Questione morale o scandalismo di professione?
Fra i temi che dominano il dibattito politico, ormai da diversi anni, la questione morale assume un ruolo di primo piano, come uno dei principali moniti provenienti dai mezzi di comunicazione di massa e, nello stesso tempo, un primario obiettivo delle enunciazioni programmatiche di partiti e movimenti politici. Alla base del grande rilievo assunto dalla questione, sussiste innanzitutto un'esigenza di trasparenza profondamente sentita dall'opinione pubblica. Da anni avvertiamo, ormai, l'avanzata di un processo di degenerazione e stravolgimento dell'attività politica, che sovente trascura i propri fini istituzionali per perseguire strategie di parte e, talora, privilegia interessi individuali rispetto alle aspirazioni collettive.
Il clientelismo, che sembra divenuto uno dei più efficaci strumenti per preservare il prestigio e la fortuna politica di uomini e parti ti, la commistione fra politica e affari nell'esercizio di funzioni pubbliche, lo snaturamento, cui spesso si assiste, delle procedure statutarie che regolano la vita dei partiti, costituiscono motivo d'allarme per chi ancora conservi una fede democratica, che derivi da una scelta di libertà, congiunta ad un'esigenza di coinvolgimento e partecipazione, per la cui realizzazione si rivela indispensabile il rispetto delle regole del gioco. Il sospetto d'immoralità e di corruzione della vita pubblica determina, quindi, insicurezza e sfiducia, soprattutto quando (come avviene in questo periodo) ci troviamo di fronte all'esplosione di continui scandali, a frequentissime incriminazioni che colpiscono pubblici amministratori, uomini politici, ufficiali, funzionari, ecc. Negli ultimi tempi abbiamo anche assistito a casi in cui si ipotizzano reati di stampo mafioso, nei confronti di personaggi investiti di funzioni pubbliche, sospettati di essere legati alle cosche più pericolose. Questa è una realtà di cui occorre tenere conto e, benché le accuse, in gran parte, non siano state fino ad ora confermate da sentenze definitive, la continua serie di denuncie e le conseguenti frequentissime inchieste. rivelano la presenza, nel costume politico e amministrativo, di deviazioni e degenerazioni. La collettività, dinanzi a questo scenario, si sente sempre meno tutelata e, talora, qualcuno è indotto a dubitare della possibilità di governare senza derogare ai principi ispiratori e alle norme positive. Nella consapevolezza di questa diffusa apprensione, il Partito Comunista Italiano si è posto quale paladino della moralità pubblica, dell'onestà nella gestione, della lotta contro gli interessi occulti. Un atteggiamento, questo, che riteniamo doveroso per tutte le forze politiche, dalle quali l'opinione pubblica esige una ferma assunzione di responsabilità nel perseguimento della battaglia per risanare moralmente la gestione del bene comune. Ciò che, tuttavia, non ci persuade, è la strategia adottata dal P.C.I. nella sua campagna sulla questione morale: conformemente alla prassi leninista, per questo partito. la battaglia per la moralità pubblica ha il suo tema dominante nella demonizzazione dell'avversario, nell'imputazione di deviazioni e illeciti a uomini e forze politiche che contrastino la sua ascesa al potere. Questa tendenza ci preoccupa e non ci sembra un modo leale ed efficace di trattare un tema così importante. Riteniamo che la questione morale debba essere al più presto affrontata e che le forze politiche, ad ogni livello, siano tenute a compiere una riflessione critica su tutti quei fenomeni, spesso interni alle loro stesse strutture, che abbiano contribuito a provocare la degenerazione dei meccanismi di formazione del consenso e le deviazioni dell'azione politica e amministrativa. È forte l'esigenza, soprattutto fra i giovani, di stimolare i partiti a «ripensare» radicalmente e sinceramente alla logica cui debba conformarsi la prassi, alla necessità di tornare alle origini, ponendo fine alle deroghe ai principi, nell'esercizio delle funzioni politiche. Ciò che ci turba e, talvolta, spegne il nostro entusiasmo, è l'impressione, nel nostro approccio alla vita politica, di una generalizzata sfiducia verso le. possibilità di serbare integro un ideale e di perseguire il successo della propria battaglia senza ricorrere a compromessi. Pretendiamo quindi dalle forze politiche questo processo di ripensamento delle logiche e dei comportamenti e, nel contempo, uno sforzo per individuare e colpire degenerazioni per troppo tempo tollerate. Tale processo deve però coinvolgere tutte le forze politiche, non soltanto, come sembra pretendere il P.C.I., quelle che hanno rivestito funzioni di governo centrale. Con la riforma degli enti locali e gli ampi poteri conferiti alle amministrazioni regionali, anche il partito comunista, presente in numerose giunte, può considerarsi un partito coinvolto in responsabilità di potere. L'assunzione di importanti funzioni amministrative negli enti locali ha comportato talvolta il coinvolgimento di esponenti comunisti in vicende gravate da ombre e sospetti, come è accaduto ad amministratori di altri partiti, rafforzando l'idea che la questione morale non riguardi segnatamente singoli raggruppamenti, ma sia invece un problema generale di costume politico e di concezione del potere.
Per risolverla non si può seguire la linea del linciaggio morale verso questo o quel partito o verso i leaders più rappresentativi (esempio indicativo di questa tendenza è stata l'offensiva-protagonista, ancora una volta il P.C.I. – scatenata in autunno contro !'on. Andreotti, senza che nessuno fosse poi in grado di provare reali responsabilità, idonee a giustificarne le dimissioni). Un'impostazione siffatta della battaglia contro il malcostume politico rivela una visione superficiale del problema e avvalora sospetti di strumentalità: il P.C.I., in seguito al fallimento delle strategie adottate negli ultimi dieci anni («solidarietà nazionale» come preludio del «compromesso storico» che avrebbe dovuto consentire l'ingresso del P.CI. nell'Esecutivo, attraverso un'alleanza con la DC; «alternativa democratica» concepita come alleanza delle sinistre contro la DC, resa però di difficile attuazione dalla realizzazione della coalizione democratica di pentapartito, che sostiene l'attuale formazione ministeriale) punta ora al cosiddetto «governo degli onesti» profilato dall'on. Berlinguer, quando ormai sfumavano le possibilità di alleanze più chiaramente definite. È certamente possibile che all'interno del P.C.I. taluni sostengano sinceramente e in buona fede questa linea, ma il modo con cui essa viene attuata e certo pretestuoso scandalismo di questi anni, non possono evitare il sospetto di strumentalità fina lizzata alla conquista di un potere che, altrimenti, appare sempre più difficile conseguire. Il fine di risanamento della moralità pubblica deve in vece perseguirsi sollecitando una presa di coscienza da parte di tutte le forze politiche e un dibattito serio e sincero, teso ad individuare i fenomeni forieri di deviazioni e a colpire coloro che, nei fatti e nei comportamenti, dimostrino di non accettare questa revisione critica di metodi e concezioni. Un 'azione così orientata dovrà necessariamente creare o riaffermare, a seconda dei casi, valori basilari e criteri di comportamento che costituiscano comuni presupposti dell'azione e della dialettica dei partiti. Maggioranza ed opposizione si possono collocare su posizioni profondamente contrastanti, ma nel sostenerle non debbono ricorrere a strategie fuorvianti, come l'alterazione della verità, lo scandalo pretestuoso, il favoritismo ingiusto, lo snaturamento dei principi costituzionali e democratici.
Occorre quindi riscoprire un comune patrimonio di valori fondamentali, stimolando questa riflessione in tutti i partiti: questa può essere la nostra risposta alla questione morale posta dal P.C.I. e, nel contempo, è condizione necessaria per la validità e l'efficacia del nostro impegno.







