Occupazione giovanile

Per non affogare nella disoccupazione

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Nuova Politica - Per non affogare nella disoccupazione
La strada delle risposte concrete è forse cambiata con la legge De Vito. Migliorare l'efficienza del sistema formativo. La maggior parte dei giovani non si sente preparata all'appuntamento con il lavoro.

Si è chiuso da pochi giorni il Congresso Nazionale della CGIL, con un coro, non sempre intonato, di appelli per un «patto per il lavoro», in grado di aggredire il problema della disoccupazione e della sottoccupazione, soprattutto giovanile, nel nostro Paese. 'Sono molti mesi che questi messaggi vengono lanciati da larga parte del mondo politico e sindacale, la CISL l'ha messi al centro del proprio ultimo congresso molti esponenti dei partiti di governo li hanno rilanciati a partire dal convegno dell'aprile '85 nel quale la Dirigenza Nazionale della DC ha cercato di identificare una nuova politica per il lavoro. Raramente tuttavia si è passati dalla fase di ricerca, di studio delle prospettive alla fase di indicazione concreta e di realizzazione dei tasselli che questa nuova politica di intervento dello stato dovrebbero comporre. Dopo lungo travaglio sono giunte finalmente in porto la legge De Vito per l'imprenditorialità giovanile nel Mezzogiorno e la nuova regolazione dei contratti di formazione-lavoro.

È necessario fare come premessa il quadro delle condizioni centrali.

Negli ultimi anni abbiamo assistito al ciclo di trasformazione e ristrutturazione del sistema industriale, portatore di soluzioni molto spesso traumatiche ai problemi che nei dieci anni precedenti si erano accumulati sulle aziende italiane. Certo il processo di evoluzione del sistema non è ancora concluso ma già oggi si possono vedere le profonde trasformazioni che esso ha introdotto nella concezione stessa dell'occupazione.

Una segmentazione crescente del mercato del lavoro con cui cambiano gli stessi criteri di selezione e di possibilità di accesso, e processi di espulsione di manodopera maggiormente veloci di quelli di creazione di nuova occupazione si sono abbattute sulle nuove generazioni che già vivono il disagio di non essere nella quasi totalità dei casi pronti e preparati all'appuntamento con il lavoro.

Tutti abbiamo guardato con interesse e attenzione nei mesi scorsi al «movimento degli studenti dell"85», forse meno lo abbiamo fatto alle motivazioni per le quali hanno sfilato nelle principali città italiane: non a caso una delle principali era la rivendicazione del diritto ad essere preparati ad un lavoro, nel diritto a rifiutare un futuro di emarginazione senza sbocchi.

A queste esigenze è necessario che lo Stato dia delle risposte, che certamente non devono riprendere la linea, usata nel passato, dell'assistenzialismo senza ragioni economiche ma guardare con attenzione al nuovo che concede, alle «regole del gioco» che hanno in molti casi preparato le disposizioni legislative inadeguate esistenti.

È senza dubbio giusta la filosofia di fondo della legge De Vito per il Mezzogiorno: tentare di cercare un tessuto di piccole imprese, di attività artigianali e commerciali che possa dare occasione di lavoro, associato e non, ai giovani delle regioni meridionali, nelle quali la crisi assume aspetti drammatici, e, al tempo stesso, rendere possibile l'evoluzione dell'intero sistema produttivo di quelle zone.

Non sempre le buone idee tuttavia si trasformano in buone realizzazioni, oggi è senza dubbio presto per dare giudizi obiettivi al di là delle perplessità sui rischi che questo provvedimento comporta che abbiamo manifestato sui precedenti numeri di Nuova Politica, certo è che le linee generali testimoniano una scelta politica del Governo che condividiamo.

Ma una attiva politica per il lavoro deve guardare anche ai freni che il mercato del lavoro trova nella legislazione.

Il superamento del vecchio sistema di collocamento, già in larga parte avvenuto nei fatti, e l'introduzione di forme contrattuali flessibili sono provvedimenti che senza aggravio per le casse dello Stato potrebbero favorire la creazione di nuovi posti di lavoro. Il problema non è adeguarsi acnticamente alla realtà, la politica, nel senso più alto, deve mantenere in temi come la salvaguardia dei lavoratori e le regole del sistema economico il suo potere d'indirizzo ma non può rifiutarsi di capire le necessità e l'urgenza del cambiamento e dell'evoluzione.

Ultimo aspetto che non è possibile trascurare è la formazione sia essa scolare che professionale che oggi viene offerta al giovane prima dell'immissione sul mercato del lavoro.

È inutile rifare la storia degli ultimi vent'anni della scuola italiana, elencare le sue lacune e i suoi punti di maggiore crisi.

Parlando al positivo si può dire che è possibile fare molto per migliorare l'efficienza complessiva del sistema formativo, dell'istruzione professionale in primo luogo, gestita dalle Regioni con cospicui finanziamenti ma la cui utilità reale è quantomeno discutibile e dell'Università, vertice dei livelli di apprendimento che sforna masse crescenti di giovani impreparati, e non solo per loro responsabilità, destinati a difficili cammini di inserimento nella società. Il panorama complessivo della situa-

zione italiana è certamente particolarmente buio, oltre il 10% della fascia lavoro disoccupata, con larghissima maggioranza di giovani e donne del Sud che stentano a vedere un futuro nelle loro Regioni di origine anni persi a proteggere esclusivamente i «fuoriusciti» dal sistema industriale senza pensare al domani.

Oggi la congiuntura economica internazionale offre possibilità di sviluppo e forse l'ultima occasione per dare una chiara inversione di tendenza: è indispensabile che Parlamento e Governo ritrovino la capacità di iniziativa che la gravità della situazione richiede.

Da parte nostra il Movimento Giovanile in questi mesi ha cercato e cerca di creare momenti di incontro e di dibattito su questi temi: dal Convegno di Lamezia Terme sulla legge De Vito a quello di Milano sulla scuola e le sue prospettive.

Il nostro obiettivo di fondo è continuare a essere stimolo, anche critico se occorre, all'interno del Partito perché la tensione e la capacità di risposta della DC ai problemi dei giovani sia sempre più alta.

Cosa è la Consulta Nazionale del Lavoro

Presentiamo in questo numero di Nuova Politica una nota informativa sulla «consulta Naz.le per il lavoro», l'organismo con il quale le organizzazioni giovanili italiane da due anni sono «controparte» del Governo dei partiti politici e delle organizzazioni sindacali.

Costituzione e composizione

La consulta naz.le si è costituita nel luglio 1984 in coincidenza delle prime discussioni sull'intervento straordinario a favore dei giovani del mezzogiorno.

Di essa fanno parte le maggiori organizzazioni giovanili italiane; Movimento Giovanile DC, Federazione Giovanile Comunista, Federazione Giovanile Socialista, Federazione Giovanile Repubblicana, Gioventù Liberale, Gioventù Socialdemocra,- tica, Gioventù Aclista, FUCI Federazione Universitari Cattolici italiana, Movimento Lavoratori di Azione Cattolica, GIOC (Gioventù operaia cristiana) e ARCI Kids. Per il Movimento Giovanile DC ne fa parte Maurizio Dottino, dirigente del dipartimento economico MG.

Scopi

Gli scopi fondamentali della Consulta sono due.

Analizzare e seguire il dibattito politico e sindacale e le singole proposte sul lavoro e lioccupazione, dando contributi che possano esprimere la posizione, unitaria talvolta sofferta e diflicile, di tutte le organizzazioni componenti.

Essere portavoce attento e costante nei confronti delle istituzioni, di tutti i partiti politici e del movimento sindacale delle esigenze e delle aspettative delle nuove generazioni.

Attività svolta

Nei suoi quasi due anni di vita la Consulta si è impegnata su più fronti che riteneva essenziali. Dopo un primo periodo di studio dei provvedimenti «in cantiere» e di incontri a livello ministeriale (De Vito e De Michelis) ha organizzato (Aprile '85-Roma) la prima convenzione naz.le per il lavoro chiamando a raccolta da tutta Italia le esperienze di gruppi che da anni si occupano dei temi del lavoro in un confronto pubblico con il sindacato.

Dopo questo appuntamento ha intensificato i suoi rapporti con CGIL, CISL, UIL avviando un comune lavoro di studio e analisi.

Negli ultimi sei mesi l'impegno maggiore è stato sul piano politico: ha incontrato tutti i gruppi parlamentari della Camera in dicembre dove è stata chiamata per una audizione alla Commissione lavoro.

Dalla costituzione ad oggi ha avuto stretti rapporti e molti incontri con i Ministeri del lavoro e del Mezzogiorno per i quali è ormai referente costante.

Per comune volontà si è cercato di allargare il discorso nazionale nelle singole regioni arrivando in Piemonte, Lombardia, Puglia e Sicilia a Consulte Regionali per il lavoro.

Prospettive

La primavera dell'86 si prospettava come un periodo particolarmente importante per la consulta che iniziava ad organizzare quattro convenzioni regionali e una grande Assemblea Naz.le per verificare il lavoro svolto e identificare i prossimi obiettivi.

Dovevano essere incontri tra giovani istituzioni, partiti e sindacati.

Ma il rallentamento dei lavori dei sindacati aderenti prima al Congresso della UIL e recentemente a quello della CISL, e la stagione dei Congressi politici (DC, PCI, Gioventù Aclista) ha imposto uno slittamento di alcuni mesi.

Questo comunque rimane l'obiettivo attuale della Consulta a fianco a un sempre maggiore allargamento delle esperienze delle Consulte regionali.

Appunti post-congressuali
Mauro Fabris
Riaprire la «Camilluccia»
Andrea Rigoni

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