Lavoro

Nuove professioni e politica del lavoro

Nuova Politica - Nuove professioni e politica del lavoro pagina 8
Nuova Politica - Nuove professioni e politica del lavoro
La vittoria del fronte del NO nell'ultimo referendum ha determinato la vittoria della politica del lavoro. Nel fronte del NO anche organizzazioni che non avevano firmato gli accordi del 14 febbraio.
Nel corso della vicenda referendaria non molti hanno notato che il fronte del «NO» vedeva convergenti non solo i partiti della maggioranza di governo. ma anche un ampio, articolato, esteso fronte di organizzazioni sociali ed economiche che andavano dai sindacati che avevano sottoscritto l'accordo del 14 febbraio 1984 alla Confindustria. dalla Confcommercio, alla Confartigianato, dalle Confederazioni della piccola industria ai sindacati autonomi dell'impiego pubblico e privato, dalle organizzazioni dei quadri aziendali a quelle delle professioni libere.

È del tutto evidente che l'ampiezza sociale, prima ancora che politica, del fronte del «NO», pur ne!Ja diversità e talvolta nella contrapposizione degli interessi in esso organizzati, esprimeva con tutta evidenza il convincimento che la vittoria del «NO» rappresentava un obiettivo importante al di là del quadro politico di riferimento o, per meglio dire, in connessione con il quadro politico in quanto questo veniva percepito quale garante di una politica economica e di una politica del lavoro capace di far proseguire il nostro Paese lungo la strada della ripresa economica e, quindi, della possibilità di ricreare condizioni di lavoro più ampie di quelle sperimentate nel corso degli ultimi anni.

È, dunque, la politica del lavoro ad uscire vincitrice dallo scontro referendario perché essa rappresenta. e giustamente. la frontiera lungo la quale si gioca l'insieme dei valori civili che fanno del nostro Paese un paese capace di tenuta sociale, economica e politica di una fase, qual'èquella attuale, di profonde trasformazioni dei tessuti produttivi nazionali.

La novità non era peraltro tanto rappresentata dal convergere nel fronte del «NO» delle organizzazioni sociali che avevano sottoscritto l'accordo del 14 febbraio, perché questo poteva in fondo essere considerato un fatto ovvio di autodifesa del risultato al quale queste organizzazioni avevano concorso.

La novità più precisamente, ha riguardalo il convergere nel fronte del «NO» delle organizzazioni dei quadri aziendali e delle professioni libere che non avevano preso parte agli accordi del 14 febbraio per una disattenzione che la Democrazia Cristiana non aveva mancato di rilevare lo scorso anno, attenta come essa è all'emergere di ceti sociali portatori dei valori dell'innovazione e, quindi, più fortemente interessati all'affermazione ed al consolidamentodi una politica del lavoro che sappia tener conto delle trasformazioni in atto, le sappia comprendere nei termini essenziali di modernità, libertà e progresso, ne sappia favorire l'espansione in termini di rigorosa coerenza europeistica.

Leggiamo da qualche tempo con intensità frequente sulla stampa specializzata e su quella di opinione dell'espansione del lavoro nei settori appunto delle professionj libere, della piccola imprenditoria tecnologicamenteall'avanguardia, del pullulare sotto la pelle della nostra comurutà nazionale di una disponibilità nuova al lavoro inteso come affermazione reale della personalità umana e, quindi, quale fattore esso stesso di progresso e di libertà.

L'attenzione della Democrazia Cristiana a questifenomeni si è andataarticolando nel corso degli ultimi due anni con una serie di iniziative che ha consentito di recuperare, anche se fino ad ora soltanto in parte, il ritardo accumulato nell'ultimo decennio: abbiamo concorso con equilibrio e saggezza alla definizione legislativa del riconoscimento dei quadri aziendali che del lavoro dipendente inteso in senso moderno rappresentano una componente decisiva troppo a lungo sacrificata dal prevalere di tendenze all'appiattimento non solo retributivo delle figure professionab intermedie tra la dirigenza di vertice ed il lavoro meramente esecutivo; abbiamo stabilito un rapporto di consultazione costante con il Comitato unitario delle professioni, del quale fanno parte esponenti di tutti gli ordini professionali sino ad oggi operanti nel nostro Paese; abbiamo sollecitato l'emergere di una maggior consapevolezza del ruolo politico delle libere professioni organizzate sindacalmente nella Confederazione italiana delle libere professioni ed in altre organizzazioni rappresentative di attività intellettuaJj sino ad oggi prive di riconoscimento giuridico; abbiamo sollecitato, spesso con risultati ancora troppo modesti, l'attenzione del Governo per queste attività lavorative e per le organizzazioni di essere rappresentative in tutte le decisioni che attengono agli indirizzi generali di una politica delle libere professioni che non può più essere considerata marginale nel contesto di una politica del lavoro modernamente intesa; stiamo cercando di mettere ordine nella selva di iniziative legislative e parlamentari che tendono al riconoscimento giuridico di attività professionab nuove sia nel settore umanistico, sia nel settore tecnico. per evitare il duplice rischio. da un lato. di ossificare in una organizzazione giuri-• dica di tipo strettamente corporativo il libero emergere di attività lavorative di tipo intellettuale moderno, sia, dall'altro lato, di lasciare allo stato brado lo svolgimento di attività che richiedono un adeguato livello di professionalità garantito dagli albi professionali.

Questo insieme di iniziative del partito in sede nazionale ha ora bisogno di un adeguato riscontro e supporto periferico che va ancorato alle tradizionali strutture locali del partito e il potenziamento delle sezioni d'ambiente: è del tutto evidente, infatti, che la tendenza nazionale che stiamo rilevando in riferimento all'emergere delle nuove professioni. e che ha quindi bisogno di una più rigorosa messa a punto di indirizzi politici e legislativi nazionali, deve saper trovare in una costante attenzione alle diverse realtà locali il sostegno per un equilibrio che non può essere tutto e solo nazionale. perché così operando commetteremmo l'errore di adottare scelte nazjonali ancorate solo alla rilevazione degli interessi più forti del Paese.

NelJ'arco dei prossimi mesi sarà dunque opportuno condurre insieme una riflessione operati va sulle linee strategiche che concernono la riforma della Scuola Media Superiore e dell'Università da un lato. le innovaLioni nel mercato del lavoro dall'altro. per dimostrare nèi fatti·che la scelta del «NO» al referendum era oggettivamente una scelta di progresso e di aper- • tura al futuro e non già, come il Partito Comunista ha cercato invano dì far credere, una scelta contraria agli interessi del lavoro dipendente.

In questa azione di riflessione sul futuro centrata sulla più scientifica rilevazione delle tendenze in atto nel lavoro nella nostra società il Movimento Giovanile può dare un contributo di grande rilievo, proteso come esso è, in questa stagione felice di iniziativa complessiva che esso sta dimostrando di sapere anicolare, a rappresentare una coscienza vigile delle nuove generazioni che guardano al nostro partito con fiducia rinnovata e con giusta severità di intenti.

Il futuro si chiama... neo-corporativismo?
Michele Regina
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