Cittadino ed ente locale nel Mezzogiorno
Oggi i compiti istituzidllali dei Comuni si sono notevolmente ampliati, specie dopo il DPR del '77, è cresciuta la sensibilità dei cittadini verso le nuove esigenze della tutela ambientale, dell'assetto del territorio, dei servizi per la famiglia, dei trasporti, in una parola della vivibilità del proprio paese. Tutto questo accresce le difficoltà oggellive nell'amministrate: non si dimentichi che la legge Comunale e Provinciale risale agli anni '34-35, parecchi regolamenti ai tempi di Giolitti e che solo il l0% circa delle entrate comunali derivano da trl'buti propri essendo quasi tutto il resto dovuto ai trasferimenti da parte dello Stato e delle Regioni, questo sistema incentiva la deresponsabilizzazione dell'amministratore, impedisce un controllo sull'efficienza della spesa poiché a pagare gli sperperi non sono cittadini locali bensì il bilancio dello Stato. Accanto a questi fattori devo rilevare alcuni fenomeni preoccupanti che hanno accompagnato il processo di decentramento verificatosi in questi ultimi anni.
Si assiste ad episodi di scadimento della trasparenza dell'attività amministrativa. la gestione dei Piani Regolatori, dell'urbanistica e dei fondi per gli interventi nel campo economico ha non poche volte hanno prodotto illeciti arricchimentidi pochi ed allargato la sfera dei cittadini assistiti dai «favori» del politico di turno. Ma, a ben guardare. vi è stato un più sottile e pericoloso mutamento nei rapporti tra cittadino e pubblico amministratore. Mi spiego. Nei bilanci dei Comuni assistiamo ad una diminuzione degli impegni di spesa per la voce Istruzione e Cultura (gli investimenti sono passati dall'11% del totale nel '78 a circa il 4-5% di questi anni) mentre maggiore attenzione è data ai bilanci dei lavori pubblici e degli interventi sociali. Si sviluppano cioè quei settori di spesa più redditi7i daf punto di vista elettorale, assistiamo quasi ad una individualizzazione del rapporto tra cittadino che usufruisce di un certo servizio o che ottiene la realizzazione di un'opera e l'amministratore che eroga il bene-servizio sempre più con criteri di tornaconto elettorale e non con obiettivi lungimiranti e finalizzati ad un imparziale «bene com une». Questa pratica rischia di far passare in second'ordine l'interesse della Comunità rispetto a quello del singolo, o di gruppi ristretti, si privatizza cioè un rapporto che dovrebbe essere sociale in alto grado. Il cittadino mentre formalmente fa istanza alla Pubblica Amministrazione per ottenere un servizio o l'attuazione di un diritto, in pratica si rivolge all'uomo politico che può favorirlo (non credendo più all'imparzialità dell'Ente Locale) magari a scapito di qualcun altro che ha meno «santi in Paradiso». Si è verificato poi un progressivo allontanamento di giovani, disoccupati, intellettuali e lavoratori dall'impegno politico, è venuta meno la partecipazione alla gestione della propria città. La triste esperienza della Legge sulle Circoscrizioni comunali, sabotata nella sua pratica applicazione dagli stessi amministratori cittadini per evitare un vero decentramento dei compiti e quindi dei poteri, ha acuito il divario tra chi amministra e chi si sente amministrato ma non partecipe delle decisioni che più lo riguardano da vicino. Anche questo stato di cose lo definirei una democrazia quasi imperfetta. Teoricamente gli strumenti del far politica sono offerti a tutti in realtà se non si ha una struttura economica alle spalle tutto diventa difficile e sovente impossibile, il binomio politica-soldi che sempre più diventa centrale (si vedano al riguaFdo le ludice e realistiche analisi di Achille Ardigò) finisce di fatto per emarginare dall'impegno molti che pur avrebbe qualcosa da dire e premiare pochi non sempre capaci.
Si scivola, così, verso una società disgregata, incapace di imporre la soluzione di esigenze collettive di lunga scadenza, che guarda all'oggi ed al domani ma non al dopodomani. Dal lato dei pubblici amministratori personalmente ho visto troppi portaborse in giro, Sindaci poco rappresentativi, Giunte , omunali limitarsi a gestire l'esistente privi di un progetto di sviluppo complessivo del territorio, senza capire che così si lascia una onerosa eredità a chi verrà dopo di noi.
In questo ambito i partiti si sono dimostrati incapaci nel passato, di rompere la cultura dell'indifferenza, specie fra i giovani, e di consentire una migliore e più ampia partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica. È bene mettere in chiaro che nessuna nuova politica meridionalistica avrà efficacia se non si coinvolge la gente dandole una maggiore coscienza dei problemi e dei meccanismi di funzionamento degli Enti Locali. Mi chiedo quanti sanno come è formato il bilancio del proprio Comune, come nasce un Piano Regolatore, quali sono i mezzi di finanziamento del Comune. Ecco perché sopra criticavo la scarsa attenzione dedicata alle spese per la cultura, ritengo invece che proprio la creazione di Biblioteche, centri socialie attività culturali possano costituire momenti di dialogo e aggregazione per la nascita di una coscienza delle proprie condizioni che spesso non esiste. La nuova sensibilità che, dopo esperienza poco felici, va nascendo nella DC su questi temi non deve andar dispersa in questa campagna elettorale, si rifugga dai discorsi di circostanza, queste elezioni non sono una semplice circostanza, la posta in gioco va ben al di là di un risultato elettorale. Il lavoro va fatto verso la riscoperta di valori comuni, unificanti, che rendano partecipi le for,:e sane e preparate perché si ridia centralità alla questione morale ed al miglioramento delle condizioni di tutti e non di pochi potentati economici prima che politici. Il Sud ha necessità di una nuova solidarietà delle genti prima che dei partiti, ritenendo che la prima possa favorire, prima o poi, la seconda. Uno storico delle mie parti, analizzando una certa disgregazione sociale, un ristagno di iniziative innovative che sembrano caratterizzare i nostri paesi qualche anno fa,disse che il Sud si trova ancora oggi un «uno studio di infantilismo storico».
Io per primo spero, un domani, di non dovergli dare ragione.














































