Alla ricerca del «nuovo popolarismo»
I Congressi Nazionali sono solitamente accompagnati da fiumi di retorica e tante parole; facile è cadere nella vuota banalità della arida riproposizione di formule stereotipate e buone per tutte le stagioni della politica.
E questo congresso, almeno nella sua fase preparatoria ha perfettamente riproposto i rischi di questo cliché.
Ma proprio da questa considerazione è necessario partire per offrire una riflessione non superficiale, come giovani del partito, a tutti gli amici democratico-cristiani.
Non possiamo certo affermare che la stagione pre-congressuale abbia soddisfatto le urgenze e le domande che questi tempi difficili rivolgono alla società politica e rispetto alle quali il nostro partito deve elaborare un progetto politico all'altezza di queste sfide. Il fatto stesso che in molte parti d'Italia le assemblee siano state fatte «a tavolino», che gli iscritti non abbiano potuto esprimersi, e soprattutto, che il dibattito interno si sia ridotto agli accordi tra i capi corrente locali, è fortemente negativo e da stigmatizzare come un'altra occasione persa per tentare di capire come si stia evolvendo la società civile e quale ruolo nuovo debba giocare la politica. Ma il quadro pare ancora più negativo, se a questo si aggiunge che il dibattito non è uscito dalle secche della questione ormai quasi mitica del «doppio incarico», problema assolutamente subordinato rispetto all'individuazione di una linea politica che garantisca questa fase nella quale la Dc, in una difficile partita si sta giocando con la presidenza del consiglio De Mila tutta la sua credibilità di forza di governo centrale negli equilibri del Paese. Non si può insomma dire che la fase pre-congressuale abbia posto le migliori premesse per un attento e approfondito dibattito congressuale.
Anzi l'impressione che si è avuta nettamente, girando per la periferia, è un'altra: è passata la grande paura seguente al tracollo del 1983. Grazie anche ad una segreteria forte, il partito si è rinsaldato con un reale rinnovamento soprattutto a livello locale e una chiara linea politica; ora, la consapevolezza invece che la ripresa elettorale sia reale e ci presenti i prossimi appuntamenti (europee, amministrative) come passaggi «facili» e quasi «già vinti», sta facendo fare al partito, specie ai livelli periferici, passi indietro che è nostra responsabilità denunciare.
E allora la nostra riflessione proprio su questo punto tenta di costruire un disegno di rinnovamento e uno sguardo rivolto al futuro. La consapevolezza della crisi della politica è reale anche se, anch'essa, rischia di diventare la solita formula stereotipata, alibi alle nostre mancanze.
A fronte di una macchina produttiva che ha portato il nostro Paese negli ultimi anni nella ristretta cerchia dei paesi più industrializzati del mondo; a fronte di un sistema che sta costruendo l'unità europea prima sul piano economico che su quello politico è urgente ridefinire le regole della politica.
Mai come oggi essa rischia di andare alla rincorsa dei traguardi raggiunti dall'economia e semmai, spesso finisce per non guidare il progresso di espansione produttiva secondo gli obiettivi del «bene comune».
Per quanto ci compete, il contributo che, questo congresso dovrà dare, deve partire dall'individuazione dei nuovi confini della forma partito.
Se non comprendiamo che il partito della militanza, è uno schema che per trent'anni ci ha guidati, ma che ora non risponde più alle esigenze del nuovo rapporto politica-società, probabilmente continueremo con i tesseramenti gonfiali e i congressi a tavolino ma perderemo il nostro legame con la gente.
Non si tratta certo qui di teorizzare il ritorno allo schema del partito degli eletti che finiva per essere il partito dei notabili, certo è che in questa fase pur con più di un milione di iscritti il nostro partito è sempre più un partito di notabili.
Da questa contraddizione non si esce se non individuando le forme nuove attraverso le quali il nostro «popolarismo» deve oggi svilupparsi.
Il congresso su questo dovrà pronunciarsi elaborando anche proposte concrete, ma soprattutto pensando uno schema nuovo di partito.
Una prima linea sulla quale ci si potrebbe muovere per cominciare a costruire il «popolarismo moderno» è, a nostro parere quella della valorizzazionedegli eletti, a tutti i livelli (anche di circoscrizione), negli equilibri congressuali.
Andrà, crediamo, creata una nuova sintesi tra rappresentanza degli iscritti e rappresentanza degli eletti come tentativo di creare una diversa e nuova conoscenza tra il partito e la società.
Ma oltre a questo andranno rivisti con attenzione tutti gli altri meccanismi che regolano la vita interna di partito, pena il lento ma inesorabile e ulteriore distacco della società.
Questa è, crediamo, la sfida centrale che la linea del rinnovamento, nella continuità con i successi della segreteria De Mila, dovrà affrontare e su questi temi, per quanto ci sarà possibile, interrogheremo e stimoleremo il partito dal Congresso nazionale in poi.











































