A proposito di leggi eccezionali e Codice Rocco
Legislazione di emergenza
Inquadramento giuridico e cenni dottrinali
Principio generale del diritto contenuto nell'art. 11 delle disposizioni preliminari del C.C: che regola la successione delle leggi, è: «La legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo».
Tale principio cosiddetto dell'irretroattività della legge, il quale importa che la norma giuridica non si applichi a fatti o rapporti sorti prima che la medesima entri in vigore è completato dal principio della non ultrattività della legge: essa non si applica a fatti verificatisi dopo la sua estinzione.
I due principi, dunque, delimitano la validità delle leggi esclusivamente nel tempo in cui questa è in vigore.
Quanto al diritto penale, il nostro codice disciplina la materia della successione delle leggi nell'art. 2 accogliendo il principio generale della irretroattività ma temperandolo con il principio della retroattività della legge favorevole al reo che non si estende però a tutto il campo del diritto penale: esso non trova applicazione nei confronti delle leggi eccezionali, temporanee e finanziarie.
Tale deroga comporta che nelle ipotesi contemplate da queste leggi si applica sempre la disposizione che era in vigore nel tempo in cui il fatto è stato commesso, anche se la successiva lo punisce meno gravemente o addirittura non lo consideri più reato.
Ma cosa si intende per «leggi eccezionali», comunemente dette di «emergenza»?
Sono tali le leggi emanate per sopperire ai bisogni dello Stato derivanti da situazioni anormali: guerra, stato d'assedio, terremoto e, come nel caso che ci interessa, TERRORISMO.
Si è generalmente ravvisato in dottrina una deroga al principio della non ultrattività della legge nella disciplina speciale delle leggi eccezionali: esse sarebbero ultrattive sicché se ne contesta la fondatezza razionale della disciplina stessa.
Tale tesi è da considerarsi manifestamente infondata: di ultrattività può parlarsi nel caso di applicazione di leggi non più in vigore per fatti commessi successivamente alla sua estinzione.
Nelle leggi eccezionali (di emergenza, temporanee) si applica invece la legge che vigeva al momento in cui il reato fu commesso.
Il Codice Rocco
Il «Codice Rocco», denominato anche codice del 1930 entrò in vigore il primo luglio 1931, ad opera principalmente dell'allora Guardiasigilli di fresca nomina, Alfredo Rocco.
Professore universitario a Padova, giurista di grande prestigio, nettamente superiore alla media dei suoi contemporanei, fu il solo capace di tradurre un progetto politico in soluzioni tecnicamente ingegnose: fu per questo definito dallo storico del fascismo europeo Nolte, il «Cari Schmitt italiano».
Con il valido ausilio del fratello Arturo Rocco, professore di Diritto Penale a Milano e a Roma, l'opera giuridica di Alfredo Rocco sostituì il codice del 1889 tradizionalmente denominato Codice Zanardelli, dal nome del ministro allora proponente.
Prescindendo in questa sede dal pronunciare un giudizio analitico e complessivo sul contenuto del Codice Rocco, tutt'oggi vigente ancorché modificato nel corso degli anni, è opportuno sottolineare come ad una vastissima letteratura sull'opera sia comune la caratteristica del predominio degli elogi sulle critiche.
A fondamento di queste ultime si sottolinea l'impossibilità di dissociare dal codice in questione gli aspetti più tipicamente politici da quelli strettamente tecnico-giuridici.
Inoltre si pone l'accento sulle evidenti incompatibilità di alcune disposizioni con il nuovo ordinamento costituzionale e sociale.
In realtà il problema anzidetto è decisamente più complesso, considerato che l'elemento politico del vigente codice permea assai fortemente numerevoli istituti e disposizioni impedendone così una sua eliminazione con un semplice tratto di penna.
Di qui le attese e le speranze odierne per l'introduzione del nuovo codice di procedura penale.
Il pregio maggiore del Codice Rocco è, potremmo dire, al tempo stesso la caratteristica più evidente, è dato dal sapiente impiego della tecnica giuridica: valga per tutti la previsione espressa e la definizione di numerosi istituti giuridici della parte generale e la teoria del reato mai considerati nei codici erecedenti.
E certo che gli autori del codice, piuttosto che abbracciare l'uno o l'altra scuola penalistica, seguirono una ispirazione decisamente eclettica «ritenendo opportuno – così si legge testualmente nella relazione al re sul testo definitivo del codice penale – prendere da ciascuna scuola soltanto ciò che in essa vi è di buono» ed ancora molto preoccupandosi di foggiare un sistema che tutte le scuole componesse nell'unità di un più alto organismo atto a soddisfare i reali bisogni e le effettive esigenze di vita della società e dello Stato».
Tale orientamento si evidenzia soprattutto nel sistema adottato in ordine al rapporto tra pene e misure di sicurezza, ove più che una fusione di principi di opposte scuole si è sovente operata una contrapposizione di diversi criteri che non sempre si conciliano con l'unità della personalità umana e del trattamento della stessa, quanto alla necessità di repressione e di prevenzione.
Domina nel codice comunque, il concetto della pena come intimidazione e rara è l'idea dell'emenda del reo o della sua rieducazione attraverso la pena: di qui il ripristino della pena capitale, l'introduzione di una disciplina penale dettata per il concorso di più persone nel reato e per il concorso di reati, e la misura delle pene stabilite per la maggior parte delle singole figure delittuose.
Costituito su tre libri, come il codice Zanardelli, si evidenzia da questi per la più ampia sistematica e per il vasto numero degli articoli, criticato spesso come eccessivo, che indubbiamente rispecchia, nell'aumento delle norme della parte speciale, un portato dei diritti penali contemporanei in relazione all'aumentato ricorso alla sanzione penale per infrazioni un tempo non contemplate.
Sembra opportuno rilevare, per concludere, come alle partizioni tradizionali si aggiungono titoli del tutto nuovi, aventi riguardo alle sanzioni civili del reato e delle misure di sicurezza. Con ciò il legislatore intendeva caratterizzare la lotta al fenomeno criminoso fornendola di un codice che, pur continuando a chiamarsi penale, abbraccia in realtà, non solo le pene, ma tutti i mezzi di reazione al reato.


















