Le tesi del PCI
Nella «Premessa» i comunisti rilevano nell'attuale scenario interno e internazionale note negative (la crescente conflittualità del pianeta e «l'offensiva conservatrice» politica ed economica) e segnali positivi: si afferma che «una ripresa di posizioni più aperte e progressiste si ha anche sul terreno economico, sociale e culturale», mentre in tutta l'Europa le sinistre «rilanciano le proprie idee» e in Italia «il tentativo di stabilizzazione moderata è entrato in crisi». Nell'introduzione alle tesi si sostiene che nel socialismo «nessun principio e nessuna finalità sono sottratti al continuo riproporsi della verifica critica, nei fatti e nelle idee», pur restando validi alcuni elementi, come riferimento, dello stesso «Manifesto» marxengelsiano del 1848. La rivoluzione della modernizzazione è valutata positivamente, ma si avverte che questa non condurrà automaticamente a «una sintesi sociale liberatoria, a una società nuova e più alta, Anzi, «l'offensiva conservatrice è prova ulteriore che il processo d'innovazione tecnologica non coincide meccanicamente con un avanzamento sociale». Per intervenire positivamente su questo trend è necessario un complessivo «rinnovamento della politica», e la lotta per il socialismo, intesa in un «indissolubile nesso con i valori della democrazia e della libertà» (e mentre la democrazia politica ha «valore universale» e costituisce «scelta irreversibile e permanente, che discende da tutto il travaglio della nostra storia»), ha oggi come criteri e obbiettivi privilegiati «i processi !€ii socializzazione e di estensione della democrazia economica».
Nei primi tre capitoli vengono affrontate soprattutto questioni di carattere generale, poi precisate negli ultimi tre. Innanzitutto (cap. I) «La questione della pace e le grandi contraddizioni della nostra epoca», tra cui il disarmo, le relazioni internazionali e quelle Nord-Sud, lo sviluppo e l'ambiente, la contraddizione uomo-donna e la questione femminile, l'impatto dell'innovazione tecnologica sull'occupazione, il rapporto tra informazione e democrazia, e infine quello che costituisce uno dei leit-motiv di tutte le tesi, e cioè «l'offensiva conservatrice, le sue contraddizioni, le possibilità di ripresa della sinistra». In questo scenario, da notare l'affermazione (contenuta peraltro in altra parte delle tesi) per la quale la lotta per la pace e la distensione è divenuta «organica» ad ogni movimento di progresso.
Il secondo capitolo riguarda «L'Europa e la collocazione internazionale del PCI»: il PCI considera «fondamentale» per la sua politica la scelta europeistica è favorevole ali'Alleanza atlantica ma in posizione di non subalternità agli USA, ed auspica una crescita del processo di multipolarismo nello scacchiere internazionale. Rilevante è il rapporto con la sinistra europea (altra costante di queste tesi), la volontà di aprire un dialogo con le forze democratiche e progressiste degli USA, e il «nuovo internazionalismo» del PCI: a questo proposito, si parla di «piena autonomia» e di «assoluta indipendenza», si afferma che «occorre superare invecchiati schemi dottrinari e pratiche settarie e di parte», e soprattutto che «il PCI non è e non si sente parte di alcun campo ideologico e di alcun movimento organizzato a livello europeo e mondiale». Accanto a questi elementi positivi, si riscontra però la carenza e l'ambiguità dell'analisi dei rapporti del PCI con i paesi del socialismo reale: ci si limita a parlare, riguardo a questi paesi, di «limiti di fondo» e di «problemi gravi e tuttora non risolti», e dell'esigenza di «riforme ampie, profonde e incisive». In tutte le tesi, non si parla mai né di violazioni dei diritti umani né di-espansionismo e militarismo sovietico, e Afghanistan, Sud-Est Asiatico e casi affini non vengono nemmeno menzionati; d'altro canto, si esprime «apprezzamento» per la «forte ripresa d'iniziativa politica e diplomatica della nuova direzione sovietica nel senso della distensione e del disarmo».
Segue poi (cap. III) l'analisi de «Le trasformazioni della società, le scelte essenziali per un nuovo corso». Viene individuato nell'assenza di programmazione il fattore che ha impedito e.li filtrare gli elementi positivi e negativi del processo di modernizzazione, e nella crisi del meccanismo di accumulazione una delle chiavi per capire la crisi complessiva e insieme per uscire da essa. Non ha retto «l'idea che l'essenziale, come molla dello sviluppo, fosse il contenimento del costo del lavoro», e non reggerebbe la scelta politica di «puntare unicamente su quella parte del settore industriale, del settore agricolo e del terziario che ha già saputo porsi al più alto livello della capacità competitiva»: il prezzo politico e sociale di questa scelta sarebbe la spaccatura del paese, e l'accrescersi del divario tra la parte di esso più competitiva e quella meno sviluppata tecnologicamente. La crisi del pentapartito viene dalla «incapacità di una strategia economica e politica di rispondere positivamente non solo ai problemi storici della società italiana, ma alle stesse sfide della modernizzazione», e d'altra parte «è impensabile che una fase di intenso cambiamento nella società possa essere interpretata e governata da un sistema politico bloccato».
«Alleanze sociali e movimenti per un programma di rinnovamento» (cap. IV) sono necessari in quanto l'alternativa democratica non può esaurirsi in una nuova alleanza tra partiti, ma deve essere il frutto di un concorso di lotte e di elaborazioni progettuali da parte di forze sociali e culturali che partono da matrici anche diverse. Vengono affrontati quindi i temi del rapporto tra classe operaia, tecnici e intellettuali (si recupera la berlingueriana «alleanza tra sapere e lavoro»), e quello tra lavoratori dipendenti e ceti intermedi (giudicati elemento imprescindibile di qualsiasi ipotesi di alternativa); i movimenti giovanili e le nuove generazioni (ai quali, tra l'altro, sono dedicati i passi conclusivi dell'intero documento congressuale); il movimento delle donne, indicando la riduzione del «peso politico diretto» di esso ma anche l'esigenza di una nuova fase del femminismo italiano, che prenda coscienza dei nuovi problemi che si pongono ad esse, la disuguaglianza tra i vari universi sociali femminili e le differenze di percorsi culturali e opportunità di vita; l'associazionismo culturale, i nuovi gruppi ecologistici, il volontariato; l'imprenditoria diffusa, singola e associata; i movimenti cattolici, l'analisi dei quali rivela un certo «strabismo» da parte del PCI, il cui giudizio è diviso bruscamente tra attestati di rilevanza sociale e di ricchezza etica ed accuse di integrismo, tra politica della «mano tesa» e demonizzazione di qualunque rapporto, anche non collateralistico e condotto in piena laicità, con il partito dei cattolici democratici; infine il movimento sindacale, la cui asserita autonomia non è però accompagnata da alcun accento autocritico in ordine al condizionamento esercitato su parte di esso da parte del PCI in occasione della recente vicenda referendaria (a questo proposito, stupisce che al referendum del giugno scorso siano dedicati in tutte le tesi pochi e marginali accenni, considerato il grande investimento politico che il PCI aveva riposto in quella vicenda, che oggi sembra lontana e quasi dimenticata). L'esito dell'incontro di tutte queste forze, sensibilità e competenze è una «convenzione programmatica» che possa fare da supporto progettuale alla alternativa democratica.
Il capitolo V («Le condizioni politiche della alternativa democratica») è il cuore politico dell'intero documento, in particolare per quella che è la proposta comunista, contenuta nell'ormai famosa «Tesi 37»: il «governo di programma». Punto di partenza è l'esigenza del superamento della formula e della logica politica del pentapartito, innanzitutto nel senso di «partire non da scelte pregiudiziali di schieramento, ma da uno sforzo volto a individuare i più gravi ed urgenti problemi-del paese e a verificare la possibilità – già nell'attuale legislatura – di ampie convergenze tra le forze politiche democratiche su una piattaforma capace di avviare a soluzione questi problemi»; e questo «senza oscurare le prospettive diverse e alternative della D.C. e del PCI e senza oscurare l'impegno del PCI per la costruzione di uno schieramento riformatore». La natura e i caratteri di questo governo di programma peraltro non sono molto chiari: si veda ad esempio l'intervento di Cesare Salsi («Rinascita, n. 7/86), che delinea almeno·tre interpretazioni di esso, e cioè un «governo programmatico» in senso stretto (sottratto quindi alle consuete pressioni partitiche), una «grande coalizione» che coinvolga anche i partiti, e l'ingraiano «governo costituente». In ogni caso, il governo di programma non si identifica con l'alternativa democratica, ma costituisce una tappa del processo di maturazione verso essa. Nel resto del capitolo troviamo i temi consueti delle posizioni comuniste degli ultimi mesi: accusa alla D.C. di puntare a una riedizione del centrismo, invito alle forze laiche e socialiste ad uscire dall'egemonia democristiana. Una delle vere novità è piuttosto un accentuato cambiamento di toni nei confronti del PSI: si inserisce il rapporto con questo partito nel quadro più generale della «sinistra riformatrice europea» da costruire, si precisa che la critica rivolta negli anni scorsi al PSI riguarda non la volontà di questo partito di acquisire un maggior spazio e peso elettorale, ma di volerlo acquisire con una conflittualità a sinistra e con l'emarginazione del PCI, e soprattutto si segnala la «maggior consa pevolezza» presente oggi nel PSI dei pericoli di subalternità alla egemonia D.C. cui si espone, e«uno sforzo per rilanciare un'autonomia ideale e politica dei socialisti». Tutt sommato, quindi, una «mano tesa».
L'ultimo capitolo è dedicato a «Il rinnovamento del partito». Dopo aver affermato che per aprire una fase nuova della propria politica il PCI è chiamato a «rinnovare in primo luogo sé stesso», si passa ad elencare alcune cause della crisi del partito. Le autocritiche non mancano, ma sono di taglio soprattutto organizzativo, e resta superficiale la messa in discussione della propria proposta politica e culturale, soprattutto quella dei mesi passati: si ammette che dal 1977 il consenso al PCI ha subito una «erosione», preoccupante «soprattutto per la difficoltà che segnala nel rapporto con le nuove generazioni»; si parla di «indebolimento della caratterizzazione di lotta e di massa del partito», e di «carenza dei legami del partito con le trasformazioni in atto nella società: inoltre, alle esigenze poste dai nuovi movimenti «non ha corrisposto un rinnovamento sufficiente delle nostre organizzazioni».
Riguardo alla vita democratica interna del partito (che ha avuto un «grande sviluppo»), si afferma che «l'interno pluralismo culturale, la lotta contro ogni forma di dogmatismo, la affermazione... della piena laicità del partito» sono «elemento caratterizzante» del PCI, e si respinge qualsiasi forma di monolitismo; ferma restando, però, la «necessità della piena unità operativa nella esecuzione delle decisioni assunte». E da qui si passa ad uno dei nodi più caratterizzanti la filosofia della struttura interna del PCI, e cioè il binomio unità-pluralità, per cui il centralismo democratico diventa il garante e addirittura l'interprete delle varie posizioni espresse: infatti, la vita democratica interna del partito è «fondata e garantita dal principio dell'unità». Il documento si conclude con l'indicazione della necessità di uno «snellimento» di tutta la struttura organizzativa, e con l'affermazione di una priorità: «nell'opera di ringiovanimento del partito deve essere speso lo sforzo essenziale dell'organizzazione comunista».
Alcune brevissime notazioni conclusive, riferite al complesso del documento. Si riscontrano, oltre a quelli già segnalati di volta in volta, diversi elementi interessanti, positivi e negativi: tra i primi un argomentare meno massimale rispetto agli anni passati, un qualche spiraglio in più di laicità, e un lessico politico meno veteroideologico (ad es. non si parla quasi mai di «comunismo» ma dei «comunisti», di socialismo» e di «forze progressiste e riformatrici», e la tradizionale espressione «compagni» quasi ovunque è sostituita con «lavoratori» o «forze della sinistra»). Tra i secondi, oltre al permanere di ambiguità e/o rigidità, una parziale sopravalutazione della propria opera di autoriforma e di autocritica, e l'astrattezza complessiva del documento. Un elemento, infine, interpretabile in entrambi i sensi: l'aver incentrato buona parte di queste tesi sul riferimento costante allo scenario europeo e mondiale, è un elemento senza dubbio positivo; a volte si affaccia però il sospetto che si sia sbilanciata l'analisi sui problemi internazionali per coprire l'assenza o l'insufficienza di una proposta politica chiara, definita, praticabile, per il nostro paese.










