Nuova Politica - A confronto Bodrato e Chiarante pagina 14
Nuova Politica - A confronto Bodrato e Chiarante
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Incontriamo l'on. Bodrato e il sen. Chiarante, direttore di Rinascita, alla Yigilia dei Congressi della DC e del PCI. Le cause della crisi del PCI, il riflusso neo-liberale, il governo di programma, la «classe generale».

L'impressione è che rispetto agli anni passati la grande attesa che si registrava di solito alla vigilia dei congressi dei due maggiori partiti italiani, quest'anno si trasformi più nell'attesa di quello che farà il partito del 10%, il partito del presidente del consiglio, dopo congressi DC e PCI. Questo soprattutto se si tiene presente l'attenzione che sia il PCI, in relazione alla eventuale partecipazione socialista ad una maggioranza alternativa di sinistra, sia la DC, in riferimento alla proposta di rendere strategica l'attuale formula di pentapartito, rivolgono al PSI.
Sono queste sensazioni giustificate, oppure in primo piano rimangono temi e le questioni che saranno trattati nei congressi della DC e del PCI?

Chiarante – Io penso che sia giusto che ogni partito, principalmente un grande partito, pensi prima di tutto ai problemi che ha di fronte e alle prospettive generali che intende proporre per il paese. Quindi noi tendenzialmente non concepiamo il nostro congresso come un congresso condizionato dalle scelte a breve di altre forze politiche.

Naturalmente anche queste scelte contano: ma pensiamo che prima di tutto il nostro compito sia quello di approfondire l'analisi delle condizioni della società italiana in rapporto ai processi di trasformazione che si sono verificati, per dare maggiore consistenzà alla nostra proposta di alternativa democratica. In questo quadro ci poniamo certamente anche il problema ormai maturo, di come creare anche nel nostro paese le condizioni per la democrazia compiuta. Tutto questo in una fase nella quale, a nostro avviso, c'è una formula di governo che è entrata profondamente in crisi e che ci sembra non abbia prospettive, senza che peraltro siano an•- cora maturate le condizioni per l'alternativa.

Il senso della proposta che abbiamo fatto a tutte le forze democratiche, di non lasciar marcire la situazione, ma affrontarla attraverso un governo di programma, è proprio questo: un governo di programma ci sembra possa servire ad affrontare i problemi più urgenti della vita italiana, a favorire la creazione delle condizioni per una democrazia compiuta, a restituire quella funzionalità che è indispensabile ad un sistema democratico.

 

Bodrato – La domanda pone in evidenza, le contraddizioni del «caso italiano», di una situazione, cioè, che comparata con le altre realtà europee è caratterizzata dalla preminente importanza di due grandi partiti, che sono però fortemente contrapposti l'uno all'altro.

Questa situazione, assieme alla logica dei «governi di coalizione» che caratterizza la politica italiana, finisce per assegnare alle forze intermedie un ruolo superiore a quello che è loro assegnato dal consenso elettorale. Questa è la posizione di rendita di cui gode il PSI nell'attuale coalizione; i socialisti immaginano di poter conservare tale ruolo anche nella prospettiva dell'alternativa, in una logica peraltro diversa da quella che sta alla base della proposta di «alternativa democratica» formulata dal PCI.

Credo comunque che questa situazione non debba far ritenere che il PSI può imporre allo scenario politico qualunque scelta. Mi sembra di poter dire che le considerazioni contenute nella domanda siano condivisibili solo in quanto pongono in evidenza questa specie di «premio invisibile» che il caso italiano assegna ai partiti minori, i quali invece spesso si ritengono penalizzati dal nostro sistema politico.

Per il resto, le riflessioni e le scelte che DC e PCI faranno nei congressi, sono destinate ad influire non solo come diceva Chiarante, sul clima e sulla realtà sociale, ma anche sugli orientamenti delle altre forze politiche.

 

Nella premessa alle tesi preparate per il prossimo congresso del PCI si parla di un tentativo di «stabilizzazione moderata» entrato in crisi.
Se effettivamente vi è stato questo tentativo per quali motivi sostanziali è fallito; e non vi sembra paradossale che questo tentativo di svolta moderata si sia verificato in Italia proprio negli anni della presidenza del consiglio socialista, gli anni cioè in cui, almeno in teoria, il baricentro politico del paese avrebbe dovuto essere il più a sinistra degli ultimi dieci anni?

Chiarante – Questo tentativo secondo noi c'è stato, e c'è stato in rapporto non solo alle volontà di vertici politici, ma soprattutto ai processi di trasformazione strutturale in atto nel paese. Nella prima metà degli anni '80, infatti, da più parti si è creduto che con qualche iniezione di neo-liberismo, con alcuni allentamenti dei lacci di una presenza dello stato giudicata eccessiva, con qualche operazione di alleggerimento dell'intervento sociale, fosse possibile dare maggiore dinamicità alla società italiana in modo da superare positivamente i problemi e le tensioni ereditate dagli anni settanta. Qui è la radice dell'orientamento moderato. A me pare che, in modo diverso, sia la DC che il PSI abbiano condiviso questa opinione, nell'impostazione del pentapartito: da un lato, per quanto riguarda la DC, con l'idea del rilancio di un neo-liberismo di stampo liberal democratico; di contro, da parte socialista, con una concezione del moderno riformismo che anche sul piano ideologico concedeva molto all'ondata liberista. In ogni caso era comune la convinzione che la mossa decisiva per rimettere in moto il meccanismo produttivo della società italiana fosse risolvere la questione «costo del lavoro» colpendo le retribuzioni operaie e, più in generale, larghe fasce di lavoratori dipendenti.

Proprio per questo noi diciamo che il disegno è fallito: non tanto per il fatto che è evidente a tutti che i partiti dell'attuale maggioranza sono in disaccordo su molte questioni, ma per il fatto che – ci sembra - quella linea politica di fondo non ha dato i risultati che da parte delle forze del pentapartito venivano promessi o sperati. Infatti, dal punto di vista economico si sono perdute le condizioni favorevoli che già si venivano delineando sullo scenario internazionale e ora si rischia di perdere le occasioni anche maggiori che l'anno in corso offre; d'altra parte sul fronte della governabilità si è dovuto registrare un accentuarsi della ingovernabilità di fatto, che si manifesta nelle condizioni dell'attuale maggioranza. Infine dal punto di vista delle istituzioni è in atto un preoccupante processo di paralisi e di degradazione del sistema.

In sostanza il disegno di rispondere alla crisi politica dell'ultimo decennio attraverso il recupero di un'alleanza di tipo centrista, come è il pentapartito – mettendo a latere il problema che era stato al centro degli anni settanta, e in particolare della politica di Moro, di un nuovo rapporto fra le grandi forze popolari è fallito, come dimostrano le contraddizioni, le tensioni, le contese all'interno dei partiti che conducevano e conducono questo tentativo.

 

Bodrato – Occorre partire dal riconoscimento che in questi anni si è delineato (e siamo ancora nell'ambito di questa vicenda) un ciclo economico e politico molto diverso dal precedente. Si può parlare di riflusso, di svolta neoborghese, ma in sostanza questo ciclo ha investito tutta l'area occidentale, determinando uno scenario «neo-liberale» anche in quei paesi, penso alla Spagna e alla Francia, dove le responsabilità di governo spettano a partiti di sinistra, ai socialisti in particolare.

Le previsioni che si erano delineate, verso la fine degli anni sessanta e all'inizio degli anni settanta, nella sinistra e nelle organizzazioni sindacali (ein qualche modo anche all'interno della DC) di una crisi economica che avrebbe provocato una svolta a sinistra, ad una crisi propria degli equilibri economici tradizionali, sono state smentite.

La crisi, in sostanza, è stata gestita ed orientata in altra direzione, ed in questo senso hanno giQcato anche le trasformazioni tecnologiche. Queste sono le riflessioni da cui, occorre partire se si vuole comprendere cosa è accaduto. Occorre registrare come all'interno di questo ciclo le posizioni di tutta la sinistra si siano indebolite; il PCI è impegnato in un congresso di profonda revisione della sua strategia politica.

Per questo motivo non condivido l'analisi di Chiarante: mi sembra consolatoria perché individua nelle difficoltà del pentapartito le ragioni di un'alternativa che la sinistra propone più per uscire dalla sua crisi che per offrire un'indicazione·compiuta diversa rispetto a quella formulata dalla maggioranza.

Bisogna però dire che questa fase politica non può essere meccanicamente considerata come la ripetizione cli precedenti fasi della storia italiana, ad esempio come ritorno al centrismo. Ne si può parlare di ritorno al centro-sinistra: basta ricordare che in quegli anni la politica era sostanzialmente guidata dalla DC e dal suo dibattito interno, e che il PSI usciva da una scelta frontista per avviarsi sulla strada dell'autonomia, compiendo scelte in direzione della DC. Oggi, paradossalmente, pur guidando il governo, numerosi socialisti, da Martelli a Formica a Signorile, insistono in una dura polemica con la DC, e prefigurano per il futuro uno spostamento a sinistra degli equilibri politici.

Queste modificazioni, questi importanti mutamenti dell'assetto politico, investono soprattutto la sinistra, ma non possono essere ignorati dalla DC proprio perché ci sono problemi di democrazia che vanno affrontati in una visione complessiva: come governare questa società in profonda trasformazione e caratterizzata dal crescente peso degli interessi corporativi.

 

Chiarante – Vorrei che fosse chiara una cosa. lo non credo affatto che la crisi maturata su scala internazionale negli anni settanta e che riguarda un certo tipo di sviluppo che aveva portato al grande compromesso socialdemocratico, cioè al compromesso tra movimento operaio e capitalismo, non ponga problemi alla sinistra. Sono convinto, anzi, che non solo in Italia ma in tutta Europa il compito fondamentale della sinistra è quello di tracciare la strada del superamento di questa crisi: un strada che tenga conto di errori ed insufficienze che sono emerse nel passato. La nostra elaborazione sull'alternativa democratica non è e non può essere dunque, la semplice ripetizione delle proposte della sinistra di venti anni fa: ma vuole e deve andare oltre, per cercare il superamento di questa crisi.

Dove è fallito, però, il tentativo di stabilizzazione moderata? Mi pare che il fallimento emerga dalla constatazione che è su scala internazionale che il conservatorismo non ha prodotto quello che dichiarava di voler produrre: cioè un grande rilancio dell'economia che si pensava di ottenere attraverso il ricorso alle ricette neoliberiste. Questo rilancio non c'è stato; si sono anzi inasprite contraddizioni sociali enormi (pensiamo alla disoccupazione di massa), si è creato uno squilibrio ed anzi un'anarchia dei prezzi e dei mercati internazionali che è estremamente grave (pensiamo a come si presentano oggi i problemi del terzo mondo), ed anche nel nostro paese siamo di fronte a problemi e a tensioni accresciute.

Credo, perciò, che se la sfida che si presenta alla sinistra è difficile, anche le forze democratiche più moderate dovrebbero prendere atto di essere di fronte al fallimento di un certo tipo di tentativo di stabilizzazione che avevano perseguito in questi anni.

 

Bodrato – Non a caso, ho parlato di «ciclo»; ritengo, infatti, che questo ciclo neo-liberale, o neo-borghese, finirà per consumarsi. Queste fasi non sono caratterizzate, inoltre, dal riproporsi dei precedenti soggetti economici, sociali, politici, ma da fatti nuovi. Per questo motivo le forze politiche devono fare i conti con processi di trasformazione provocati anche dalla innovazione tecnologica che introduce questioni profondamente diverse rispetto a quelle del passato.

Non avrebbe senso dire che oggi soltanto la sinistra ha problemi, e credo che i problemi di governo di queste trasformazioni, la necessità di dare risposte a queste contraddizioni ed all'acuirsi delle vecchie tensioni come quelle che investono i rapporti tra paesi occidentali e terzo mondo, riguardano tutti i partiti, quindi anche la DC.

Ma ciò che volevo rendere evidente è che i problemi aperti riguardano in modo particolare il PCI: basta seguire il dib ttito precongre suale, leggere le «tesi» preparate per ti congresso comunista per rendersene conto. Questo dibattito si riflette anche all'esterno: voglio riferirmi, al convegno organizzato da «Repubblica», dove si è proposto un nuovo compromesso tra il capitalismo riformato e una sinistra che si attende alla prova delle novità.

Senza voler entrare nel merito di questa proposta, bisogna sottolineare come il dibattito che si èaperto tende a coinvolgere la sinistra italiana, e il PCI in primo luogo, in un discorso di riconsiderazione di equilibri che non siano soltanto formali, ma che facciano i conti con le trasformazioni dell'assetto sociale e produttivo del nostro paese.

 

Torniamo un attimo ad uno dei punti più discussi: al cosiddetto governo di programma contenuto nella tesi 37. Non è molto chiaro che cosa si intende precisamente per governo di programma; è un governo, per così dire, solo tecnico-programmatico oppure si avvicina di più al governo costituente dell'emendamento lngrao?

Chiarante – Ho già accennato a quella che è l'idea largamente prevalente nella commissione che ha elaborato le tesi, e nel Comitato Centrale, circa i caratteri e gli obiettivi di un governo di programma. A noi sembra che al complesso delle grandi forze democratiche del paese si ponga oggi il problema di come uscire da una situazione di ristagno entro alleanze rigide, situazione che diventa sempre più pericolosa in quanto è accompagnata, all'interno stesso della maggioranza, da una condizione di conflittualità crescente. Ci sembra in sostanza che occorra rimettere in moto la situazione politica, affrontando, in primo luogo, anche quei temi di revisione istituzionale che sono sul tappeto. In questo senso la formula di governo di programma comprende anche la proposta di Ingrao, evitando però quella che alla maggioranza di noi è sembrata una sottolineatura univoca del tema costituzionale e istituzionale. Proponiamo perciò di affrontare questo complesso di problemi guardando non agli schieramenti ma alla possibilità, prima di tutto, di un confronto programmatico aperto; e quindi alla possibilità di costituire maggioranze governative che nascono dal confronto programmatico e non da una logica precostituita.

In questo senso, pur essendo convinti di ciò che per primo, se non sbaglio, ha detto De Mita, e cioè che DC e PCI sono due partiti alternativi rispetto alle funzioni di governo, pensiamo che possano esistere delle fasi in cui, per favorire processi evolutivi richiesti dallo sviluppo democratico, possa verificarsi una collaborazione di governo anche tra queste due forze. Noi già avevamo detto, del resto, anche nelle tesi del precedente congresso, che la proposta di alternativa democratica non escludeva che su determinati obiettivi, su temi di fondamentale rilievo per il paese, potesse esserci una collaborazione anche tra DC e PCI.

Perciò dico francamente che non ho molto compreso una certa reazione da parte della DC, nel senso di interpretare la nostra proposta come il tentativo di creare un'alleanza strumentale contro di essa. Non è questo che pensiamo; vogliamo invece un confronto aperto a tutte le forze, perché questo corrisponde alle esigenze dell'attuale fase politica. Naturalmente se la nostra proposta non dovesse riscuotere il successo che speriamo, continueremo la nostra battaglia d'opposizione, e anche dall'opposizione pensiamo di poter andare avanti nel processo di costruzione dell'alternativa democratica.

 

Bodrato - Penso sia utile fare una riflessione sulla posizione di Ingrao, che ha certamente una qualche rilevanza nel dibattito comunista.

Voglio precisare che ritengo la proposta di Ingrao oggettivamente non percorribile ma la considero nel suo significato di «provocazione» nei confronti del PCI, nel senso che rende evidente in modo particolare la valenza politica della questione istituzionale, che troppe volte è considerata come una questione che può essere collocata nella «terra di nessuno» e affrontata con una astratta neutralità di posizioni. Mi sembra che in questo richiamo sia il significato e il valore della «provocazione» di Ingrao.

Ma mi pare, e credo che Chiarante debba convenire con questo, che nelle tesi sul «governo di programma» e «sull'alternativa», convergono posizioni diverse aµche rispetto a quella di Ingrao. Basta ricordare il dibattito del Comitato Centrale, per rendersi conto che siamo in presenza di diverse interpretazioni strategiche.

A mio parere la proposta di governo di programma non è che un punto d'incontro tra una corrente del PCI che ritiene essenziale procedere rapidamente sulla strada della normalizzazione socialdemocratica del partito, e un'altra parte che non intende rinunciare al «partito diverso», cioè alle proposte formulate negli anni della segreteria Berlinguer con la valorizzazione del «caso italiano» e dello •specifico ruolo del movimento operaio e dei comunisti. Questa seconda corrente si propone, come la prima, lo sbocco dell'alternativa, ma pensa ad un'alternativa che non significa normalizzazione o appiattimento socialdemocratico, cioè ad un'alternativa fondata sulla riproposizione della diversità del paritto Comunista e della sua tradizione rivoluzionaria.

È questo, a mio parere, il problema generale. In particolare, vorrei notare che se in questi due o tre anni di governo Craxi è stato difficile un confronto più aperto sul programma, questo è dipeso, nella fase iniziale, dal presidente del consiglio che era interessato a marcare una forte concorrenza sulla sinistra.

Però anche il PCI ha scelto la strada di un'opposizione dura e intransigente, immaginando in questo modo di indebolire questa maggioranza, e di marcare a sua volta una profonda differenza tra comunisti e socialisti. Questo periodo politico è stato caratterizzato non a caso dalla polemica sfociata nel referendum; e ancora, non a caso, l'esito del referendum, insieme all'esito delle elezioni amministrative, è all'origine del congresso straordinario del PCI.

A me sembra che queste vicende non possono essere dimenticate, perché tutti abbiamo l'interesse ad un confronto serio sui programmi.

 

In alcuni passaggi delle Tesi si ritorna spesso ad immaginare una alternativa di partiti che sono espressione del movimento dei lavoratori. In special modo nelle tesi 24 e 33. In particolare nella tesi numero 24 si parla di <.schieramento sociale, che colleghi la parte più debole della società con componenti rilevanti della parte più forte». Esplicitamente poi ci si riferisce alla «classe operaia, tecnici, i lavoratori intellettuali, ceti intermedi, nuovi movimenti...». Come sono conciliabili le visioni che permangono nel PCI di essere il rappresentante della classe operaia e quella che prevede una alleanza così ampia.di figure professionali e di ceti diversi? Non le pare ci sia contraddizione?

Chiarante – Non mi pare che ci sia contraddizione. Oltretutto si tratta di un problema che riguarda anche il movimento sindacale italiano nel suo complesso: un movimento che nella pluralità interna ha un connotato essenziale. Il problema è anche dei sindacati: c'è un problema di alleanze, che non riguarda solo più gli strati tradizionali del lavoro dipendente, ma strati crescenti di lavoratori tecnici e intellettuali ed implica rapporti estesi con un'imprenditoria diffusa e con figure professionali nuove. Se non si riuscisse a creare una tale alleanza, si avrebbe a mio avviso una naturale alleanza di segno opposto: che coagulerebbe in un disegno conservatore la maggioranza del lavoro indipendente e la parte forte del lavoro dipendente, escludendo le categorie sociali più deboli, quelle meno protette nel lavoro e nella società.

Non mi pare quindi che vi sia nelle tesi una contraddizione: vi si pone invece una questione di fondo, che riguarda lo sviluppo democratico della società italiana, e non è solo un problema di partito.

 

Bodrato – La modernizzazione della società italiana pone problemi importanti ai partiti di massa, ed anche alla DC per la sua composizione interclassista. Siamo in presenza di una società fortemente dinamica e mi pare che i maggiori problemi li abbia ancora una volta il partito comunista italiano che comunque affonda le sue radici nel marxismo, costruito sulla visione della centralità della classe operaia e sulla lotta di classe come momento essenziale della lotta politica.

Ora mi pare che cambiamenti della società costringono i comunisti a valorizzare, come diceva Chiarante, la politica delle alleanze, ma anche a proporsi in modo diverso la stessa organizzazione del partito. Se non interpreto male Berlinguer, alla base della proposta di «compromesso storico» vi è la consapevolezza che il PCI deve saper realizzare soprattutto un nuovo compromesso tra le classi, e deve saper interpretare politicamente questo compromesso. Mi pare però che il partito comunista debba riconoscere che la modernizzazione e la nuova articolazione della società contrasta con l'ipotesi sulla quale, nelle fasi politiche precedenti, si era mossa l'azione del PCI. La teoria cioè di una classe operaia che nonostante tutto è «classe generale», i ceti medi che si proletarizzano, le nuove pmfessioni che anch'esse esprimono questa subalternità agli interessi dominanti e così via... D'altra parte le organizzazioni sindacali hanno faticato a comprendere i ceti medi, i quadri, o hanno cercato di ricondurli all'interno di obiettivi ideologicamente egualitari.

Quindi mi sembra che esistono grosse contraddizioni a sinistra che non sono risolvibili attraverso la formula magica delle alleanze. Mentre per altri partiti si può parlare di adeguamento o di revisione delle posizioni tradizionali, per il PCI si pongono vere e proprie questioni di identità. Va messa cioè in discussione la strategia del PCI rispetto ad una società che si è evoluta secondo linee diverse da quelle che la sinistra si attendeva. C'è ancora un ruolo per la sinistra, ma in termini ben diversi. Rispetto a questa società complessa il PSI appare come una forza più coerente alle necessarie riforme mentre il PCI appare un pò, come dire, «fuori-gioco». Le gravi difficoltà del PCI, infatti, vorrei ribadirlo, non nascono dalla caduta dei consensi elettorali ma dalla inadeguatezza a rispondere alle mutate esigenze della società italiana.

 

Chiarante – Vorrei precisare però che la teoria della proletarizzazione non è mai stata la dottrina dei comunisti italiani. Tutta la nostra strategia si è fondata su una visione più complessa, meno semplicistica, della composizione della società contemporanea. Negli anni passati abbiamo spesso polemizzato, su questi temi, con lo schematismo dei comunisti francesi, e più di recente con gruppi e gruppuscoli della estrema sinistra italiana. Ma c'è un secondo punto su cui vorrei fare una precisazione: ed è che non c'è solo il pro blema della alleanza tra lavoro dipendente e nuove figure professionali; c'è il fatto che, mentre siamo convinti che la classe operaia conserva un ruolo fondamentale, ci sono anche altre forze e movimenti che in una società come l'attuale sono interessate al problema della trasformazione. A nostro avviso, in sostanza, cambia la composizione interna di un blocco progressista e riformatore, ma il suo peso qualitativo e quantitativo non diminuisce.

 

Bodrato – So benissimo che i dirigenti comunisti già dagli anni settanta avevano una posizione diversa, rispetto a questo problema e ricordo benissimo le loro discussioni con l'estrema sinistra, e non a caso mi sono rifatto ad una lettura berlingueriana... resta però il fatto che anche in anni recenti l'idea della classe· operaia come «classe generale» ha ispirato la strategia del partito comunista e non solo i sindacati.

 

Chiarante... si, ma parlando di «classe generale» non ponevamo l'accento su interessi di categoria: al contrario la «classe generale» è un'idea nobile, è l'idea di una classe che supera una visione corporativa...

 

Bodrato – Certo, neppure io ne parlo in termini deteriori, o polemici e non mi riferisco ad un fatto sociale; anche ·1a DC, essendo un partito popolare tende a difendere gli interessi dei lavoratori. Mi riferisco ad una strategia complessiva del PCI che ora è in crisi. Non intendiamo cancellare la storia, diciamo semplicemente che il PCI è investito non da un problema di tattica, ma nel «cuore» da un problema strategico, da una questione di identità. Fra i partiti della sinistra storica il PCI deve risolvere problemi più rilevanti di altri partiti.

 

In ultimo, Bodrato lei cosa si aspetta dal congresso comunista e cosa invece può significare secondo lei, Chiarante, per il Paese e per un partito alternativo come è la DC il prossimo congresso dei comunisti italiani?

Bodrato – Io mi aspetto, in primo luogo, che le ragioni che hanno determinato questo congresso comunista, che non erano casuali, e cioè l'emergere di un disagio sociale e culturale naturale di fondo, in questo congresso straordinario non siano accantonate per motivi di potere di assetto interno, perché ritengo che un chiarimento sia utile a tutto il Paese. Non immagino che possano venirci risposte definitive, ma almeno che siano indicate tendenze valide per un periodo che rimane di transizione. In termini più immediati mi attendo che alcuni problemi che dobbiamo affrontare e che riguardano la politica economica, il problema della disoccupazione, la riforma dello stato sociale e delle istituzioni, siano affrontati in modo da indicare possibili convergenze operative sugli interessi generali del Paese. Scelte che possono qualificare la maggioranza ma anche valorizzare l'opposizione, superando polemiche sugli schieramenti che bloccano la vita democratica per fare diventare il dibattito politico funzionale alla soluzione dei problemi della società italiana.

 

Chiarante – Io penso che il congresso dovrebbe portare il partito ad una maggiore consapevolezza sulla riflessione strategica di cui parlavo prima; cioè sui cambiamenti di questi ultimi 10 anni di vita nel nostro Paese e quindi su che cosa significa oggi essere, come noi vogliamo essere, un grandè partito democratico e riformatore, nel quadro interno ed internazionale in cui operiamo. Quindi io vedo come molto importanti più che le formule a breve termine gli elementi di riflessione di carattere strategico, e ciò proprio perché il problema di fondo è rispondere bene al dinamismo della società italiana di questi anni. Nei tempi brevi il congresso può servire a chiarire la proposta dell'alternativa, come impegno a fronteggiare i problemi che sono aperti nella vita democratica del Paese: credo infatti che siamo di nuovo in un momento non facile della vita italiana, un momento sul quale un confronto a tutto campo è decisivo. In questo senso lanceremo un messaggio e una sfida anche alla Democrazia Cristiana: la sfida a un aperto confronto programmatico sui problemi più urgenti per il Paese.

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Federico Mioni
Una strada senza democrazia
Paolo Mezzogori

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