi a Roma dal 15 al 20 febbraio 1980, con circa due anni di ritardo sulla scadenza naturale, la DC si ritrova a discutere su avvenimenti e vicende tra le più difficili della storia italiana.

E lo fa senza il suo leader più prestigioso, Aldo Moro, assassinato dalle Brigate Rosse due anni prima, la più illustre vittima di una violenza come quella terrorista che considera la Democrazia Cristiana bersaglio fondamentale nella sua lotta di destabilizzazione delle istituzioni democratiche.

Il dibattito congressuale è incentrato sul giudizio sugli anni della solidarietà nazionale con particolare riguardo al rapporto con il PCI.

I comunisti, dopo che era stata giudicata prematura ed inopportuna una loro partecipazione diretta al governo e ancor più dopo la sconfitta elettorale del '79 (-4% rispetto allé politiche del '76) avevano scelto la via del ritorno all'opposizione.

Si trattava, allora, non solo di dare una valutazione politica sulla formula di governo che aveva caratterizzato il periodo '76/'79, ma soprattutto di dare una risposta al problema della governabilità, verificando le possibilità di aggregare nuove maggioranze e la capacità di delineare nuove strategie.

Si delineano, durante il dibattito, due linee politiche: una è quella che partendo da un giudizio complessivamente positivo dell'esperienza della solidarietà nazionale intende affrontare il problema della governabilità rifiutando ogni tipo di pregiudiziale.

«Il dialogo della DC, aperto a tutte le forze politiche nel rispetto della collocazione e del ruolo di ciascuna – afferma la mozione a cui aderiscono la componente andreottiana e l'area Zac (la sinistra del partito) – e la iniziativa diretta alla ripresa della politica di solidarietà nazionale debbono avvenire fuori da rapporti esclusivi e debbono porre i problemi del rapporto con il PCI nel quadro di un costante collegamento con il PSI e con gli altri partiti democratici intermedi». L'altra tendenza, che è poi quella che si affermerà come la linea approvata dal XIV congresso, nel prendere atto dell'atteggiamento del PCI e nel ribadire l'impossibilità per la DC di una comune gestione di governo con i comunisti, sottolinea la necessità di privilegiare ed approfondire il rapporto politico col PSI e con gli altri partiti laici per un'azione comune verso l'opposizione comunista.

Nel documento comune alle mozioni presentate da Piccoli, Donat Cattin, Fanfani e Prandini, il cosiddetto «Preambolo», si afferma perciò che «il congresso, pur rilevando l'evoluzione fin qui compiuta dal PCI, constata che le contrastanti posizioni sui problemi indicati (riguardanti soprattutto la situazione internazionale N.d.R.) non consentono alla DC corresponsabilità di gestione con quello stesso partito; e demanda al C.N. il compito di promuovere una iniziativa politico-programmatica che, previa aperta verifica tra i partiti costituzionali nelle opportune sedi, tenda a rendere più stabile e sicuro il governo del paese, nello spirito della solidarietà nazionale e nel riconoscimento della pari dignità delle forze politiche che intendono collaborare».

La linea del «preambolo» ottiene il 57,7% dei voti rappresentati in congresso; l'elezione del segretario, al contrario di quanto avvenuto nel '76, viene demandata al Consiglio Nazionale.

Il XV Congresso
L'idea di un «partito nuovo»

Il XV congresso nazionale si tiene ancora una volta a Roma, al Pal zzo dello Sport dell'Eur, dal 2 al 5 maggio 1982.

La relazione del segretario politico uscente, Flaminio Piccoli, è ampia e articolata, rivolta ad analizzare i rapporti del partito con le altre forze politiche e il processo di rinnovamento e di «riconciliazione» con quello che Piccoli chiama «il mondo cristiano italiano», sulla strada tracciata dall'Assemblea Nazionale tenutasi dal 25 al 29 novembre dell'81.

Il XV congresso presenta per la successione a Piccoli, intenzionato a lasciare la segreteria, due candidature: quella di Ciriaco De Mita e quella di Arnaldo Forlani.

Sul nome e sulla proposta politico-programmatica di·De Mita .si riscontra un'ampia convergenza, costituita dalle componenti che si riconoscono nell'area Zac e in un «cartello» di forze, il cosiddetto PAF, che comprende gli amici di Piccoli, Andreotti e Fanfani. Le votazioni per l'elezione del segretario del partito (eletto come Zaccagnini nel '76 dal congresso) vedono l'elezione al primo scrutinio di De Mita con il 55,15% dei voti congressuali.

Il documento presentato da De Mita al congresso -(la cosiddetta «dichiarazione d'intenti» che il candidato alla segreteria presenta ai delegati) intitolato «Per· la democrazia nella trasformazione», si sofferma su alcune questioni considerate centrali nel panorama politico italiano.

Innanzitutto il tema della riforma istituzionale, considerato strettamente collegato alla proposta di alleanza politica: «c'è inadeguatezza – dice De Mita – di funzioni e strumenti costituzionali rispetto alle grandi trasformazioni della società nazionale, radicalmente diversa, nella struttura e nei modi di vita, dall'Italia agricola che era presente alla definizione della Costituzione Repubblicana».

Si insiste molto sul tema della trasformazione della società, rilevando come alle nuove realtà occorre dare risposte capaci di rappresentare la giusta mediazione fra esigenze diverse; qui sta per De Mita la sfida che si pone alla DC: la capacità di essere «un partito nuovo», protagonista nell'individuare obiettivi di progresso, di libertà e di giustizia sociale che sono il contenuto di questo momento della democrazia italiana». Il XV rimane nella storia dei congressi DC come il primo a cui parteciparono con diritto di voto gli «esterni».

Con l'elezione alla segreteria di De Mita e la sua riconferma nel XVI congresso si apre per la DC un nuovo ciclo, che vedrà intensificarsi lo sforzo per realizzare l'opera di rinnovamento e di riorganizzazione delle strutture del partito.

I giovani DC tra i delegati
Andrea Rigoni
I congressi nazionali

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