È di nuovo Mezzogiorno in Italia
La mancata conversione in legge del decreto governativo di proroga dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno (cioè, il mantenimento in vita della Cassa per il Mezzogiorno), avvenuta nell'agosto scorso, ha causato il venir meno del perno principale sul quale, per circa unquarantennio, si è mossa tutta la complessa azione politico-economica di risanamento e sviluppo del Sud.
E.questo avvenimento è reso ancor più grave dalla amara constatazione che c'è voluta tale imboscata parlameritare per riproporre il Sud àll'attenzione della stampa tutta per l'intera estate, nonché riprendere, sia pur stancamente, e con «note musicali» troppo a lungo ascoltate, una sia pur minima, approfondita riflessione sulla piaga meridionale. Si sono riproposte – ma era facile arcano prevederlo – divisioni politiche profonde tra i c.d. assistenzialisti (leggi democratici cristiani) ed i c.d. progressisti (i comunisti, per intenderci), come se il Mezzogiorno d'Italia fosse ancora una di quelle lontane terre d'Oriente, sconosciute, e non, invece, l'unico, reale luogo di confronto e di sfida tra forze politiche, sociali, economiche, culturali, che hanno l'ambizione di pensare grandi cose e di realizzarle nella medesima dimensione.
Per chi vive ed osserva la vicenda meridionale con attenzione è difficile non pensare, con amarezza, a tutte – e quante! – le speranze non divenute realtà, così come sarebbe ingeneroso ed inesatto non percepire sensibili e progressivi elementi di novità, meritevoli d'incoraggiamento.
Il primo stato d'animo nasce dal triste riscontro dell'insufficienza dei risultati, che pure – sarebbe ingiusto negarlo – ci si è sforzato di realizzare, rispetto al massiccio impegno profuso nel corso di un quarantennio di vita repubblicana. Non è superfluo rammentare che il globale processo di ricostruzione e di sviluppo (perché sono queste, in definitiva, le grandi direttrici a cui, seriamente, ogni disegno politico ed economico deve ispirarsi nel Meridione), che doveva veder coinvolti fortemente gli enti c.d. a partecipazione statale, destinando il 40% dei.loro investimenti al Sud, non ha soddisfatto, completamente, le varie e diffuse aspettative. Pasquale Saraceno, una delle ultime vere e ferme voci del Mezzogiorno, uomo libero e grande economista, ha affermato,sindal 1975, che, date lecondizioni in cui il processo di industrializzazione si è svolto storicamente nell'Italia settentrionale e date le esigenze particolari chesi manifestano nell'industrializzazione dell'area meridionale, il sistema delle partecipazioni statali, come organizzazione di tipo manageriale del settore pubblico dell'economia, svolge funzioni che, alla lunga, .si sono rivelate deludenti. E, ancora, non va nemmeno sottaciuto come l'opera di programmazione ed indirizzo che le varie amministrazioni dello Stato (Ministero per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, Ministero del Bilancio e della programmazione Economica) erano tenute a favorire e sviluppare, si sia, invece, risolta più in un grosso effiuvio di convegni ed atti che in precise headlines.
Se è questa l'amarezza che nasce da un sia pur empirico rilevamento sul campo, della condizione meridionale, non va trascurata la speranza che, progressivamente, si accende in presenza di alcuni precisi, anche se bradisistici, mu- tamenti. .
Da qualche anno, oramai, si sta facendo strada, nel nostro «fondo di stivale», la convinzione secondo la quale, se è pur vero che lo Stato, nella sua interezza, deve riconfermare, concretamente, il proprio impegno per la ripresa del Sud, la presenza di vitali e vivaci forze imprenditoriali, finanziarie, culturali, di nuova generazione, animate da un rinnovato gusto per il rischio, favorisce, di conseguenza, uno stimolo al rinnovamento dei modi e delle forme di partecipazione degli operatori meridionali al processo di intervento statale. Una nuova classe di giovani manager, da alcuni anni, senza eccessivo clamore, lavora febbrilmente nelle diverse regioni del Sud, dalla Basilicata alla Puglia, dalla Calabria alla Sicilia, facendo del profitto non uno scopo, ma uno strumento, da reinvestire «inloco», per la creazione.di nuova economia.
Anche gli istituti bancari e para-bancari, superando vecchie ed infruttuose logiche consolidatesi nel tempo, di mero assistenzialismo, guardano ora, come l'Isveimer, con maggior interesse alla nuova imprenditorialità ed alle nuove forme di investimento, mediante l'erogazione di crediti a tasso più che agevolato, il cui volume e la cui qualità sono sempre più rilevanti.
L'interesse per il Mezzogiorno è, finalmente, un dato che·adesso coinvolge finanche i mercati europei, verso i quali, da tempo, si indirizzano gli operatori commerciali e finanziari, sia attraverso la richiesta e la concessione di prestiti di ragguardevole entità (recentemente il Banco di Napoli ha aperto una prestigiosa filiale a Londra, cuore del mercato mondiale degli affari), sia con l'utilizzazione degli strumenti giuridici ed economici, che la Comunità europea mette a disposizione delle aree meno sviluppate degli Stati membri. Si pensi, infatti, sia ai recenti Piani integrati per il Mediterraneo (i c.d. PIM) e, soprattutto, alla c.d. Operazione Integrata Napoli che, grazie all'approvazione della 3° e 4° tranches di finanziamento, dell'importo complessivo di 293 miliardi di lire da parte del Fondo Europeo Regionale di Sviluppo, concorrerà a cambiare, in senso tecnologicamente moderno, il volto della città, nei trasporti"come nei servizi.
Gli stessi enti locali, e precipuamente le Regioni, dopo anni di torpore, si riappropriano, utilizzandoli, degli strumenti della programmazione. Proprio il Consiglio regionale della Campania, poco prima della conclusione della sua terza legislatura, ha dato alla luce, con voto pressocché unanime, il Piano triennale di sviluppo – una sorta di summa, di tavole scritte, con le quali muovere, nei prossimi anni, migliaia di miliardi –, perla realizzazione di opere e servizi in tutto il territorio, e per venire incontro alle necessità delle c.d. zone interne.
Queste, per la loro particolare collocazione geografica, nonfruiscono dei vantaggi propri delle zone costiere, e versano, perciò, in condizioni di maggior arrètratezza.
La via della programmazione è, del resto, quella perseguita anche dal Governo centrale e, nella specie, dall'Ufficio del Ministro per il Mezzogiorno, che ha curato la preparazione del Piano triennale di sviluppo nel Meridione, approvato dal CIPE. Se è pur vero che tali documenti rischiano di risolversi in elaborate e dotte intenzioni di principio, è, altresì, vero che, per la prima volta, si dà vita ad un nuovo orientamento. Si tenta, cioè, di responsabilizzare, da un lato, tutte le realtà istituzionali locali (dalla comunità montana alla Regione), facendo sì che il primo referente, l'ente locale minore, individui le priorità da privilegiare, delineandone, altresì, il modo di realizzazione, e ne assicuri pure il compimento lasciando all'Amministrazione centrale il compito di garantirne la copertura finanziaria; dall'altro lato, poi, si tenta di rivoluzionare non una mentalità assistenziale, ahimé ben radicata e diffusa, ma i comportamenti, gli atteggiamenti di tal fatta.
Insomma, si offre a tutta la complessa e composita classe dirigente meridionale la possibilità di lavorare, ratione materiae, nelle proprie zone, in autonomia, in tutto e per tutto.
Ed è, quindi, in questa strategia che viene ad inserirsi da ultimo, ma non per ultimo, il recente decreto-legge proposto dal Ministro per il Mezzogiorno.
Si pensa a tutta la congerie di norme emanate in questo trascorso quarantennio, complicate e macchinose, emerge, subito e chiaramente, la novità giuridica, oltre che politica. È, questo, un provvedimento legislativo che si caratterizza, fondamentalmente, per tre ordini di ragioni: la snellezza procedurale, la rapidità operativa nella concessione dei finanziamenti e, soprattutto, la fiducia nel tradizionale spirito imprenditoriale che caratterizza, da sempre, la gente del Meridione.
Il decreto rompe, per così dire, col passato.
È una scommessa, certo, quella che il sen. De Vito ha lanciato a sé stesso prima che agli altri, ed il risultato sarà tanto più benefico e duraturo quanto più troverà la giusta comprensione e la massima partecipazione.
«Fortuna iuvat audaces, timidosque repellit», recita un antico brocardo; se realmente gli audaci sapranno cogliere l'opportunità offerta, allora una nuova luce comincerà a rischiarare il Mezzogiorno e l'Italia.












