Obbligo di leva al servizio della comunità
«Mi sono a accorto che e il mio problema è anche il problema dell'altro. Uscirne insieme è la politica, uscirne da solo è l'avarizia».
In questo passo della «Lettera ad una professoressa», nelle parole di Don Milani, nena cultura che esse esprimono, è forse possibile rintracciare già un primo giudizio sul problema dell'aggiornamento della disciplina legislativa del servizio di leva.
Un giudizio morale, se considerato sul piano individuale: la condanna di qualsiasi imboscamento, di qualsiasi soluzione egoistica rispetto ad una vicenda comune a tanti altri.
Un giudizio politico, se considerato sul piano legislativo: la censura di qualsiasi proposta di riforma che lasciasse sostanzialmente le cose come stanno, limitandosi ad offrire maggiori occasioni di distrazione e, quindi, margini più ampi alla furberia individuale (un autoritarismo intelligente, è nostro antico convincimento, è da preferire ad un permissivismo sciocco).
La critica del Movimentò giovanile DC al progetto di legge presentato dagli onn. Perrone, Caccia e Stegagnini è ben nota (V. Nuova Politica). Vogliamo qui confermarla alla luce dei convincimenti espressi in premessa e nella certezza di dovere molto di più al servizio alla verità del nostro pensare, che ad una disciplina di partito senza motivazioni profonde.
Ed invero, la proposta di riforma citata sembra prescindere assolutamente dalla considerazione della necessità di un cambiamento radicale della vigente legislazione, nel senso di un suo adeguamento al mutato sentire sociale ed agli stravolgimenti culturali intervenuti in quarant'anni di democrazia.
Né si potrebbe opporre a questi argomenti un richiamo superficiale alla lettera della Costituzione, laddove essa proclama l'obbligatorietà del servizio militare di leva, in funzione della «difesa della patria» (art. 52).
È infatti unanimemente riconosciuta non solo la legittimità, ma anche l'utilità di una interpretazione delle «norme fondamentali» dello Stato, attenta all'evolversi della coscienza collettiva ed orientata dalle tendenze prevalenti da quest'ultima espresse.
I giuristi più accorti hanno elaborato, in proposito, la figura della «costituzione materiale». Anzi, il primo a descrivere compiutamente tale fenomeno, fu proprio un costituente democratico-cristiano: Costantino Mortali.
Ciò non può voler dire, peraltro, elusione del testo normativo, che altrimenti l'opera dell'interprete si spingerebbe francamente troppo in là, fino a sostituire indebitamente quella del legislatore.
Nel nostro caso, se deve tenersi ferma, fino a sovvertimenti costituzionali certo non auspicabili, la obbligatorietà e generalità del servizio di leva, non può non ridimensionarsi, nel senso di renderla non esclusiva, la finalità di difesa dei confini della patria.
Ecco. dunque, che l'obbligo di leva diviene un obbligo di servizio alla comunità (con modalità varie a seconda delle vocazioni personali) per un determinato periodo di tempo ed un'occasione educativa preziosa perché tale servizio diventi. seppure in forme diverse, permanente. Accanto – ed in posizione di pari dignità – al servizio militare, dovrebbe quindi sorgere un articolato sistema di possibilità alternative (protezione civile, assistenza ai «nuovi poveri» ecc...), che consenta ai giovani di non vivere un periodo tanto importante della loro vita, quale quello che segna il passaggio dell'adolescenza alla maturità, in condizioni di frustrazione spirituale.
Ove si acceda a questa prospettiva, perfettamente in linea con una consolidata tradizione culturale dei cattolici-democratici italiani, potrà darsi una risposta non contraddittoria e, quindi, convincente, a molti dei problemi che hanno immobilizzato in questi anni un legislatore per la verità poco incline a muovere passi su sentieri inesplorati.
L'affermazione che la patria può difendersi in forme diverse (cioè non necessariamente armate), rispettose delle propensioni personali, può condurre, infatti, alla composizione di una pericolosa frattura tra la quotidiana vicenda di tanti giovani ed i progetti che su di essa va elaborando una «classe» politica talvolta distratta, sovente timorosa, troppo spesso conservatrice.
li dualismo, obiezione di coscienza-servizio militare è il frutto più appariscente, ma certo. non il solo, di questa timidità diffusa.
Esso, al contrario, non avrebbe ragione di esistere, laddove si ritenesse di accomunare le due modalità di servizio alla collettività in un'unica previsione normativa.
Così come potrebbe trovare soluzione positiva la questione, fortemente dibattuta, specialmente in questi ultimi anni, dell'estensione dell'obbligo di leva alle donne.
Svincolato il servizio di leva da una prospettiva esclusivamente militare, non si vede perché non potrebbero e dovrebbero anche le donne adempiere ad un obbligo e, correlativamente, usufruire di una opportunità, di cui tutti sarebbero destinatari, alla luce dell'affermazione; anch'essa costituzionale, della parità di diritti e di doveri tra i due sessi.
Ad ogni buon conto, questo vuole essere solo l'inizio di un approfondimento che dovrà svilupparsi nelle prossime settimane. Senza timore di osare più del «possibile» e senza sciocche riverenze verso pseudovalori lontani anni luce dal nostro modo d'intendere i rapporti tra gli uomini organizzati in società.
Per «uscirne insieme», come ci hanno insegnato i ragazzi di Barbiana e, prima di loro, quel manipolo di giovani cattolici che, sfidando il convincimento, molto diffuso anche allora, che il cristianesimo non si doveva «immischiare» con la politica, fondarono un partito che osò dirsi cristiano.





























