La DC polo di rinnovamento e di stabilità politica
Penso, dunque, alla politica come a un dovere di presenza che comporta il coraggio delle proprie posizioni e dei propri progetti, ma nello stesso tempo l'onestà del confronto e il coraggio dell'intesa ogni volta che sia possibile realizzarla nel segno del bene comune. Orbene, dopo il voto amministrativo del 12 - 13 maggio, la Democrazia Cristiana ha il dovere di richiamare l'attenzione del paese su una precisa «configurazione» politica che da tempo ormai va ridisegnando, attribuendogli strategia politica e, soprattutto, valenza culturale.
Oggi, nè la D.C., nè il P.C.I. da soli sono in condizione di formare una maggioranza, neppure in sede locale salvo che in casi eccezionali, senza una partecipazione di almeno alcuni dei partiti dell'area laico-socialista. D'altra parte, non è pensabile, per il carattere di alternatività che li contraddistingue, che la D.C. e il P.C.I. possano fare maggioranza insieme escludendo i partiti dell'area laico-socialista.
Questo attribuiS;Ce ai partiti minori una funzione tutt'altro che subalterna, anzi determinante e decisiva nell'attuale assetto politico. Ma se è vero che, stante questa situazione, nessuno dei due partiti maggiori può più esercitare un ruolo egemonico senza tenere conto degli altri, è altrettanto vero che neppure i partiti minori (sia presi isolatamente che collettivamente) possono pensare di imporre una loro egemonia considerando la D.C. o il P.C.I. subalterni alla loro iniziativa.
Negli ultimi anni, si è sviluppata – grazie all'azione dirompente dei massmedia radical chic – una vasta letteratura laica e laicista tendente a dimostrare la crisi ormai irreversibile dei due maggiori parti ti e l'inevitabilità dell'egemonia laica che si gioverebbe del privilegio di una posizione politica di rendita indipendentemente dalla raccolta dei consensi. In virtù, cioè, di un nuovo ed aggiornato machiavellismo, lo sfruttamento dell'antitesi irriducibile e dell'avversione pregiudiziale tra D.C. e P.C.I. condurrebbe i partiti dell'area laico-socialista a dominare ambedue i grandi partiti costringendo uno dei due ad assoggettarsi, in un'alleanza, in posizione subalterna pur di non far prevalere il partito avversario.
In sintesi, – soprattutto dopo il risultato del 12 maggio –, ciò che non si è più disposti ad accettare è la rassegnazione all'inevitabilità della nostra progressiva decadenza. È una rassegnazione che a volte può nascere in molte realtà locali nelle quali è ormai consuetudine la gestione del potere, in una sorta di interferenze pericolose tra la politica delle amministrazioni pubbliche e gli affari.
Quando è coinvolta in questa spirale una vecchia classe dirigente D.C. può infatti anche avere convenienza ad accettare una egemonia politica laica purchè le sia consentita comunque la permanenza nell'area del potere.
Di qui nasce allora l'esigenza del rinnovamento e del cambiamento per rompere i nodi che si sono formati nella continuità della gestione amministrativa del potere. Il fallimento generalizzato, sanzionato dal voto elettorale, in molta parte del territorio nazionale, delle giunte di sinistra dimostra che l'obbiettivo di un miglioramento di gestione amministrativa non si consegue con un'alternativa di schieramento quando questa alternativa di sinistra accentua i vizi di gestione del potere, e lo stesso P.C.I. è costretto a chiudere gli occhi davanti alle commistioni tra amministrazioni e affari compiuti dagli alleati o si trova esso stesso coinvolto in logiche clientelari di partito o di gruppi sociali.
Di qui il significato politico del rinnovamento della D.C., il suo valore di proposta reale come alternativa di metodo e di programmazione più valida ed efficace dell'alternativa di schieramento.
Un partito si rinnova non quando accede a formule di facciata o ad automatismi indiscriminati di ricambio, ma ,, quando sa ciò che vuole, quando ha consapevolezza del proprio ruolo storico e politico, quando sa interpretare le esigenze di crescita diffuse nella società. È la linea politica che mentre si afferma e si impone con decisione alla guida del partito, è destinata a circoscrivere le zone opache ed inerti, a selezionare le classi dirigènti, a far cadere i rami secchi e le posizioni sterili, è insomma lo sguardo in avanti che rende ineluttabile e vincente lo sforzo di ricambio e di riconversione organizzativa del partito. Il quale, è ancora fermo al modello elaborato negli anni cinquanta, quando tra partito, società e Stato esistevano rapporti di stretta reciproca dipendenza o addirittura di identificazione. Oggi, i pilastri su cui reggeva quella organizzazione sono da tempo caduti, sia perché la società s'è fatta adulta e gelosa della propria autonomia, sia perché lo Stato non tollera più certe forme burocratiche di occupazione e si sente più che mai ed in ogni sua articolazione espressione della generalità dei cittadini, non già la succursale affaristica di questa o quella corrente politica.
Ecco perché il semplice ricambio di uomini non può bastare. Il rinnovamento, come abbiamo più volte sostenuto, non è soltanto ricambio di generazioni, apparente modernità, spregiudicatezza contrabbandatà per efficienza: è soprattutto, capacità di proporre un disegno complessivo di rinnovamento e di sviluppo;di esprimere per intero il proprio potenziale ideale e morale, confrontarsi alla pari e senza complessi «moderati» con le altre forze democratiche e costituzionali sul futuro del Paese e sui modi più appropriati per determinarlo.
Il solo ricambio di uomini, anzi, può tradursi in maledizione senza rimedio se, per esempio, non vengono finalmente attuate le indicazioni elaborate dall'Assemblea del novembre 1981.
Liberare il Partito dalla troppe incombenze che non lo riguardano, non significa solo ridargli maggiore potere nello svolgimento dei suoi compiti di guida e di indirizzo politico: significa anche renderlo sensibile e meno sordo alla nostra ispirazione ideale ed alle richieste che salgono oggi dalla società. La quale più esalta i miti dell'efficienza e del successo, più diffonde il bisogno di amore e di solidarietà. Più osanna ed innalza i forti ed i vincitori, più rende struggente la nostalgia per i momenti di pausa e di riserbo, per le posizioni antieroiche, per i valori autentici e gli affetti duraturi. Oggi basta spesso un nonnulla - una semplice malattia o una piccola imperfezione - perché l'uomo diventi un «pezzo di ricambio» e possa decadere non solo dai processi produttivi ma anche dal suo stato èivile: perché si sente inespresso, inutile, emarginato.
Ma appunto per questo il bisogno di solidarietà, di «mutuo soccorso» s'è fatto tanto forte ed è tanto diffuso. Mai la media della vita umana ha raggiunto livelli così alti: eppure mai come oggi è stata così precaria ed infelice la condizione delle persone anziane. Mai l'uomo ha potuto disporre di mezzi così potenti per la propria elevazione materiale e spirituale e per allontanare da se l'incubo della malattia e della morte, eppure mai è apparso così generalizzato l'insulto ad ogni forma di vita, così radicata ed estesa l'offesa alla libertà e alla dignità della persona.
Se dunque la DC oggi respinge la logica di chi indica come irreversibile il suo declino, la conseguenza è che le alleanze, pur necessarie, sia a livello nazionale che a quello locale, devono avvenire sulla base di accordi precisi di linea politica e di programma e non sulla scelta dettata di volta in volta da ragioni opportunistiche di potere. È in questo senso che è necessario dare significato e respiro strategico alle alleanze.
Le maggioranze si formano così alla luce del sole attraverso un patto politico stretto tra i partiti che convergono su comuni linee politiche e di programma e che si impegnano davanti agli elettori a dar vita insieme ad un governo, se
otterranno i consensi sufficienti a raggiungere insieme la maggioranza assoluta. Senza questa regola fondamentale, la politica diventa puro trasformismo, ricerca della maggioranza e del potere con qualunque alleanza, si riduce ad esercizio del potere per il potere anche a costo di compromessi morali e di quella sottile corruzione che invade ogni commistione tra amministrazione ed affari.
Oggi, alla DC, è richiesta una nuova capacità di sintesi che riesca, da un lato, a cogliere gli elementi generali che urgono sotto le richieste particolaristiche e dall'altro, ad elaborare disegni organici e complessivi che, mentre negano le spinte corporative le recuperano tuttavia ad un livello superiore di convivenza stabile ed appagante per l'intero paese.
La rinuncia della DC ad ogni pretesa egemonica va dunque di pari passo al rifiuto di assumere una posizione subalterna alla pretesa egemonica dei partiti dell'area laico-socialista. Un'alleanza in posizione di parità effettiva e insieme rispettosa del consenso democratico si può avere solo se l'accordo è il frutto di una convergenza di linea politica e di programma.
La politica nella nostra concezione non è scontro, ma è aperto e leale confronto di opinioni e di programmi sui quali si esercita liberamente la scelta dei cittadini. C'è in questo un rispetto delle funzioni di tutti i partiti che, in posizione di assoluta parità, possono essere chiamati a svolgere ruoli di maggioranza o di opposizione a seconda del consenso ricevuto.
Su queste basi la politica può incontrarsi più direttamente con i cittadini perché cessa di essere un puro gioco di potere per diventare un discorso fondato su scelte concrete e comprensibili.
Sta crollando oggi, in tutto il mondo il mito della società industriale fondata sulla massificazione delle esperienze della classe operaia nella fabbrica, del consumismo nel mercato e dell'assistenzialismo nelle istituzioni pubbliche. È possibile che la fine di questo mito metta in crisi i partiti·che per le loro radici storiche ed ideali sono legati allo sviluppo della società industriale (collettivismo marxista da un lato e capitalismo liberal-democratico dall'altro); ma non è possibile che metta in crisi un partito come la DC, che riconosce i suo fondamenti ideali nell'affermazione dei valori dell'uomo, del popolarismo, del pluralismo sociale che ha sempre respirato ogni forma di massificazione della società.
Può anche darsi, anche se il disegno è fatalistico, che - come sostengono certi nostri profeti «esterni» - il destino futuro della DC debba coincidere con la. gestione della propria decadenza.
Può anche darsi. Noi sappiamo tuttavia che quando un grande movimento politico possiede la forza ed il coraggio di ritrovare le proprie radici popolari ed ideali e riesce, su questa base,,a raccogliere le ansie, le inquietudini :e le speranze di milioni di esseri umahi, il suo destino non può essere effimero, nè può sentirsi legato agli schemi meccanicistici di certa cultura progressista che pretende di avere definito una volta per tutte le tappe evolutive della storia umana.






















































