Filippine

Una strada senza democrazia

Nuova Politica - Una strada senza democrazia pagina 24
Nuova Politica - Una strada senza democrazia
Il ruolo degli USA e della Chiesa nella vicenda filippina. Il programma di disobbedienza civile lanciato da Cory Aquino dopo le elezioni. La disastrosa situazione economica aggrava le tensioni politico-sociali: occorre garantire la stabilità.

Il grande malato asiatico sembra finalmente avvicinarsi alla guarigione; dopo anni di dittatura, soprusi, violenze, corruzione e dopo le incertezze post-elettorali, susseguenti alle elezioni presidenziali del 7 febbraio, la situazione filippina si sta ormai delineando chiaramente, con l'avvento al potere di quell'opposizione democratica-moderata guidata da Cory Aquino. La svolta è una logica conseguenza della crescente ostilità nei confronti del dittatore Marcos, la cui politica stava portando il paese verso il collasso economico-finanziario, accrescendo così quelle tensioni politico-sociali createsi all'indomani della proclamazione della legge marziale nel 1973.

Ex colonia americana, fin dai tempi. dell'indipendenza nel 1946, l'arcipelago filippino ha conosciuto profonde lotte intestine, continuando quella tradizione di ribellione armata risalente addirittura a prima della guerra, con gli scontri tra le organizzazioni dei padroni terrieri e il «proletariato rurale» che si andava formando.

Questa lunga tradizione ha dato vita ad una opposizione vasta ed eterogenea che si contrappone al governo dittatoriale ed è articolata, come in tutti i paesi del Terzo Mondo a regime repressivo, su 2 livelli: quello legale, rappresentato da quell'area moderata ora giunta al potere; quello clandestino della lotta armata, condotta da un fronte di ispirazione maoista-leninista (il New People's Army}, che agisce in 62 delle 73 province del paese e amministra circa il 20% dei villaggi filippini controllando 5 milioni di contadini, a cui si aggiunge il Fronte per la liberazione nazionale, di ispirazione islamica.

Il peso di tali gruppi nella società filippina è tale per cui, se essi non riconosceranno il governo della signora Aquino, verranno vanificati gli impegni presi per attuare quelle profonde riforme necessarie a superare gli squilibri economici, politici e sociali esistenti; in questo senso non è certamente confortante la prima dichiarazione resa alla stampa, improntata ad una generale sfiducia nei confronti del nuovo governo (considerato troppo moderato, conservatore e filoamericano).

Ma come si è arrivati a vincere le resistenze e le minacce di Marcos?

Le risposte sono ormai note: innanzitutto il programma di «disobbedienza civile» lanciato da Cory Aquipo all'indomani delle elezioni, mirante a colpire i capisaldi finanziari del regime. Il successo di questa iniziativa (le 7 banche del regime hanno visto diminuire sensibilmente i propri depositi; il valore delle azioni delle principali industrie controllate dai seguaci di Marcos è sceso vertiginosamente; gli organi d'informazione filogovernativi sono stati boicottati dalla gente) è stato il primo colpo inferto alla solidità del regime.

Ma i veri motivi sono da ricercarsi nel mutato atteggiamento dei 4 principali sostenitori del governo: gli Stati Uniti, la Chiesa, Makati (il mondo degli affari di Manila), l'apparato militare.

La defezione di una parte dell'esercito con a capo il ministro della difesa non garantiva più a Marcos la sicurezza interna; la denuncia degli uomini d'affari filippini (preoccupati per la crisi economica e fautori di un processo di democratizzazione del paese) è stata severa ed esplicita.

Ma il ruolo fondamentale è sicuramente stato quello giocato dalla Chiesa e dagli Stati Uniti.

Per gli americani la posta in gioco era, del resto, altissima e il loro appoggio al governo era dettato dalla mancanza di una valida alternativa tra il dittatore e la rivoluzione comunista; con la avanzata del partito moderato questo vincolo è improvvisamente caduto.

Spinti da vasti strati dell'opinione pubblica (anche la Fondazione Heritage, la lobby neoconservatrice più ascoltata alla Casa Bianca, attribuisce maggiore importanza alle istanze di democratizzazione del paese, sminuendo il valore delle basi militari), e soprattutto dalle esperienze del passato, gli Stati Uniti hanno premuto affinché avvenisse quel passaggio indolore dei poteri ormai inevitabile.

Il caso dell'Iran e del Nicaragua non si è ripetuto: in questi 2 paesi il presidente Carter attuò a lungo la politica del c.d. «impegno costruttivo» nella speranza che gli stessi regimi avrebbero-. dato corso alle richieste di rinnovamento. Ma l'incertezza diede modo alla rivoluzione sandinista e komeinista di prendere il sopravvento, e l'alternativa democratica ancora possibile svanì. Nelle Filippine questo errore è stato per fortuna evitato con la scelta di appoggiare apertamente il partito moderato.

La situazione che il governo della signora Aquino deve affrontare è grave e preoccupante: l'economia è sull'orlo del collasso, essendo basata su di un «capitalismo clientelare» dove la corruzione e il nepotismo sono le regole fondamentali; le principali industrie e i posti chiave dell'economia erano affidati a parenti ed accoliti, scelti più per i legami personali che per le effettive capacità manageriali; questo sistema ha portato al degradamento dell'apparato produttivo e allo sfacelo dell'economia.

Il PNL è diminuito del 5% nel 1984, il tenore di vita è caduto di 1/6 negli ultimi 4 anni; l'inflazione è al 25% (dopo aver toccato il 50% nel 1984); quasi metà della popolazione è disoccupata; il debito estero ha raggiunto i 27 miliardi di dollari; il peso si sta fortemente svalutando.

Non meno gravi le tensioni politico-sociali: violazione dei diritti civili struttura piramidale della società; alto numero di persone che vivon9 ai livelli minimi di sussistenza; alto tasso di prostituzione (soprattutto giovanile) sono solo alcuni dei problemi della società filippina.

Le linee operative per superare queste difficoltà non sono state ancora delineate chiaramente; il governo insediato dalla signora Aquino non fa che confermare queste incertezze, essendo composto sia da uomini del passato regime, sia dagli esponenti del partito democratico-moderato.

Da questo impasto sembra emergere una linea di fondo: la necessità di garantire il consolidamento della stabilità, attraverso la presenza di persone che garantiscano una continuità nel rinnovamento.

Il processo democratico è iniziato, ma la strada da percorrere è ancora lunga e tortuosa: solamente l'appoggio concreto dei paesi democratici e industrializzati potrà permettere quel riassetto economico-politico-sociale necessario a restituire democrazia, libertà e sviluppo al paese.

A confronto Bodrato e Chiarante
Francesco Saverio Garofani Roberto Di Giovan Paolo

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