Ancora per il Sud interventi straordinari
Dovrei cominciare col dire, contrapponendomi alla lettera – ma, forse, non al senso – della domanda che mi è stata rivolta, che non vedo come sia possibile far fronte ad una situazione di sottosviluppo regionale dell'ampiezza del Mezzogiornod'Italia, in uncontesto di capitalismo industriale come quello europeo, senza giovarsi dello strumento delle «agevolazioni straordinarie», intese come stimolo per quelle iniziative imprenditoriali che le convenienze di mercato favoriscono solo nelle aree esterne al Mezzogiorno, perpetuando in tal modo il «circolo vizioso del sottosviluppo». Il fatto è che le cosiddette «agevolazioni straordinarie» devono essere – appunto – uno degli strumenti di una strategia adeguata, debitamente articolata, che miri alla massima valorizzazione delle risorse meridionali e nazionali. A me pare che il decretolegge in questione, puntando sull'attivazione di iniziative in settori sottoposti al giudizio del mercato, rispetti talune condizioni imprescindibili per la valorizzazione delle risorse produttive. Se verranno rispettate anche le altre condizioni, non conosco nessuna obiezione alla concessione di agevolazioni straordinarie.
Più specificamente, la creazione di imprese (questa è la finalità del decreto giovani) presuppone un tessuto terziario – scuole di management, dipartimenti universitari di economia aziendale, studi di consulenza, ecc. – che, nel Mezzogiorno, è ancora debole. Ne discende la conseguenza che, se le operazioni previste vogliono avere un grado di successo consistente, è necessario mobilitare le strutture dell'intervento straordinario, e delle imprese pubbliche e private e delle centrali cooperative, per individuare «insieme di iniziative» da proporre, per selezionare giovani con capacità ed abilità imprenditive, formarli ed assisterli nella progettazione ed avvio operativo di iniziative economiche valide.
In altre parole, soltanto bilanciando la politica perdente dello «sportello» con una «politica promozionale» di «insiemi di progetti», accompagnata da adeguate azioni formative e consulenti, è possibile che al termine di 3-5 anni la mortalità delle iniziative imprenditoriali si riduca alla metàdi quella attuale, che è assai, anzi troppo, elevata.
La legge, anche al profano, mostra disponibilità finanziarie e strumenti tecnici notevoli. Pensa sarà possibile evitareche solo chi fapolitica o chi fa parte del mondo dell'economia possa conoscere e quindi usufruire di questi vantaggi? Quali accorgimenti ritiene giusto che lo Stato prenda per garantire trasparenza nelle procedure?
Ogni qualvolta la mano pubblica offre – come in questo caso – rilevanti opportunità-a chi sappia e voglia giovarsene, è evidente che diventa problema centrale, e anzi obiettivo stesso dell'intervento, il fatto che di tali opportunità tutti vengano a conoscenza, che di esse possono fruire i meritevoli e i capaci, che vi sia trasparenza di procedure e accuratezza di controlli su quanti attingono alle risorse poste a disposizione. Penso che il «decreto di attuazione» si farà carico di questo problema. Ma ritengo anche che l'informazione debitamente diffusa, l'accuratezza dei controlli e via dicendo siano necessari ma ben lungi dall'essere sufficienti per assicurare il buon fine del provvedimento. A garantire il quale sono indispensabili due condizioni, di cui pure si preoccupa il decreto-legge in questione. La prima è la valutazione dei progetti, sottoposti al nucleo tecnico di cui parla l'articolo I al punto 8, che ne vaglierà l'economicità e produttività. È evidente chesenza una severa analisi del progetto, la concessione in misura tanto generosa di quella preziosa risorsa che è il capitale si risolverebbe in unosprecoe nell'incoraggiamento di comportamenti socialmente irresponsabili. La seconda è una rete di supporto, che colleghi cellule attive a scala subregionale, e cui i destinatari del provvedimento possano riferirsi; di essa il decreto-legge, nei punti 4, 5 e 6, pone lefondamenta conil comitato per lo sviluppo della nuova imprenditorialità e con la segreteria tecnica. Credo che occorra lavorare presto e bene, muovendo da quelle fondamenta, ma non si può sostenere che il compito sia dei più facili.
La legge sugli interventi nel Mezzogiorno non menziona qualche attività particolarmente consigliabile per i giovani che vorranno utilizzare le agevolazioni e gli strumenti del decreto «De Vito». Lei che conosce bene il mercato ed i settori economici fiorenti o in crisi del centro-sud, in quali settori consiglierebbe l'impegno dei giovani?
La risposta a questa domanda può essere molto lunga o molto breve; optere perla seconda: in primo luogo in quei settori che presentano saldi negativi particolarmente rilevanti per la nostra bilancia commerciale (ad esempio alcuni settori alimentari, soprattutto nel Mezzogiorno); in secondo luogo nel turismo e in tutto l'ampio settore terziario connesso al turismo; in terzoluogo nei servizi relativialla grande distribuzione.
Più in generale, mi sembra, ci sia ampio spazio in quei comparti tradizionali, largamente rappresentati nel Mezzogiorno, dove il corretto impiego di nuove tecnologie e di capacità innovative può diventare determinante per il mantenimento e, in molti casi, per la riacquisizione di capacità competitive sui mercati anche internazionali.
Ma, naturalmente, senza escludere il nuovo e l'avanzato.
Dott.. Zoppi, per quanto «straordinari» questi interventi nel Mezzogiorno non sono però certo in grado, da soli, di colmare anni e anni di ritardi, lacune organizzative ed anche disinteresse o troppo «interesse» del nord Italia.
Lei crede di poter suggerire interventi per così dire «complementari» che facciano del «decreto De Vito» solo una prima di tante e tante iniziative che rilancino l'imprenditoria del sud?
Prima di rispondere, mi preme ricordare che il provvedimento è stato emanato «per favorire lo sviluppo di una nuova imprenditorialità nel Mezzogiorno e per l'ampliamento della base produttiva e occupazionale attraverso la promozione, l'organizzazione e la finalizzazione di energie imprenditoriali» (art. 1, comma 1).
L'ultimo decennio ba riproposto con forza, in tutto il mondo, la centralità dell'imprenditoré nei processi di crescita; l'orizzonte di stagnazione e l'accesa competizione internazionale hanno posto in luce che, come e più delle risorse naturali e del capitale accumulato, l'imprenditore è il fattore primo del destino economico di un paese. Direi che anche le vicende del Mezzogiorno, con l'emergere delle aree caratterizzate da un'imprenditoria particolarmente vivace, hanno confermato il paradigma additato per la prima volta, con tanto vigore e con tanta coerenza, da Joseph Alois Schumpeter. Direi ancora che di tutto questo il nostro paese, nelle sue grandi component dimostra ormai piena consapevolezza. Ciò premesso, va detto che questo decreto-legge, in coerenza con la recente esperienza storica, mira a dinamicizzare Lasocietà e a irrobustire l'economia meridionale attraverso l'esaltazione e il rafforzamento delle capacità imprenditoriali. Esso, cioè, si rivolge a dei potenziali imprenditori e a quanti sono costretti a limitare il loro agire imprenditoriale per mancanza di risorse finanziarie, e intende provvederli di tali risorse dopo aver vagliato leloro possibilità e i loro progetti. Nelle nuove iniziative come nell'ampliamento di quelle preesistenti, i giovaniimprenditori meridionali non potranno non coinvolgere altri elementi e quindi, di necessità, creeranno occupazione. Tutti ci auguriamo che essa sia la più vasta possibile, ma sbaglieremmo a scambiare questo decreto per unattoche di per sé, magari forzatamente ed artificiosamente, risolve in positivo l'inoccupazionegiovanile meridionale.
Se questo è vero, non si può nemmeno parlare di «interventi complementari». Si può, invece, e si deve dire che le misure contemplate saranno tanto più efficaci quanto più verranno accompagnate da tutto un insieme di politiche generali. A livello nazionale, è noto come le rigidità del mercato del lavoroe l'impossibilità di politiche espansive dato il livello ancora elevato di inflazione – e il crescente differenziale rispetto all'inflazione degli altri paesi sviluppati, spesso vicina allo zero – rappresentano gravi ostacoli alla crescita occupazionale. Ma è soprattutto sulla politica per l'industrializzazione del Mezzogiorno e sull'intervento straordinario dello Stato che occorre, e a lungo, puntare. Ci potranno, sì, essere altre misurespecifiche, e occorrestudiare tutte le possibili iniziative, ma senza un'azione massiccia, coerente e rigorosa lungo queste due direzioni non potremo che cavarne risultati parziali. D'altra parte, la disoccupazione nelle regioni meridionali – in particolare, l'elevato differenziale trail tassodi disoccupazionegiovanile nel Sud e quello, già drammatico e fortemente preoccupante, del resto d'Italia ed'Europa – costituisce, comeè noto, l'espressione piùgravee ilsintomo più appariscente del pel]llanere, in termini certamente nuovi, della storica «questione meridionale».





























